-Email -Email   STAMPA-Stampa 

GUIDO SAVIO: “STUPIDO E’ CHI LO STUPIDO FA” – SULLA UMANA STUPIDITA’ (SECONDA PARTE)

 

 

“STUPIDO E’ CHI LO STUPIDO FA”

(SECONDA PARTE)

 

E la stupidità vince sempre. Come dicevo proprio perché contro chi non ha niente da perdere non è possibile né l’incontro né la battaglia.
Basta studiare la storia o semplicemente osservare il mondo che ci circonda per avvalorare questa tesi.

Il potere, per dominare le masse, ha un bisogno essenziale di favorire la crescita della stupidità e si serve anche di guru più o meno carismatici che fingono di essere in grado di abbatterlo. E chi pensa di affidare acriticamente la propria vita ad una presenza salvifica che non permette nemmeno il dissenso e induce a sclerotizzarsi nei giudizi, ( “chi non vota quel partito è stupido“), è funzionale al potere.

Che la stupidità abbia sempre governato il mondo è davanti agli occhi di tutti gli esseri pensanti. Basta pensare solamente a chi distrugge quotidianamente la terra, sia che si tratti di una persona che detiene il potere o di un comune cittadino.
Lo stupido non reca solo un danno agli altri, ma anche a se stesso.

Questo differenzia lo stupido dal cattivo. Il primo commette un’azione che lede gli altri senza ricavarne un beneficio per sé, il secondo ne trae un giovamento.

Lo stupido è incapace di giudicare e, non potendo discernere, non incorpora conoscenze. È convinto di sapere tutto e non sente il bisogno di accumulare esperienze. Anche l’ignoranza può costituire una parte integrante della stupidità. Ma un’ignoranza voluta, cercata con ostinazione; esistono infatti due categorie di ignoranti. L’ignorante passivo non è mai presuntuoso, cerca continuamente di apprendere e di superare i propri limiti, l’ignorante attivo si guarda bene dal farlo ed è spesso logorroico.

Di una cosa, però, possiamo avere la certezza: gli stupidi hanno rappresentato e rappresentano sempre la maggioranza e dobbiamo farcene una ragione. Nulla può convincere uno stupido a cambiare opinione ed ampliare i propri orizzonti.

Non resta altro da fare che osservarne tristemente le conseguenze e leggere i pensieri di tutti coloro che hanno messo in rilievo le sue nefaste ripercussioni sulla nostra vita.
Forse un giorno sarà istituita una disciplina che studi tale fenomeno: la “stupidologia”.

Chissà chi frequenterà un corso del genere. Sarà forse come frequentare un corso di psicologia che schematizza la complessità della mente umana?
Speriamo di no. La stupidità potrebbe anche arrivare a questo.
Un modo per estraniarsi dalla stupidità umana è indubbiamente il silenzio. Mai discutere con gli stupidi.
La capanna ha raccolto alcuni pensieri significativi su una delle principali disgrazie che condiziona la nostra vita. O forse la disgrazia per eccellenza a cui non si può porre rimedio.

 

Allora (cambiando repertorio ma non argomento) uno storico ed economista (a dire il vero con mia grande sorpresa) scrive alcune pagine sulla stupidità umana e ne stigmatizza addirittura cinque leggi fondamentali. Le elenco qui sotto senza tanti commenti in quanto si tratta di “osservazioni” che già abbiamo avuto modo di vedere.

Le cinque leggi fondamentali della stupidità di Carlo M. Cipolla

 

Prima Legge Fondamentale: Sempre e inevitabilmente ognuno di noi sottovaluta il numero di individui stupidi in circolazione.

Seconda Legge Fondamentale: La probabilità che una certa persona sia stupida è indipendente da qualsiasi altra caratteristica della persona stessa.

Terza (ed aurea) Legge Fondamentale: Una persona stupida è una persona che causa un danno ad un’altra persona o gruppo di persone senza nel contempo realizzare alcun vantaggio per sé od addirittura subendo una perdita.

Quarta Legge Fondamentale: Le persone non stupide sottovalutano sempre il potenziale nocivo delle persone stupide. In particolare i non stupidi dimenticano costantemente che in qualsiasi momento e luogo, ed in qualunque circostanza, trattare e/o associarsi con individui stupidi si dimostra infallibilmente un costosissimo errore.

