-Email -Email   STAMPA-Stampa 

GUIDO SAVIO: I SETTE VIZI CAPITALI : 2 – AVARIZIA

AVARIZIA

 

Alcune riflessioni allora sul secondo vizio capitale.

Per quanto riguarda l’avarizia penso sia importante partire dal significato dei termini che esprimono questo comportamento – patologia (ma se vogliamo anche “sentimento”), nelle varie lingue.

In greco antico l’avarizia indica l‟amore per l’argento cioè, per estensione, delle ricchezze; in latino l’etimologia è incerta ma sembra derivi da aveo che significa desiderare vivamente, perciò bramosia, cupidigia.

Nella tradizione occidentale l’avarizia è sempre stata annoverata tra i vizi, uno dei modi di essere (comportamento – patologia) perversi, cioè orientati in modo sbagliato, antieconomico.

Ricordo qui che la perversione è prima di tutto un attacco alla Legge, un “andare contro”, un “essere contro”, un rifiuto aprioristico del discorso dell’altro e il conseguente “estremismo- integralismo” nell’affermare il proprio, che tuttavia (diventando estremistico – integralista) cessa di essere un discorso. Il dialogo avviene sempre tra due. Lo dice la parola stessa.

La tradizione indica nell’ avarizia il vizio capitale per il quale il danaro, che dovrebbe essere un mezzo per l’acquisizione dei beni e la soddisfazione dei bisogni, diventa esso stesso il fine per il possesso del quale si sacrifica tutto il resto; una mania che può diventare follia.

Spinoza, nell’Etica ha descritto in modo incisivo questa condizione: ‘Vediamo infatti che a volte gli uomini sono così affetti da un solo oggetto che, benché non sia presente , credono tuttavia di averlo davanti; il che quando accade a un uomo che non dorme, diciamo che delira o è pazzo […]’.

L’avaro non pensa a nessuna cosa all’infuori del guadagno e del denaro, e l’ambizioso (che ne è il fratello o il cugino) non pensa ad altro che non sia la “esposizione”, l’”esserci”, il “farsi vedere” l’”essere desiderato”, etc..

 

In realtà l’avarizia – l’ambizione sono forme di ossessione (vedremo più avanti L’uomo dei topi di Freud), sebbene non siano enumerate tra le malattie da DSM 3-4-5).

 

La tradizione biblica ha sempre considerato l‟accumulo eccessivo di danaro e beni come un atto inutile e una forma di stoltezza perché non garantisce la vita fisica che può essere ripresa in qualunque momento da Dio. L‟avarizia, cioè, valuta i beni terreni più di quanto non meritino e non li giudica secondo il criterio dell‟eternità.

 

Sarà la riflessione di S. Paolo ad assimilare l‟avarizia all’idolatria (Col.3,5 Ef. 5.5).

A mio modo di vedere questa di Paolo è una idea geniale e precorritrice della psicologia e della psicoanalisi.

 

L‟avaro è al servizio di un oggetto (il denaro e derivati) che lo schiavizzano e lo portano potenzialmente ad utilizzare qualunque mezzo per corrispondere alla propria avidità. In questo senso, l‟avarizia, è la radice di tutti i mali: non si tratta del rifiuto di ciò che è economico, ma della critica a tutte le situazioni d’ingiustizia provocate fondamentalmente dal desiderio disordinato delle ricchezze. E il disordine è sempre in riferimento alla Legge, la sua patente contrarietà. In soldoni la legge è lo strumento che fa funzionare, il Caos non è uno strumento ma il mantenimento della confusione della stagnazione. Per questo la Legge è economica e il Caos antieconomico (cioè fa male ma soprattutto non fa andare avanti).

L’idolo di Paolo è il piacere senza regola del Marchese de Sade, la confusione nella mente dell’ossessivo, la continua corsa all’ esserci (FB, Istagram, avere follower , la medialità che non è nemmeno medianità, la omologazione, la cura del proprio pensiero attraverso la strada più veloce e meno faticosa possibile, l’appartenenza a sette gruppi mandrie sempre integraliste e ossessive sul proprio modo di pensare, e non vado avanti per non esaurire lo spazio) che è diventato il vero danaro di molte persone, specie dei nostri giovani.

 

Danaro come fine e non come strumento per lavorare e andare oltre.

 

L’avaro è colui che si ferma sull’oggetto, si ferma per strada, diventa ossessivo.

 

Ricordiamo che, tra noi persone di una certa età, a cena, quanto sentiamo uno che continua a ripetere gli stessi discorsi, le stesse nenie, le stesse “solfe” spesso diciamo: “Dai, non essere ossessivo!!!.

