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SUPERFICIALITA’

Nietzsche affermava che non esiste maggiore profondità in un essere umano che la sua superficialità.

Molti di noi sono abituati infatti alla cosiddetta “introspezione”, al dirigere il nostro pensiero sempre in maggiore “profondità” per capire la nostra realtà intima, la nostra vera sostanza, l’essere recondito delle nostre passioni e delle nostre debolezze, il nocciolo della nostra questione.

Tuttavia molto spesso questi pensieri si aggrovigliano su se stessi come lenze di pescatori e non si districano più. Il motivo? Perchè noi cerchiamo troppo dentro noi stessi e troppo poco nel rapporto che abbiamo con gli altri e con il mondo.

Ci illudiamo che esista una nostra verità sottomarina che a tutti i costi deve essere scandagliata. Ma in questo modo entriamo narcisisticamente in noi stessi, attraverso un continuo guardarci, pesarci, verificarci, auscultarci alla spasmodica ricerca di una risposta.

Ma il Menestrello ci ha insegnato che “risposta non c’è, o forse ci sarà”. E in effetti la nostra vita è questa: una domanda continua. Il nostro stare bene o il nostro stare male ha a che fare con il volere o meno a tutti i costi la risposta.

Allora la superficialità. Superficialità che è vivere di pelle, proprio nel senso della superficie che entra in contatto con l’altro e con il mondo. Lì è la nostra patria: nella superficie con cui noi sappiamo e vogliamo metterci in relazione.

Superficialità è l’essere della nostra leggerezza di pensiero e di azione.

Io vedrei colui che cerca dentro di sè a tutti i costi la risposta nella “profondità”, una specie di integralista, uno che non si ama se non nell’oscuro del suo mare, uno che non si perdona niente, uno che, proprio per questo, attacca la diversità dell’altro e fa di questo attacco un motivo di vita, una propria guerra santa.

Superficialità è il fare. Il fare quotidiano.

Superficialità è il poter dire ma fare a meno perchè il caso non lo richiede (ricordo infatti che lo stesso Nietzsche affermava che bisogna parlare solo quando non è lecito tacere).

Superficialità è il non eccedere, il non essere troppo pesanti per noi stessi e per l’altro.

Superficialità è ciò che di noi è “leggibile” di primo acchito, senza “approfondimenti”, senza meditazioni, senza mediazioni, essendo, e Dante fa scuola, che l’ineffabile è il “prodondo”, il sommerso.

Superficialità è antidoto all’enfatizzare le nostre cose, se si vuole, al farle più grandi di quello che sono, e dunque antidoto alla angoscia.

Superficialità è la “facilità” del vivere, del vivere il giusto amore per se stessi, lontani dalle forme della fissazione sul proprio interno e lontani così da ogni forma di integralismo.

Questa superficialità è la nostra immediatezza e la nostra naturalità: quella che si legge negli occhi, nella pelle, nelle labbra.

Guido Savio

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