PIANGERSI ADDOSSO
Eppure dobbiamo riconoscerlo. Tutti. Tra le nostre occupazioni principali, a volte giornaliere, se non addirittura mattutine-pemeridiane-serali, c’è quella del “piangerci addosso”.
Evento che però ci risulta assolutamente facile da vedere, anche se mai “condivisibile”, nell’altro, ma mai in noi stessi, come scendesse una cortina di ferro. Perché noi, su queste cose “vergognose” ci chiamiamo sempre fuori. Ovvero noi non ci “piangiamo mai addosso”, a farlo sono solo gli altri.
Non ci viene infatti da “capire” quando siamo noi che lo facciamo il nostro piangere. Perché? Perché esiste sempre, in noi, il dubbio, che la nostra sia una “cosa seria”, una “causa seria” e che noi abbiamo tutto il diritto di dirigere le nostre cure verso noi stessi che stiamo soffrendo. Mentre invece gli altri sono delle mezzetacche che non sanno fare fronte al loro dolore. Mentre il nostro dolore è sacrosanto.
Purtroppo però, l’unica medicina valida, e tutti lo sappiamo, è quella di distogliere il pensiero dalla nostra lacrima e dal suo intrinseco motivo. Lo esigiamo dagli altri, ma la questione diviene drammatica quando lo dobbiamo fare per noi, e infatti non lo sappiamo fare. Quasi sempre falliamo. Ma la lingua non mente. “Piangerci addosso” significa proprio “addosso”, ovvero contro di noi. Ma noi non sappiamo avere “cura” di noi. Sappiamo unicamente additarla agli altri, sulla pelle degli altri la cura. Mai sulla nostra.
Per questo è nella natura dell’uomo continuare a farsi del male, prendendo a prestito, a credito forse, la presunzione di “capire” la debolezza dell’altro, ma mai la nostra.
Guido Savio