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TEMPO AL TEMPO

TEMPO (BESTMIT, ERLEUCHTETES SU SEHEN NICHT DAS LICHT)

TEMPO

Da che ora della notte è che la notte è veramente passata? Il tempo della notte non è lo stesso tempo del giorno: è lento e noi dobbiamo dare tempo al tempo che passi. Non esiste altra pratica. Il tempo non è il nostro contenitore ma il nostro contenuto: noi lo viviamo come viviamo la nostra presenza, il nostro esserci, il battito del cuore, il respiro sereno o irrequieto.

Se io fisso il mio pensiero su di una parte del mio corpo il tempo rallenta ulteriormente la sua corsa. Il pensiero allora si sovrappone al tempo ed io aspetto il suo passare, chiedo che passi, a volte senza nemmeno sapere verso che cosa.

Non si può né scrivere, ne dire, nè pensare tutto il pensato, come non si può mettere argine al tempo: ci si annegherebbe.

In-essere, afferma Heidegger. “In, hah”, abitare. Chissà mai chi abita dentro di noi se manca il tempo per viverlo. Ma quanto è sacro il non detto del tempo che non ci consente di dire, quelle parole che restano in gola, poi pensieri che restano in testa pallidi e timidi, quelle parole che restano nell’inchiostro dentro alla penne?

Del pensare non è possibile fare a meno. Dell’altro non è possibile fare a meno. Pensare è uguale a fare vivere l’altro, dentro e fuori di noi, è tenere viva la alterità parlando a se stessi. Si pensa il pensiero. Chi sia poi il “se stesso” a cui si parla? (Gilbert Ryle). E’ impensabile la non relazione.

Non essendo non pensabile il non pensiero non può non esistere. Non può non farci esistere. Il pensiero ha sempre una sua “prassi”, in qualche modo è pratico perchè porta da una parte all’altra.

Il principio di realtà in Freud: “Esame di realtà: processo postulato da Freud che consente al soggetto di impedire la possibile confusione tra ciò che il soggetto percepisce e ciò che rappresenta soltanto” (Laplanche e Pontalis, Enciclopedia).

Non esiste statica ma solo dinamica. E la dinamica tra dentro e fuori e fuori e dentro. Lì dentro dove il tempo passa. La cipolla di Peer Gynt e il lamento di Qoelet sono pur sempre un tentativo di dare senso al tempo. il senso è sempre nello s-coprire. Il tempo ci dà l’abbrivio per scoprire, e non sappiamo mai cosa.

“Ma il mondo è la alienazione estrema, è cioè l’infinitamente distante da ciò che in verità è. Il mondo non è. È il contenuto di una volontà destinata a rimanere intenzione (…). La alienazione estrema è diventata non nel senso che la volontà di potenza riesce a-far-sì che l’ente non sia, ma nel senso che ormai tutto ciò che viene pensato e operato nella civiltà occidentale è ciò che si pensa si opera in relazione alla persuasione nascosta ma dominante che l’ente non sia, cioè sia un niente” (E. Severino, Il Destino della Necessità, Adelphi, Milano 1980, p. 37). Dal tempo ci sentiamo fatti vivi, esseri viventi. Ma anche fatti morti (senza che, per noi, ci sia tempo per capire.

Esiste contemporaneità dell’essere e del non essere (noi siamo e anche non siamo nello stesso tempo): fondamento della salutare contraddizione. Siamo la nostra vita e siamo anche la nostra morte. Esiste allora in noi il fondamentale dialogo interno tra il nostro essere e il nostro non essere? La alterità è il vero passaggio da una condizione all’altra?

La presenza della assenza è la condizione che consente il dialogo interiore, ma consente anche la respirazione e la vita, il moto e la penetrazione del mondo. La casa è una cavità dove si entra senza che lo spazio sia vuoto. La mano è una cavità ma nello stesso tempo è anche una propaggine. Le quattro dita sono la cavità. Il pollice (antagonista) è la propaggine. Il protagonista non può esistere senza l’antagonista: la mano ne è l’insegnamento.

“Io sono questo. Ma se ciò avvenisse più ostentatamente proprio quando ‘non’ è questo ente? E se la costituzione dell’Esserci, che è sempre mio, fosse il fondamento del fatto che l’Esserci innanzitutto, e per lo più, non è se stesso? (M. Heidegger, Essere e Tempo, Longanesi, p. 151).

BESTMIT, ERLEUCHTETES SU SEHEN NICHT DAS LICHT (destinato a vedere ciò che è illuminato, non luce)( Dicono lo dicesse Hegel morendo)

Chi ci assolve, chi ci riabilita?

L’angoscia è il nemico: e più di tutti i nostri sentimenti essa è legata legata al tempo. Forse tutti gli affetti e le passioni sono legate al tempo. L’angoscia di più, è l’ora che non ha possibilità nel futuro. Ora e non prima e non dopo. Ma ora. L’angoscia è sempre ora. L’angoscia è il futuro che non c’è.

Tempo è la massima categoria perché sposta in continuazione tutte le altre categorie, sposta i sensi e i fini.

Il tempo è la massima categoria perché è sempre una domanda. E domanda è sempre futuro. La domanda nasce dalla mancanza e dunque nasce per davvero. Inizia. E’ un ‘chi’ sempre che inizia. E chi inizia, chi domanda, comanda sempre verso la pacificazione.

Esiste tempo solo come tensione a concludere? Concludere significa rispondere alla domanda sul proprio fare. Anche nel senso di “avere fatto abbastanza”.

Guido Savio

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