 

Direi che il cattivo uso del danaro è l’usarlo come ossessione. Come il cattivo uso del proprio pensiero è farne una nostra ossessione.

 

Durante il medioevo, l‟avarizia è forse il vizio di cui si è maggiormente trattato sotto varie denominazioni: simonia, usura, frode, furto, rapina, corruzione, sottrazione dell’ elemosina per scopi personali ecc. tanto che Dante, nell’ Inferno(VII, 25), fa degli avari il gruppo di peccatori più numeroso: “Qui vidi gente più che altrove troppa”. È un vizio talmente importante che contende il primato alla superbia o la affianca: Non c’è nessun genere di peccato che in alcuni casi non venga dalla superbia e che in altri casi non discenda dalla cupidigia. “Ci sono infatti alcuni uomini che a causa della loro cupidigia diventano superbi e altri che a causa della superbia diventano cupidi”(Pier Lombardo, Sentenze).

 

Una delle tesi che vorrei dimostrare nel corso di questi scritti sui sette vizi capitali è per l’appunto che essi non sono solitari, non si escludono nelle persone ma anzi, spesso si aggregano e si alleano (qui la perversione).

 

L‟avarizia, appunto, non riguarda soltanto il desiderio smodato di denaro o di beni materiali, ma può estendersi alla sterile conservazione egoistica di qualsiasi bene ci appartenga sia esso concreto o spirituale. Si enumerano infatti le forme di avarizia „improprie‟ denunciate dagli autori medioevali. Una casistica interessante ancora oggi: desiderio di potere, conservazione gelosa del proprio sapere e degli strumenti di tale sapere, ricerca di eccessiva tranquillità di vita nei monasteri. Erano (e sono) usurai definiti sanguisughe, funzionari che si riempivano le mani con doni illeciti,banditi, sicari, corsari, principi, potenti, tutte persone che depredano, danneggiano o uccidono per avarizia intesa come amore per i beni. E ancora: commercianti che frodano, coloro che non pagano le tasse, medici che esigono denaro senza curare o addirittura uccidono, avvocati che accettano qualunque causa per svuotare più borse possibile, religiosi che accettano elemosine da usurai e rapinatori.

 

La storia si ripete e non è mai magistra vitae, come ho avuto modo di scrivere in molte occasioni. Difficile che l’uomo impari dai propri stessi errori.

 

Insomma l‟avarizia come un vizio capace di crescere su se stesso, un vizio eccessivo come lo definisce Egidio romano verso la fine del XIII secolo. Questo vizio capitale segna l‟individuo nel corpo (la lupa famelica e magra nell‟Inferno di Dante) e nello spirito( l‟avarizia è un vizio che provoca ansia).

 

 

PSICOLOGIA DELL’AVARO

 

 

 

La tipologia psicologica dell‟avaro presenta presso vari autori queste caratteristiche: ogni suo atto è calcolato ed è sordo alle sollecitazioni, preghiere e minacce. Concentrato suoi propri scopi diviene avaro anche nei sentimenti, spesso introverso a causa della diffidenza e della mania di segretezza è un individuo che “gioca in difesa” dal punto di vista della relazionalità umana. Anche se attivo nell‟accumulo dei beni, non ama le novità perché si sente rassicurato dalla conservazione. Ciò che cambia lo rende ansioso.

E. Mounier nel suo Trattato sul carattere parla di uno stato nettamente patologico benché non evolventesi in disturbi mentali. Uno stato che non intacca direttamente l‟intelligenza ma che restringe lo stato di coscienza e che rattrappisce ogni espansione come una minaccia: “Serbano i sentimenti, trattengono gli atti, comprimono i pensieri”.

 

L‟avaro, allora, spesso è misogino, perché le donne comportano spese e rifugge dall‟amicizia e dagli estranei che possono formulare richieste. Ovviamente l’avarizia ha anche la sua declinazione al femminile.

