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IL RIMPIANTO

IL RIMPIANTO

 

 

Il rimpianto è sempre rimpianto per un oggetto perduto

 

Si muove insistentemente nel rimpianto il senso, la sensazione, ma soprattutto il pensiero del perduto. Perduto il tempo, perduto l’amore, perduta la persona, perduta la propria ricchezza, la propria potenza, perduto il futuro.

 

E io ci piango sopra due volte o, meglio, una infinità di volte se il mio pensiero resta fermo là.

 

Il pensiero di perduto è nel tempo che passa e ne ingigantisce la valenza e la portata, la durezza e la pesantezza: più il tempo passa e più il mio attaccamento al rimpianto, all’oggetto perduto mi assorbe energia per fare buttare foglie nuove ma già secche del mio albero.

Direi che il passare stesso del tempo genera la “categoria” del perduto.

 

Il rimpianto, in questo senso, è una categoria del passato che il mio presente perpetua se io non elaboro o non compio azione di narrazione.

 

Cos’è narrazione del rimpianto? E’ semplicemente farne la storia, dirla e riconoscerla a me stesso, ammettere la mia responsabilità (e non colpa) per il fatto che ho perduto l’oggetto. Un pensiero, in altre parole, del presente che lanci un ponte verso il passato nel tentativo di riponderarlo, di recuperarlo nella sua realtà e di riconoscerlo come tale. Allora la catena della ripetizione dolorosa potrebbe anche essere spezzata.

 

 

L’oggetto perduto io lo vedrei sostanzialmente come la perdita della/e occasioni, proprio nella sua accezione di “oggetto”. Una cosa che mi è uscita dalle tasche come pèotrebbero essere le chiavi di casa o della macchina.

Si tratta della classica occasione perduta su cui io macino e ri-macino il mio pensiero senza ovviamente farne farina. Non solo perché indietro non si può tornare ma soprattutto perché io sono portato a vedere nella “occasione perduta” un agente che ha compiuto opera di abbandono nei miei confronti, mi ha offeso non badando a me. Vissuta da certe persone (specie del versante paranoico) nella accezione del dolore procurato, del tradimento.

Non il mio pensiero estimativo o valutativo che non ha funzionato, non un errore di giudizio, non un incidente di percorso, bensì la volontà di altro (o anche di qualcun altro reale) che si è preso gioco della mia buona fede.

Come se un patto fosse stato infranto. In effetti quello stato affettivo che noi definiamo angoscia non avviene perchè l’oggetto amato, in qualche modo, se ne va o ci abbandona, bensì perchè questo oggetto amato ha compiuto una trasgressione nei confronti della regola, del patto, della sanzione di unione che noi ci eravamo illusi di avere stipulato.

 

La frase del tradimento potrebbe essere questa: “Tu manchi apposta là dove io ti ho forzato di esserci”.

Ad essere colpito e affondato è il desiderio: da qui l’angoscia, anche nella formulazione freudiana di inesprimibilità libidica.

 

Il rimpianto allora è un piangere ulteriormente (ri) sul tradimento che l’altro (uomo donna amico padre madre figlio sorte destino etc.ha compiuto verso la mia fede.

 

Non dimentichiamo, infine, che chi rimpiange e soffre per questo sentimento si sente sempre in buona fede.

 

 

GUIDO VITTORIO SAVIO

 

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