Quinta Legge Fondamentale: La persona stupida è il tipo di persona più pericoloso che esista.

Corollario: Lo stupido è più pericoloso del bandito.

 

Sulla pericolosità della stupidità (riprendio io) val la pena soffermarci un attimo. Lo stupido non ha nulla da perdere in quanto non ha capacità di pesare o fotografare la realtà. Si potrebbe definire una “mina vagante” proprio perché è intrattabile, intrattenibile, nè il Logos né la dialettica gli appartengono.

A questo punto del mio discorso, per diletto del lettore e per alleggerimento voglio riportare qui (ovviamente “scaricate” dalla rete) una serie di frasi famose, come si dice, di uomini non stupidi, in merito alla stupidità. Vorrei ricordare al lettore che tutto quello che segue sono “giudizi” e l’importanza del giudizio sul dato della realtà è vitale sia per chi lo esprime e (ahimè se fosse vero) anche per chi lo riceve.

 

“Contro la stupidità anche gli dei sono impotenti. Ci vorrebbe il Signore. Ma dovrebbe scendere lui di persona, non mandare il Figlio; non è il momento dei bambini” afferma sulla stupidità . John Maynard Keynes.

 

E come ho avuto modo di dire all’inizio la stupidità è sostanzialmente antieconomica: porta danno a chi stupido è, a chi lo stupido fa e a chi lo stupido ospita.

 

Allo stupido manca la abilità, come sostiene ancora Robert Musil:

 

“Il legame originario della parola “stupido” con la rappresentazione generale della mancanza di abilità – sia nel significato di mancanza di abilità in tutto sia nel significato di generica mancanza di abilità – ha una conseguenza giustamente impressionante: potendo significare l’incapacità generica, le parole “stupido” e “stupidità” possono all’occasione saltar fuori al posto della parola che indica l’incapacità specifica” scrive ancora Musil.

E ritorno alle…frasi famose.

Di volta in volta possono cambiare gli argomenti, ma la stupidità terrà il suo tribunale in eterno. Ernst Jünger.
È difficile individuare lo stupido. Uno stupido può prendere anche il premio Nobel. Umberto Eco.

Di tutti i miracoli di Gesù menzionati nei Vangeli, nemmeno uno si riferisce alla guarigione di un stupido. Tanto è incurabile la stupidità.
Constantin Stoica.

Gli stupidi non sono così stupidi, sono sempre in maggioranza. Stanislaw Jerzy Lec.

Niente è più pericoloso di uno stupido che afferra un’idea, il che succede con una frequenza preoccupante. Se uno stupido afferra un’idea, è fatto: su quella costruirà un sistema e obbligherà gli altri a condividerlo. Ennio Flaiano.

Perché l’intelligenza umana ha dei limiti, e la stupidità no? Georges Courteline.

Non discutere mai con un idiota: la gente potrebbe non notare la differenza. Arthur Bloch.

Quando nel mondo appare un vero genio, lo si riconosce dal fatto che tutti gli idioti fanno banda contro di lui. Jonathan Swift.

Il primo uomo fu Adamo; il primo imperatore romano Cesare, il primo anarchico Bakunin o Socrate, e il primo comunista, a scelta, Proudhon, Karl Marx, Lenin o Gesù…
Nessuno sa, tuttavia, chi potrebbe essere stato il primo imbecille. Laurent Gouze.

Il saggio sa di essere stupido, è lo stupido invece che crede di essere saggio. William Shakespeare.

Niente è più bello dell’ascoltare un cretino che tace. Helmut Qualtinger.

Per il computer è più facile imitare la nostra intelligenza che le nostre particolari forme di stupidità. Aaron Haspel.

Un uomo buono può essere stupido e tuttavia rimanere buono. Ma un uomo cattivo non può assolutamente fare a meno di essere intelligente.
Maksim Gorkij. (a mio modo di vedere questa è la migliore).

Il problema dell’umanità è che gli stupidi sono strasicuri, mentre gli intelligenti sono pieni di dubbi. Bertrand Russell (anche questa non è male).

