STAMPA-Stampa 

FELICITA’ SENZA PASSIONE?

Ho appena terminarto di leggere un libro di Antonio Trampus del titolo “Diritto alla felicità” e ne sto leggendo un altro di Fulvia de Luise e Giuseppe Farinetti dal titolo “Storia della felicità. Gli antichi e i moderni”.

I testi non si differenziano grandemente: si tratta di percorsi dentro la storia del diritto e dentro la storia della filosofia che tentano di rintracciare il “posto” della felicità nello sviluppo del pensiero dell’uomo, che ovviamente, si è posto da sempre, il raggiungimento di questo fine come il primario della propria esistenza.

Queste letture mi hanno fatto sorgere una domanda. Ma è poi devvero possibile “studiare” la felicità ? Oppure noi uomini siamo fatti per provare solo un certo senso di struggimento per essa, una volontà di “tragicizzarla” forse, di enfatizzarla, di coltivarla con pensieri e con parole forti e al tempo stesso poetiche? Di esaltarla. Di farla una vera e propria passione? Di consumarla al momento? Di perderci dentro per quei pochi momenti in cui essa ci si concede?

Mi chiedo se è possibile una felicità della prosa, della stabilità, della quotidianità? Del benessere, della serenita? Non so.

Forse che l’uomo non la deve intimizzare al massimo la sua esperienza di felicità e sentirla solo sua, (e forse anche un po’ “dolorosa”), privata e solo spartibile nel rapporto d’amore con l’altro?

Forse che l’uomo per sentire veramente nella pancia e nella pelle la felicità deve anzitutto sognarla? Esaltarsi per essa?

Guido Savio

  STAMPA-Stampa