Vi è una forma di avarizia che assume una aspetto assai più comune (e apparentemente contraddittorio) ed è quella del parsimonioso; del resto, l‟avaro difficilmente riconosce di esserlo e si definisce piuttosto oculato e parsimonioso, prudente nell‟amministrare. Oltre alle descrizioni letterarie che ne fa Plauto nell‟Aulularia, o Molière nell‟Avaro, vi sono descrizioni negli studi di psicologia che stilano vivaci ritratti dei parsimoniosi. Solitamente ordinati sono attenti a non disperdere nulla, recuperano e accumulano tutti i piccoli oggetti quotidiani come tappi, spaghi, fermagli, elastici, avanzi, soffrono dello sperpero sociale, e sono presenti alle vendite d‟occasione, infaticabili nelle contrattazioni nelle quali temono sempre di essere derubati. Per il parsimonioso, il grande magazzino è il luogo ideale dove comprare, perché non lascia posto né alla sorpresa né alla follia, egli è inoltre minuzioso verificatori di scontrini e di conti. Si potrebbe continuare, ma è più importante rilevare che l‟avaro-parsimonioso si stima corretto nei confronti della vita perché non si attende nulla né domanda privilegi straordinari. Mounier osserva acutamente che la loro costante difesa contro la spontaneità […]fa di essi non soltanto dei deboli, ma il prodotto più odioso di quelle potenze di morte che la nostra civiltà ha innalzato, sotto falsi nomi, a potenze di vita.Una situazione paradossale quella dell‟avaro che partecipa, oggi, della fetta di ricchezza della società del benessere, della previdenza sociale che salvaguarda (come non era nel passato) la vecchiaia la quale poteva costituire un alibi per l‟avarizia.

 

Anche chi non rinuncia a troppe cose e non si è privato di amicizie né ha patito troppa solitudine campa discretamente, e i mass-media spingono alla spesa e al successo, o addirittura mostrano come ci sia chi si cava d‟impaccio nonostante la poca oculatezza: uno spettacolo difficile da sopportarsi per un vero avaro. Del resto già Mandeville nella sua celebre Favola delle api, metteva in relazione il vizio dell‟avarizia con la società: L’avarizia pur causando tanti mali, è tuttavia necessaria alla società, per raccogliere e ammassare ciò che è stato buttato e sparso dal vizio opposto.

 

Se non fosse per l’avarizia, la prodigalità presto resterebbe senza risorse; e se nessuno guadagnasse e mettesse da parte più in fretta di quanto spende pochissimi potrebbero spendere più in fretta di quanto guadagnano. […]

Vi è una specie di avarizia che consiste nel desiderare avidamente la ricchezza, per poterla spendere, e che spesso si incontra nella stessa persona, con la prodigalità, come appare chiaro in moltissimi cortigiani e alti funzionari, civili e militari. Insomma, secondo la tesi di Mandeville: vizi privati, pubbliche virtù, cioè un punto di vista in parte diverso sull‟avarizia se considerata in relazione alla prodigalità.

 

La prodigalità altro non è che il tentativo goffo di riparare l’avarizia di base.

 

Ovviamente spero sia ben chiaro che la prodigalità è l’opposto della generosità.

 

 

Un tema interessante riguardo l‟avarizia è quello che concerne l‟avarizia intellettuale che si manifesta nel rifiuto di accettare una certa dose di fallibilità e di incertezza intellettuale, la fatica della ricerca, la possibilità dell‟errore di chi butta l‟intelligenza nell‟azione. Vi è una certa avarizia nella ricerca del dettaglio non per la sovrabbondanza che manifesta, ma per ciò che ha di limitato, di isolato, di rassicurante perché concluso. Vi è la ricerca del sistema come protezione da un pensiero troppo avventuroso. Il contrario di un‟intelligenza generosa per la quale la critica non è un‟operazione contabile, volta di solito a demolire, ma a comprendere, ad assimilare, a valorizzare. A conclusione di questi che sono semplici spunti di riflessione sul tema dell‟avarizia, mi pare importante ancora un pensiero su l‟avarizia di sé, del proprio tempo, della propria attenzione: il rifiuto della condivisione, l‟avarizia che dice di no ad un fenomeno positivo della nostra società, quello del volontariato, della condivisione di una passione politica, l‟avarizia della delega agli altri, al Comune, allo Stato, alla Chiesa, alla Scuola, lo sgravarsi di partecipazione e re-sponsabilità nell‟illusione di appropriarsi e controllare il tempo.

 

 

LA ANALITA’

 

Una signora quarantenne mi parla di questo sogno: “Sono una bambina di circa sette o otto anni, una vacanza al mare a Jesolo con i miei genitori, ma io ricordo solo mio padre. Mia sorella più piccola (che nella realtà è la maggiore) guarda le onde del mare e con un cucchiaio da cucina raccoglie conchiglie e le mette nel secchiello.