Non dubitando mai di sè, lo stupido dispone di una sorta di resistenza obiettiva contro le prove della vita, uguale a quella rigidità muscolare.
Gheorge Gricurcu.

Meglio perire per mano degli stupidi che averne gli elogi. Anton Čechov.

Si vive in un’epoca in cui solo gli ottusi sono presi sul serio, e io vivo nel terrore di non essere frainteso. Oscar Wilde (la solita maestria aforistica!)

Quando mai uno stupido è stato innocuo? Lo stupido più innocuo trova sempre un’eco favorevole nel cuore e nel cervello dei suoi contemporanei che sono almeno stupidi quanto lui: e sono sempre parecchi. Ennio Flaiano.

 

Ogni volta che la televisione ti sembra aver raggiunto il limite più basso, arriva un nuovo programma a farti dubitare di dove credevi che fosse il limite. Art Buchwald (O tempora, o mores).

L’uomo è stupido, fenomenalmente stupido. Fëdor Dostoevskij.

Sono incline a dubitare di qualsiasi complotto, perché ritengo che i miei simili siano troppo stupidi per concepirne uno alla perfezione.
Umberto Eco.

Le persone più stupide che conosco sono quelle che sanno tutto. Malcolm Forbes (mai parole più vere furon dette!).

Almeno due terzi delle nostre disgrazie nascono dalla stupidità umana, dall’umana malvagità e da quelle grandi motivazioni e giustificazioni di malvagità e stupidità che sono il dogmatismo e lo zelo proselitistico al servizio di idoli religiosi o politici. Aldous Huxley.

È stupidità avere una risposta per tutto. È saggezza avere una domanda per tutto. Milan Kundera.

La stupidità non è una patologia, tuttavia è collegata ai più pericolosi fallimenti delle imprese umane. Avital Ronell (non concordo: la stupidità è l’olio e il sale di tutte le psicopatologie).

Il tiro peggiore che la fortuna possa giocare ad un uomo intelligente è metterlo alle dipendenze di uno sciocco.
Giacomo Casanova.

Qualsiasi stupido è capace di distruggere gli alberi; non possono né difendersi né scappare. John Muir.

Lo stupido che adora sputare sentenze sul nostro giardino, non si prende mai cura delle sue piante. Paulo Coelho.

 

Per il bene la stupidità è un nemico più pericoloso della malvagità. Contro il male è possibile protestare, ci si può compromettere, in caso di necessità è possibile opporsi con la forza; il male porta sempre con sé il germe dell’autodissoluzione, perché dietro di sé nell’uomo lascia almeno un senso di malessere. Ma contro la stupidità non abbiamo difese. Dietrich Bonhoeffer (come visto più volte in queste pagine).

Alcuni individui ereditano notevoli dosi del gene della stupidità e grazie a tale eredità appartengono, sin dalla nascita, all’élite del loro gruppo.
Carlo M. Cipolla.

La paura o la stupidità sono sempre state alla base della maggior parte delle azioni umane. Albert Einstein.

Per l’uomo non c’è altro inferno che la stupidità e la malvagità dei suoi simili. Donatien Alphonse François de Sade.

Contro la stupidità gli dèi stessi lottano invano. Friedrich Schiller.

È accaduto spesso che un malvagio abbia fatto qualcosa di buono per intelligenza, ma mai che uno stupido abbia fatto qualcosa di intelligente per bontà. Arthur Schnitzler.

La stupidità assume due forme, loquace o silenziosa: la seconda è sopportabile. Bruce Lee.

La gente crea dei gruppi per poter praticare la stupidità di gruppo. Kodo Sawaki .

 

Cos’è l’infinito? Pensa all’umana stupidità. Bertrand Russell.

 

Dovunque e comunque si manifesti l’eccellenza, subito la generale mediocrità si allea e congiura per soffocarla.
Arthur Schopenhauer.

La stupidità consiste nel voler giungere a conclusioni. Noi siamo un filo e vogliamo conoscere l’intero tessuto.
Gustave Flaubert.

Un cretino è un cretino. Due cretini sono due cretini. Diecimila cretini sono un partito politico. Franz Kafka (ahimè, ora più che mai!).

 

Gli uomini hanno il dono della parola non per nascondere i pensieri ma per nascondere il fatto che non li hanno.
Soren Kierkegaard.

