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GUIDO SAVIO: PERVERSIONE E LIBERTA’

Sulla perversione

 

Il soggetto perverso
 cerca di liberarsi dall’universo paterno e dalle costrizioni della legge

Janine Chasseguet-Smirgel, Creatività e perversione

 

«Io considero la perversione come uno dei modi e dei mezzi essenziali che l’uomo utilizza allo scopo di spostare in avanti le frontiere del possibile e di impedire che la realtà resti fissata una volta per tutte».

Queste parole introduttive allo studio sulla relazione tra creatività artistica e perversione di Janine Chasseguet-Smirgel mi sembrano quanto mai significative per definire l’aspetto più qualificante e nello stesso tempo “maligno” della perversione: la coazione alla destabilizzazione delle Regole, della Legge, del Patto. Pertanto la Perversione è una fra le altre voci che si schiera agli antipodi della parola Libertà.

Il mondo perverso è mortifero in quanto perversione e sadismo sono fratelli.

Possiamo chiederci, sempre, che cosa ci faccia paura nel nostro mondo. Certo la violenza, la imprevedibilità, i disvalori, la crisi costante, il valore della vita e il valore della morte sempre più disprezzati, l’horror, il consumismo, la logica che va contronatura. Queste le paure. Se potessimo dire che il mondo melanconico (che abbiamo visto poc’anzi), alla fin fine, non produce tanti danni in quanto il melanconico se li produce da se stesso (“se li fa contro di sè”), quello perverso è senza dubbio mortifero. La logica perversa è una logica militante e attentatrice. Non sta calma, ma si muove in continuazione alla ricerca di proseliti.

La perversione si schiera contro la Legge della Natura, contro il limes, contro la limitazione di cui la morte è la prima voce.

Il pensiero perverso è un pensiero ad altissima componente confusiva in quanto vengono scambiati i termini della questione (soprattutto quella relazionale): la Libertà che è garantita dal Principio di Realtà, dalla appartenenza, dalla relazione civile, etc. viene vissuta invece nella perversione, proprio per queste stesse motivazioni come schiavitù. Il perverso si considera schiavo del mondo e delle sue leggi. Ma dentro di sé arde ardentemente per diventarne lo “schiavizzatore” (in questo senso il perverso è un militante, uno che ti vuole tirare a tutti i costi dalla sua parte) del Mondo stesso.

Vengono sovvertiti nella perversione i segni algebrici davanti ai valori: quello che è “più” diventa “meno” e viceversa, quello che è valore viene messo in discussione e il disvalore invece vie- ne seguito, motivato, giustificato come meta del desiderio.

Il perverso è un solitario, ma nello stesso tempo è un predicatore, è un diffusore della propria ideologia la cui articolazione primaria è che non esiste “essere primario”, non esiste fonte di garanzia, non esiste Legge (quella finora definita), non esiste Padre.

Ancora Janine Chasseguet-Smirgel nella sua opera già citata: «(Quello perverso) È un universo sottoposto alla abolizione più completa dei limiti tra gli oggetti e persino tra le molecole, un Universo che è diventato malleabile nella sua totalità (“Si può ricavare qualunque cosa”). È un universo senza padre, ove il soggetto si autoconferisce i poteri del creatore».

Tra l’altro, anche a livello storico-sociale la perversione e i comportamenti perversi hanno sempre preceduto i grandi sovvertimenti storici: la caduta dell’Impero Romano, ad esempio, come sappiamo, ha coinciso con la diffusa decadenza dei costumi.

È d’altra parte è ormai scontato il rapporto tra l’avvento del nazismo e la dissolutezza del comportamento sessuale, al punto che il travestitismo era una “moda” culturale e di spettacolo negli anni precedenti la salita al potere di Hitler, fatto di cui troviamo testimonianza in numerosi film. Pensiamo ad esempio a Cabaret, L’uovo del serpente, e anche La caduta degli dei. In quest’ultimo film Visconti immagina che il protagonista si abbandoni all’incesto con la madre, si vesta come Marlene Dietrich in L’angelo Azzurro e violenti una ragazzina che, per reazione, si suicida. È questo un rimando alla stupro e al suicidio di Matriosa nei Demoni. Lo Stavrogin di Dostoevskij appartiene ad un partito di nichilisti russi, e continuamente aveva in bocca la sua frase che io vedo come concentrato della perversione: “Bisogna avere sempre vergogna per le proprie idee”.

