-Email -Email   STAMPA-Stampa 

Guido Savio: Dostoevskij e perversione ( la vergogna per le proprie idee)

Dostoevskij e perversione
( la vergogna per le proprie idee)

 

 

Nel sesto capitolo del suo I Demoni Dostoevskij fa dire a Petr
Stefanovic: “Beh, infine, la forza principale, il cemento che lega tutto,
è la vergogna delle proprie idee”. Il capitolo in cui compere questa frase
è intitolato Petr Stefanovic si dà da fare.

Ma che cosa si può intendere per “vergogna per le proprie idee”?
Quelle che comunemente si intendono per idee di un soggetto,
rappresentano, oltre che la espressione del diritto del singolo, il modo
che egli sceglie di porsi nella relazione con l’altro e il modo in cui la
propria singolarità prende distinzione.

Non necessariamente le idee si sovrappongono alla ideologia. Le
idee sono la ragione pratica di un soggetto che, esercitando una competenza,
cerca di portare a conclusione (soddisfazione) il proprio moto pulsionale.
La “buona idea” presuppone che essa sfoci naturalmente in una
azione, dunque vada ad innescare quel meccanismo che fa sì che possa
avvenire (nell’augurio, perchè non sempre si perviene a questo buon fine)
una concludenza, un concludere il moto pulsionale. La “buona idea” si cala
nella mente del soggetto nel momento in cui costui è alle prese con la
soluzione di un problema, per cui la “buona idea” è quella che scioglie
il dubbio o dà il via alla principiazione della soluzione del problema
stesso.
Le buone idee possono entrare come corpi enciclopedici nella
competenza del singolo che ne fa un repertorio accessibile ogni qual volta
egli è chiamato a dirigersi da qualche parte.
Poi le idee indicano un valore, nel senso della stima, che va a
costituire l’identità del soggetto stesso che viene ad essere “colui che
sa fare le proprie idee”, fare nel senso di mantenere vivo fino a
conclusione.

Idee sono anche le teorie infantili che presuppongono una elaborazione
quali castrazione, paternità, alterità, generazione. Queste teorie sono
“buone idee” in quanto rimandano al cespite primario che è quello della
Legge. Ogni buona idea è una idea di legge sorretta dalla facoltà di giudizio
nella ragion pratica che ha portato (dopo lavoro) il soggetto ad esprimere
una sua competenza nel campo del diritto.
Come dire che “alle proprie buone idee ognuno ha diritto” (diritto
conseguente alla elaborazione delle prime idee, prime tra tutte paternità
e castrazione).
Ora Petr Stefanovic parla di “vergogna delle proprie idee” ,
condizione che non può che verificarsi  in un contesto di perversione.
La vergogna per le proprie idee, proprio per quanto detto finora, è azione
di perversione. Sovversivo è il progetto di Petr Stefanovic ne I Demoni.
E vediamo allora in che cosa consiste la sovversione.


Nel Corso tenuto da G.Contri nell’ambito dell’attività di Il
Lavoro Psicoanalitico dal titolo “Psicologia II : Psicopatologia”, lo
stesso fa un discorso di questo tipo a riguardo della perversione:
“Perversione è l’atto di chi perverte la dottrina, la corretta dottrina.
(…) Il perverso è quello che perverte la dottrina nella testa di coloro
che aderiscono a quella dottrina, facendo credere a colui che aderisce a
quella dottrina che ciò che dice potrebbe sì voler dire ciò che lui pensa,
ma potrebbe voler dire anche una infinità di altre cose”.
L’infinità di altre cose è per Petr Stefanovic la vergogna, cioè
il sovvertimento della stessa buona idea. Sovvertimento nel cambio del
segno, da buona in cattiva, meritevole di biasimo.

La perversione si scopre allora in tutte le sue carte, sovversive
verso l’ordine e la Legge che sono prodotte dalla idea per cui si sta
assieme, il patto o l’alleanza della relazione (sempre sancita in una idea
o in un insieme di idee).
E ancora Contri afferma nel lavoro già citato: “La perverione è
innanzitutto una teoria, una teoria pratica, ossia di auelle che passano
immediatamente all’atto. (…) Perversione è attiva. Una volta che si
diventa avveduti a questo riguardo si coglie addirittura il carattere
militante della perversione”.
Proprio per questo il riferimento al capitolo de I Demoni, in
cui Petr Stefanovic “si dà da fare”, manifesta la sua militanza di
perversione.
Abbiamo accennato in precedenza che la sovversione operata da
Petr Stefanovic non è tanto quello operata contro lo Stato o contro lo Zar
(anche quella era) ma il suo disegno di relazionarsi con l’altro, con il
gruppo di congiurati, nel nostro caso, pervertendo le stesse idee,
propagandandole come vergognose, da “buone” che in realtà erano (anche
una idea di destabilizzazione di un “ordine cattivo” può essere una “buona
idea”).

 

La perversione, come psicopatologia, è il “disdire la legge”, una
esautorazione nei confronti del diritto dei soggetti a pensare bene le loro
cose che pensano bene. Il pensare bene è riferito al Principio di Piacere.
Dunque il perverso è uno che perverte e perverte l’altro nel diritto a
pansare al proprio Principio di Piacere. Allora la perversione è una
neuropsicosi da… offesa ( e Petr Stefanovic è un artista
nell’offendere!).
Il perverso perviene alla perversione in quanto c’è stata
mancanza di di rimozione, e allora Freud afferma che la perversione è la
negativa della nevrosi, in quanto emerge, senza essere stata rimossa, la
sessualità infantile.

 

Nel saggio di Freud Dostoevskij e il parricidio emergono le
caratteristiche perverse dello scrittore, soprattutto legate alla passione
per il gioco che Dostoevskij usa come sistema (era proprio un sistemista)
per pagare il fio, la colpa (attraverso le continue perdite) della pulsione
aggressiva e di morte nei confronti del proprio padre.

La perversione di Dosteovskij emerge anche nell’episodio
dell’abuso sessuale da parte di Stavrogin nei confronti di una
quattordicenne, abuso che lo stesso Dostoevskij ebbe a commettere e
confessare più volte e in seguito a inserire ne I Demoni sotto il titolo
Confessione di Stavrogin.
Quello che purtuttavia emerge chiaramente nel saggio di Freud è
che la perversione di Dostoevskij è legata ad una “predisposizione pulsionale che doveva renderlo proclive al masochismo e alla delinquenza
facente capo al parricidio”.
Il bisogno di punizione di Dostoevskij è preso in mano dal Fato
che lo fa perdere al gioco, o dalla polizia zarista che lo relega in Siberia
(il periodo siberiano ha coinciso con una remissione degli eccesi
epilettici che Freud vede di possibile marca isterica).
In quanto teoria, in quanto attività, la perversione si rivela
essere masochismo morale, e Dostoevskij fu moralista, che professò il
proprio masochismo morale in tutte le sue più disparate forme (teorie).

 

GUIDO SAVIO

-Email -Email   STAMPA-Stampa