Tre cose occorrono per essere felici: essere imbecilli, essere egoisti e avere una buona salute. Ma se vi manca la prima tutto è finito.
Gustave Flaubert .

Allora concludo queste mie riflessioni sulla stupidità umana con Bouvard e Pecuchet.

«Medito una cosa in cui sfogherò la mia collera. Sì, mi libererò infine di ciò che mi soffoca. Vomiterò sui contemporanei il disgusto che essi mi ispirano, dovessi spaccarmi il petto. Sarà una cosa immensa e violenta». Così scrive Gustave Flaubert alla nipote Caroline in data 5 ottobre 1872. Il progetto a cui si riferiva era quello del suo ultimo romanzo, Bouvard e Pécuchet, rimasto incompiuto e uscito postumo nel 1881, di cui si recupera, riveduta e aggiornata da Martina Cardelli, l’intensa traduzione di Gina Martini, apparsa per Allegranza nel 1944.

Doveva essere, secondo le intenzioni dell’autore, un libro sulla stupidità contemporanea, corredato da una serie di scritti che ci perverranno allo stadio di abbozzi: lo Sciocchezzaio, l’Album della Marchesa, il Catalogo delle idee chic, il Dizionario dei luoghi comuni, proposti generalmente come titoli autonomi.

È nota l’acribia con la quale Flaubert attendeva ai suoi testi, documentandosi in maniera maniacale (per Salambò arrivò a consultare più di un centinaio di opere sul tema di Cartagine, di cui parecchie di taglio archeologico). Altrettanto rilevante era l’impegno sul piano stilistico e formale, tanto che l’autore scriverà in una delle innumerevoli lettere indirizzate a Louise Colet: «Amo il mio lavoro con un amore frenetico e perverso, come un asceta il cilicio che gli raschia il ventre».

Ma con Bouvard e Pécuchet, libro profondamente satirico e dissacratorio, il cui argomento doveva vertere nientemeno che sulle varie branche del sapere, il romanziere dovette superare sé stesso e affrontare lo studio di un numero imprecisato di discipline: agronomia, alimentazione, anatomia, botanica, chimica, filosofia, fisiologia, geologia, letteratura, metafisica, pedagogia, religione, spiritismo, storia ecc. Un compito da ciclope: oltre millecinquecento volumi affrontati solo per documentarsi su un argomento che l’aveva affascinato sin da quando, nemmeno decenne, voleva stilare l’elenco argomentato delle bestialità proferite da una conoscente del padre.

La trama del romanzo è quanto mai lineare: due non più giovani bonshommes (così li definisce lo stesso romanziere), di professione copisti, frustrati e insoddisfatti del proprio tenore di vita, si incontrano per caso e, dopo una più o meno lunga frequentazione, decidono di abbandonare Parigi e andare a vivere il resto dei loro giorni in campagna.

Vengono favoriti dalle circostanze in quanto Bouvard ottiene a sorpresa una ricca eredità e Pécuchet, dopo un periodo di transizione, viene messo a riposo e può contare sulla somma relativa alla liquidazione. Qui cominciano le loro disavventure picaresche: acquistano una fattoria nel Calvados, vicino a Caen, dove sperimentano i loro metodi empirici, avvalendosi di studi improvvisati, salvo collezionare un fallimento dietro l’altro. Si inizia con l’agricoltura, si finisce con la pedagogia, nel delirante tentativo di raddrizzare le sorti di due devastanti fratellini, rimasti soli dopo l’incarcerazione del padre e la morte della madre.

Secondo Ermanno Cavazzoni, che firma l’acuta postfazione, Bouvard e Pécuchet sono due «incapaci che si erano applicati via via a tutte le scienze e alle connesse attività, in base solo a letture e teorie lette, con conseguenze all’atto pratico sempre fallimentari; la loro indomabile stupidità è data da questa loro scienza libresca che si scontra con le cose, perché ogni teoria astratta applicata alla lettera, cioè copiata ciecamente senza esperienza, come una ricetta, non funziona o funziona male».
Uno dei principali paradossi del libro, non a caso prediletto da Joyce, riguarda proprio la contrapposizione tra cultura e bêtise, tra aspetto nobile della teoria e fallimento di una prassi priva di fondamento scientifico, sfociante in situazioni grottesche e imprevedibili. Dagli episodi descritti scaturiscono non di rado aforismi che avrebbero potuto idealmente figurare in quello che era, nelle intenzioni dell’autore, il secondo volume dell’opera, laddove Bouvard e Pécuchet dovevano riprendere la loro originaria professione di copisti, aggiornandola a quelle che consideravano le loro «conquiste» sul versante intellettuale, ovverossia un rocambolesco campionario dell’imbecillità.