Gli scritti del Marchese De Sade (ai quali Dostoevskij fa tra l’altro riferimento quando Chatov accusa Stavrogin di essere un dissoluto) sono contemporanei alla Rivoluzione francese, e con gli sviluppi rivoluzionari più significativi è intrecciata la vita dell’autore stesso.

In Le centoventi giornate di Sodoma di Pasolini il rapporto sessuale è il protagonista principale. In Sade esso è quasi sempre una attività di gruppo nella quale i protagonisti, costruendo posizioni sessuali (e ginniche) estremamente complesse, che sono poi disfatte e trasformate, sono uomini e donne, bambini e vecchi, vergini e prostitute, suore e maitresses, madri e figli, padri e figlie, fratelli e sorelle, zii e nipoti, nobili e plebei. Tutti mescolati. Tutti insieme. È la indistinzione la parola d’ordine della perversione.

Tutto è confuso nella perversione, tutte le leggi sono sovverti- te, tutto ha cambiato di segno. «Saranno tutti mischiati, tutti stra- vaccati su cuscini, in terra, a mo’ di animali, si cambierà, si farà incesto, adulterio, sodomizzando». Questo è il manifesto delle Centoventi giornate. “Mischiare” potrebbe essere intesa come la parola d’ordine dell’intero mondo fantastico e perverso di Sade. Come nella Babele biblica.

È questo in sostanza l’Universo del sacrilegio, tutto ciò che è tabù, proibito o consacrato (ovvero tutto ciò che è sancito come articolo della Legge) è divorato dal tratto digerente, un enorme apparato triturante che disintegra le molecole stesse della Legge allo scopo di ridurla ad escremento.

L’eroe dei romanzi di Sade si mette sempre al posto di Dio e diventa, attraverso un processo di distruzione, il creatore di una nuova realtà.

Invece noi sappiamo, la nostra storia lo testimonia, come la Legge proceda invece dalla distinzione, dal non mescolare, come più volte viene ripetuto nella Torah: «Non farai cuocere un capretto nel latte di sua madre».

Il bisogno del perverso è quello di abolire l’Universo sessuale, la differenza tra i sessi (da cui invece siamo partiti per il nostro discorso sulla Libertà), il bisogno è quello di sovvertire la realtà in quanto la abolizione delle differenze, illusoriamente, dovrebbe prevenire la sofferenza psichica a tutti i livelli: sentimenti di inadeguatezza, di perdita, di castrazione e morte non esistono più, esiste il potere, esiste la hybris, il peccato dei peccati (a partire dalla civiltà greca fino a quella giudaico-cristiana).

La perversione si sposa con l’ambire, l’ambizione di cui la hybris è la estrema conseguenza. Pensiamo ancora ai personaggi luciferini come Caligola, il dottor Moreau, il dottor Jekill, Hans Bellmer, la cui frase programmatica potrebbe essere questa: «Il corpo può essere paragonato a una frase che ci invita a disarticolarla nei suoi elementi di base per ricombinarla poi in una serie di anagrammi senza fine».

La Storia nostra umana si è evoluta attraverso conflitti e innovazione con la realtà delle cose, ma mai pervertendole.

L’ambizioso si dirige verso il Tutto, il tutto possibile, non verso l’Universale come garanzia della Legge, ma verso il Tutto del rispecchiamento soggettivo, verso il Tutto della padronanza dell’oggetto. Il Tutto di Narciso insomma.

E quando l’“oggetto” della ambizione nel perverso non vie- ne raggiunto, qualcosa dentro brucia, i sintomi della ambizione mancata sono per l’appunto i bruciori. Quando qualcuno manca qualcosa dice: “Mi brucia dentro”. Si tratta dei bruciori uretrali che testimoniano come un investimento è andato mancato, è rimasto insoddisfatto, non sono tornati i conti che prevedevano la conquista del Tutto.

La realtà nella ambizione, viene dilatata al Tutto, essa ha perso la misura, non c’è Legge che la regoli, i termini delle condizioni iniziali sono stati sovvertiti. Il tentativo del perverso è appunto quello che potrebbe mettere in atto il bambino che vuole giocare ad un gioco senza regole. Ma noi sappiamo invece quanto i bambini si sentano rassicurati e protetti dalla continuità delle regole, dalla immutevolezza delle condizioni.

