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GUIDO SAVIO: “DI CHI IO SONO IL PROSSIMO?”

DI CHI IO SONO IL PROSSIMO?”

Penso che per definire il “mio” prossimo, tutto sommato, non esistano grandi difficoltà. A meno che non siano ideologiche, culturali,

geografiche, del colore della pelle e tutte queste belle amenità.

Penso anche che, per definire “di chi” Io sia il prossimo, qualche asperità morale e soprattutto comportamentale ci sia.

Asperità nel mettere in pratica l’essere Io stesso  prossimo per l’altro (“Non chiederti chi è il tuo prossimo ma chiediti di chi tu sia il prossimo”, parola di Gesù nel Vangelo). Della parola “prossimo” le prime accezioni che mi vengono in mente sono due parole: accettazione, la prima e (molto più difficile) servizio la seconda.

Servizio vuol semplicemente dire “esserci”, come si può e quanto si può e come si può. Nulla di più.

Ogni uomo ha come prossimo tutti gli uomini. Ci si guarda come prossimo tra padre e figlio, tra fratello e sorella, tra uomo e donna, etc. Giudizio. Giuridicità. Certo che più sono i chilometri di distanza e i fusi orari si fa fatica a dire “di chi io sia il prossimo”. Ma la natura umana è fatta soprattutto di limiti. E di superamento dei limiti.

Da questa premessa di giuridicità (ius, giusto, che va bene così e non ci sono discussioni, un assioma insomma) c’è lo scambio (accorciamo i chilometri). Due soggetti si danno qualcosa uno dell’altro traendone reciproco beneficio solo se c’è mutualità (che è il cardine dello ius, della Legge, del Patto tra persona, del rispetto, della accoglienza, della rinuncia, etc. La carità (quella della vil moneta) non paga. E anche il beneficio ha le proprie leggi di cui questa è una delle formulazioni: «Agisci in modo che il tuo bene – beneficio, guadagno, profitto, vantaggio – si produca dal rapporto con un altro dall’universo illimitato di tutti gli altri».

Il Bene è lo scambio, l’atto del passare di un valore da un soggetto ad un altro. Qui la Legge, qui la Legge dell’Amore che prevede che io non possa trarre vantaggio da te indipendentemente dal fatto che tu ne tragga da me. I rapporti amante/amato, amico/amica, maestro/allievo e quant’altri sono tali in quanto un bene passa, in quanto le entità in relazione sono complementari e compenetranti. L’una è perchè c’è l’altra. Come avviene nel rapporto sessuale, che è atto giuridico prima di tutto in quanto il suo avvenire è determinato dal fatto che l’una parte si pensi e si senta tale per il fatto che c’è la pre- senza dell’altra. Legge in quanto Natura dice che c’è cavità e protuberanza e lo scambio non può avvenire se non al di fuori di questo riconoscimento.

Il riconoscere la “prossimità” come  presenza fondamentale dell’altro per noi (e di noi per l’altro) diviene statuto, patto in cui la alterità è l’unica condizione legale (la distanza giusta tra me e l’altro, questa è la Legge). Noto anche che la presenza dell’altro è la condizione per cui noi viviamo lo stato di mancanza della nostra onnipotenza, salutare, vivifica mancanza.

Una signora mi ripeteva nelle sedute  che il proprio padre le “richiedeva”, nel profitto a scuola, quell’in più che lei non aveva e quindi non poteva dare (“Certo – le diceva sempre il padre – che qualcosina in più potresti farlo!”). Ma nessun “in più” esiste nella realtà, l’”in più” è solo una teoria che noi ci costruiamo. Ritengo che questa relazione dimostri quale possa essere il contrario di “prossimità”, che in ogni caso è dialogo, ascolto e accettazione del proprio e dell’altro limite.

È sempre attraverso l’altro che il soggetto avviene, si sostiene, trova credito come affermava a suo tempo anche Montaigne. Nulla di più. «La nostra anima si muove soltanto a credito, legata e costret- ta al desiderio delle altrui fantasie. In quella scuola che è la so- cietà degli uomini ho spesso notato questo vizio: che, invece di cercare di conoscere gli altri, ci affanniamo soltanto a conoscere noi stessi, e siamo più solleciti di vendere la nostra merce che di acquistarne della nuova». L’Io così inteso da Montaigne è spostato, forse chimerica- mente riposto nel pensiero altrui, ma l’Io sa di essere altro anche rispetto a se stesso, ognuno di noi ha la rappresentazione (rappresentanza) di una alterità interna a se stesso (e sarà poi questa rappresentazione di alterità che gli permetterà di fare patto con un altro reale nella stesura della legge della relazione). “Io ho Altro dentro di me”.

Sempre Montaigne:«Quell’altra mia vita che risiede nella conoscenza degli amici miei (…) Io adesso e io poc’anzi siamo due».

GUIDO SAVIO

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