 

L’educazione sentimentale diventa allora una sommaria «educazione intellettuale», come suggerì uno dei maggiori esegeti di Flaubert, Albert Thibaudet, il quale scrisse al riguardo: «Nell’ultima parte, di cui abbiamo solo il disegno, si rimettono a copiare. E copiare per loro, significava scrivere Bouvard e Pécuchet. Quello che copiavano era un repertorio di tutta la stupidità umana». E ancora: «Flaubert assaporava, annusava, assaggiava la stupidità, come un intenditore normanno gusta un formaggio invecchiato».

D’altro canto «la stupidità allo stato di dualità» di cui parla il critico francese è evidenziata sia dall’aspetto fisico di questa coppia di antieroi, che non possono non richiamare alla mente il modello di Don Chisciotte e Sancho, sia dal lato opposto, pressoché complementare, del loro carattere: «L’uno era aperto, avventato, generoso; l’altro discreto, meditativo, economo». Bouvard gioviale e estroverso, Pécuchet segaligno e ascetico: coppia integrata alla perfezione. Non sono forse gli antesignani dell’odierna «tuttologia» mediatica che nasconde, dietro l’apparente enciclopedismo, una penuria imbarazzante di nozioni elementari?

Tuttavia non c’è alcun atteggiamento di distacco nei confronti di queste due macchiette, due caricature che sembrano derivare dal caustico Daumier incarnando gli aspetti più deleteri della piccola borghesia del tempo ma una sorta di immedesimazione che rinvia a ciò che sostenne, a proposito del suo romanzo più famoso, lo stesso Flaubert: «Madame Bovary c’est moi».

Scrive infatti: «Bouvard e Pécuchet mi riempiono a tal punto che sono diventato loro. La loro stupidità è la mia, e ne muoio». Non è un caso che, parlando di madame Bovary, così si esprimesse l’autore: «Alla sua sensualità si accompagnano un’immaginazione volgare e una grande ingenuità, cioè, in breve, la stupidità». Ma si pensi anche alle continue diatribe tra il farmacista anticlericale Homais e il sacerdote Bournisien, vero e proprio spaccato dell’ottusità del tempo.

Flaubert è affascinato dalla stupidità, Leitmotiv della sua opera variegata. Cos’hanno infatti in comune Madame Bovary e Salambò, le due differenti versioni dell’Educazione sentimentale e i Tre racconti, la Tentazione di sant’Antonio e Bouvard e Pécuchet? Il metodo di lavoro di Flaubert, la sua ossessiva dedizione al mot juste, ne fanno una sorta di amanuense, di artigiano d’altri tempi, teso a mettere in luce le caleidoscopiche rifrazioni di una realtà passibile di deciframento solo attraverso l’approccio lenticolare del suo Logos.

Il decimo e conclusivo capitolo del romanzo, che Flaubert non riuscì ad ultimare (morì l’8 maggio 1880, a causa di un’emorragia cerebrale), è stato integrato dalle annotazioni riguardanti la continuazione della vicenda. È significativo che il libro dovesse terminare con l’osservazione del medico condotto Vaucorbeil che ha il sapore di una sentenza: «Bisognerebbe piuttosto mandarli in manicomio».
Ma Bouvard e Pécuchet, nonostante la loro approssimazione sia diventata proverbiale, costituiscono una sorta di antidoto a quel tipo di umanità che si crede al di sopra delle parti. E, come tali, vanno riconosciuti. Non bisogna criticare chi sbaglia, ma chi crede di avere una risposta valida per ogni argomento: gli arroganti, i boriosi, i dogmatici. Altro che essere stupidi!

 

 

GUIDO SAVIO

-Email -Email   STAMPA-Stampa