Si provi a raccontare ad un bambino piccolo una storia cam- biando anche una semplice frase da come la si era raccontata la volta precedente e ci si accorgerà immediatamente dalla sua rea- zione, di quanto la continuità (anche la ripetitività) siano per lui motivo di conoscenza della realtà e anche di autoriconoscimento.

 

Dall’esame di realtà si traccia la nostra realtà interna, si distingue, come già ribadito in precedenza, il confine tra il dentro e il fuori, ciò che la perversione, per l’appunto, si prefigge di abolire.

Il Principio di Realtà, la consapevolezza di cui parla Nagera, è la distinzione tra il Tutto e l’Universale, tra l’impossibile e il possibile, tra l’irraggiungibile e la soddisfazione plausibile. Il Tutto è la tomba dell’Universale inteso come Legge.

Il nostro Universale potrebbe essere racchiuso nella frase: “Siamo tutti uomini in quanto figli” ed è la presenza del Padre che ci fa figli. La parola figlio non ha senso senza la parola Padre da cui emana. Prima viene il Padre, la Legge, e il figlio avviene dall’amore del Padre, e i figli sono accomunati nell’Universo dal loro amore per il Padre. Questo nella Legge che purtroppo non è la Legge di questi nostri giorni bui.

Il Padre è la castrazione, contro le aspirazioni della ambizione e della hybris. Il Padre è il Creonte al quale Antigone non vuole obbedire. L’Universale è il superamento, la consapevolezza della impossibilità della propria onnipotenza (isterica in questo caso).

La perversione è sempre una sostituzione, il sostituire il Tutto (impossibile) all’Universale unico foriero di salute, oppure la parte al tutto, come avviene nel feticismo. Non ci fermeremo qui più di tanto a parlare del feticismo se non per dire che il feticcio non è la ragazza con le calze a rete, ma le calze a rete senza la ragazza, ovvero la sostituzione dell’altro con un “oggetto”, la sostituzione del rapporto con l’altro con un rapporto con l’oggetto. Feticismo è abolizione della relazione, il tacitare l’esame di realtà, il percorso a ritroso dall’Universale (dato dalla ragazza con le calze a rete in quanto altro di un ipotetico e possibile rapporto) al Tutto delle calze a rete (in quanto oggetto puro e semplice).

E afferma ancora Janine Chasseguet-Smirgel nell’opera già citata:

Le nostre idee sono qui convergenti con le nostre conclusioni circa la ribellione del perverso contro la legge universale promulgata dal complesso edipico (…) Il feticcio è come una bacchetta magica. La sua presenza modifica la realtà. Il teatro in cui si rappresenta il dramma umano, con i suoi dolori, le privazioni, le rinunce, le ferite, diventa allora il paese delle fate dove i senti- menti di inferiorità di perdita e di morte non esistono più.

L’elisir di lunga vita, la illusione vecchia quanto il mondo di arrestare la naturalità legale della Morte.

Il darsi un feticcio, un oggetto sostituente (e la nostra società è stracolma di questo tipo di attrazioni), è come praticare la imbalsamazione, la ibernazione, la clonazione, etc., ovvero rincorrere l’og- getto a proprio uso e consumo senza che ci sia lavoro per la relazione.

La storia recente della nostra società comprende il feticismo come sostituzione con l’oggetto al posto della relazione. Noi ci cibiamo, anche nel nostro Spirito, di oggetti e sempre meno di relazioni. A proposito mi sono chiesto più volte se il cosiddetto status symbol costituisca un feticcio.

Il feticcio consente quello che nella realtà non è consentito (pena il patimento di grosse pene), ovvero la idealizzazione, lo snaturare la propria fisicità, la propria corporeità, anche l’altro per ridurlo ad “oggetto” per l’appunto.

L’idealizzazione è una componente fondamentale nella de- terminazione del feticcio. Il corpo della imbalsamazione viene dipinto, inanellato, truccato, viene trasformato in dio. Infatti il verbo francese maquiller e quello inglese to make up significano sia colorarsi la faccia, sia mascherarsi, travestirsi, nascondersi, trasformarsi. Ricordiamo che Mosè scaglia le Tavole della Legge proprio su idoli e feticci.

Idoli e feticci sono infatti entità opposte alla divinità. Dio è il Padre e l’Universale, il feticcio è il particolare che viene fuori dal desiderio del soggetto perverso di non avere nulla a che fare con l’Universale perché troppo “costrittivo” nei suoi confronti, troppo “limitativo”.

 

GUIDO SAVIO

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