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GUIDO SAVIO: “MA CHE PRESUNTUOSO CHE SEI!”

 

 

MA CHE PRESUNTUOSO CHE SEI!

Da piccoli, quando si giocava a calcio, spesso per strada, c’era ovviamente sempre ”quello” che portava il pallone. Il pallone era praticamente “suo”. Se la partita gli andava bene…si continuava a giocare. Se la sua squadra stava subendo una debacle o un punteggio tennistico, ovviamente prendeva sotto braccio il “suo” pallone e diceva la classica frase: “Beh adesso tosi, devo andare a casa”. E tutto si chiudeva lì, forse però. Infatti gli strascichi non mancavano: a volte erano semplici imprecazioni e offese, ma molto più spesso, erano scazzottature di vario ordine e grado (e non eravamo baby gangs ma semplicemente venti marmocchi che giocavano ore e ore a pallone per strada). Per inciso ho letto l’altro giorno una testimonianza di Johann Cruijff in merito al “giocare a palla per strada”, e lui diceva che, a giocare a calcio per strada, se cadi, ti fai male: quindi devi imparare a stare in piedi , costi quello che costi.

Ritengo che la presunzione sia il peccato del bambino padrone del pallone (prae- sumere un possesso e dimentire l’alterità, il gioco comune). E dico subito perché. Il bambino che tiene il pallone tutto per sè perverte le regole del gioco che dicono: “Si gioca tutti assieme! Finchè la partita è finita o noi non abbiamo più fiato di correre avanti e indietro ”.

La presunzione (chiamiamola anche egoismo, ma anche amor proprio, sovrastima, vanità, arroganza, l’auto-ammirazione di Dostoevskij, perversione come la vede Freud, etc.) è sempre stata trattata come peccato fin dal Codice Gregoriano, e il presuntuoso come peccatore da tutte le etiche e da tutte le religioni, perfino dal buon senso che fa stare assieme i bambini in un gioco comune. Il presuntuoso in ogni caso è un perverso (come scrive Freud in Inibizione, Sintomo e Angoscia) che sfugge alle regole e vorrebbe imporre la propria (ad esempio il possesso del pallone e essere arbitro del tempo e dello spazio).

Attenzione però. Tengo a precisare  fin da subito che il termine “perversione” non si riferisce ovviamente alle perversioni sessuali trattate da Freud in Tre Saggi sulla Teoria della Sessualità , ma ha un significato più lato e diffuso di “non accettazione delle regole e dunque della Legge in generale.

Il bambino che tiene il pallone tutto per sè è il peccatore perché “perverte le regole comuni dello “stare civile”. Presuntuoso e peccatore perché, alla fine della fiera, non sa perdere. E dunque il “non saper perdere” è il pensiero che supporta la presunzione, l’avere tutto, il dettare i tempi e modi, il chiudere baracca quando il gioco è ancora aperto.

 

Peccato che un giudice di dantesca estrazione non dovrebbe esitare a punire come Dante punisce l’ipocrisia (guardare di sotto, non accettare la luce del sole del vivere comunitario, fare i conti prima del tempo, sapere già come andrà a finire) nel canto Ventesimo terzo dell’Inferno (io vedo la ipocrisia come la sorella maggiore della presunzione) :

“Elli avean cappe con cappucci bassi dinanzi agli occhi, fatte della taglia che in Clugnì per li monaci fassi. Di fuor dorate son, sì ch’egli abbaglia; ma dentro tutte piombo, e gravi tanto, che Federigo le mettea di paglia”.

(Dante, Inferno, canto XXIII, vv. 61-66)

Potremmo dire che l’ipocrisia è la “ragion pratica” della presunzione? (dire “il braccio armato” forse sarebbe troppo), è il mettere in atto una condizione di grave perversione già operata prima in sede di pensiero attraverso la estromissione della stessa Legge che sta come fondamento della vita civile? . Nel nostro piccolissimo caso della partita a calcio in strada (nel mio caso prolungato  dal 1960 al 1970 circa)?.

Vado allora all’etimo: presunzione è un prae-sumere, cioè prendere, attribuirsi con spiccata connotazione riflessiva qualcosa. Un vero e proprio illecito nel campo del comportamento sociale, prima che atto del soggetto versus l’altro reale (o realtà esterna, il mondo insomma).

Infatti l’ipocrisia (dal greco ὑποκρίνομαι «fingere») è un atteggiamento, comportamento o vizio di una persona che volontariamente finge di possedere credenze, opinioni, virtù, ideali, sentimenti, emozioni che in realtà non possiede.

L’ipocrisia è quando la persona tenta di ingannare altre persone con affermazioni non in regola, ed è quindi una sorta di bugia. Quella del bambino padrone del pallone, che non è affatto vero che “devo tornare a casa”.

 

La perversione, in ogni caso, si attua nella presunzione e nella ipocrisia  della non accettazione della Legge.

 

E’ per l’appunto la negazione del diritto che l’altro possa occupare il proprio posto (anche a finire la partita a pallone)  al suo posto (vincente o perdente). Il posto dell’altro viene occupato dal soggetto presuntuoso che si fa voce (e che voce grossa) (vece avversa) dello stesso giudizio che dall’altro dovrebbe venire (cioè “finiamo la partita perché queste sono le regole”).

Se la psicoanalisi è educazione affinchè si possa accettare che un altro esprima il proprio giudizio sul nostro conto, la presunzione è il chiudere questo conto in partenza, con un atto avverso (versus) l’altro: in quanto tale peccato e in quanto tale perversione.

Antigone tuttavia non era una perversa perché aveva opposto il proprio corpo ad una Legge di Creonte che andava fuori dalla Natura (seppellire i propri morti). La legge deve sempre stare dentro i dettami della Natura.

 

Quel pervertire che è la presunzione viene punito da Dante secondo la legge della similitudine. Il desiderio dell’ipocrita è legato all’apparire (e le cappe dei dannati rifulgono dall’esterno) mentre la sua realtà è quella della cecità e del grigiore del piombo.

Non è solo il tempo del giudizio che anticipa il presuntuoso (“so già tutto io”), ma egli anticipa il fatto che l’altro possa prendere posto nel luogo che egli ha già “predestinato” di non riservargli. E’ proprio il destino dell’altro che il presuntuoso va a “segnare”, pronunciando la frase: “mai con me sotto la regola del mondo”. E il bambino padrone del pallone, infatti,  torna a casa da mamma sua!.

GUIDO SAVIO

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