Io penso che tutto ciò faccia piacere a mio padre e la invidio profondamente. Guardo ossessivamente il secchiello con le conchiglie finchè un raggio di sole penetra attraverso l’ombrellone e fulmina mia sorella che resta carbonizzata sulla sabbia, vicina all’asciugamano. Il secchiello resta nella sabbia. Mio padre non si è accorto di niente. Allora io prendo il secchiello e vado nel bagnasciuga a lavare le conchiglie, con l’intenzione di farle vedere (farne dono) a mio padre. Il sogno finisce qui. Io non so “come vada a finire”.

 

Il sogno viene interpretato in questo modo. La signora si sofferma su vari punti del sogno (la aggressività verso la sorella, l’attaccamento al padre e il desiderio di dargli soddisfazione, il lavare le conchiglie, dunque la pulizia) ma soprattutto su uno: le conchiglie come “dono al padre”.

La cosa è assolutamente normale come prassi di rapporto tra bambino e genitore, ma la signora, che mastica un po’ (per non dire parecchia) psicologia, tira fuori la parola analità.

Io le chiedo a che proposito e lei mi risponde di avere qualche ricordo di letture freudiane sulle fasi dello sviluppo “sessuale” del bambino (che sono poi quella orale, quella anale e quella fallica, ndr.) e che il fatto che il bambino presenti le sue feci, contenute nel vasetto, come dono per i genitori, sia quello che maggiormente le è rimasto impresso dalle letture freudiane. Tutto vero.

 

Già nell’articolo Carattere ed erotismo anale del 1908 Freud fa risalire certi tratti del carattere dell’adulto (la triade ordine – parsimonia – ostinazione) all’erotismo anale del bambino. Freud ritiene che certe caratteristiche del carattere quali appunto quelle citate, siano strettamente legate a una pulsione di trattenere dentro, di non lasciare uscire ciò che abbiamo incorporato nel nostro corpo. Il suo riferimento all’avarizia lo si ritrova poi in altri scritti.

L’avarizia come un trattenere, un non lasciarsi scappare, e nel bambino, se qualcosa scappa, cioè le feci, questo viene offerto come “dono”, ovvero come atto di un grandissimo affetto del bambino verso i genitori, proprio perché frutto di un sacrificio, anche di un dolore: avere trattenuto dentro per tanto tempo, e poi avere avuto il “coraggio” di lasciare uscire (ovvero la cacca).

 

La analità di lega fin da subito alla avarizia, cioè all’accumulare e non volere spendere, o spandere.

 

Nel saggio La disposizione alla nevrosi ossessiva del 1913 e soprattutto nei successivi rimaneggiamenti dei Tre saggi sulla teoria della sessualità del 1915 e successivamente del 1924 Freud parla della equivalenza simbolica feci = dono = danaro.

 

La bambina del sogno della spiaggia offre al proprio padre da un contenitore (il secchiello, ma potrebbe essere benissimo l’ultima parte del suo intestino)) il frutto di un suo sacrificio: quello di avere espulso le feci. Poi la equazione conchiglie= danaro è fin troppo facile.

L’avaro è un trattenitore, un ossessivo, un ripetitore, un sistematico, un ordinato, un ruotinario e tutte le altre caratteristiche caratteriali che ben conosciamo e che si legano a queste.

 

L’avaro è esposto alla nevrosi ossessiva (ricordo qui la tripartizione che ho fatto della psicopatologia: isteria – nevrosi ossessiva – psicosi/narcisismo).

 

SINTOMI (NEVROTICO-OSSESSIVI)

 

 

La sintomatologia della nevrosi ossessiva ha svariatissime forme e declinazioni, che tuttavia partono tutte dal una radice: la paura di perdere, la paura della perdita, la necessità dunque a trattenere e controllare il frutto del proprio trattenimento. Per questo si parla di analità in riferimento all’avarizia e dunque alla nevrosi ossessiva.

 

L’avere tutto sotto controllo è lo scopo finale dell’avaro/ossessivo. Questo pagando il prezzo sintomatologico (se la luce è spenta, se il gas è chiuso, se ho inserito l’allarme, se ho girato bene la chiave nella serratura…e via di questo passo) la cui conseguenza è una non libertà di comportamento e appunto una coazione a ripetere.Un dolore di costrizione appunto che nulla vada perduto.

A mio modo di vedere il succo della faccenda sta nel fatto che l’avaro/ossessivo è inchiodato in una “perdita di tempo” per una continua verifica. Cioè che tutto sia sotto controllo. La quale realtà, sappiamo, non fa parte della nostra realtà.

 

Ora ogni vizio-patologia sottende un “pensiero”. Cioè il nevrotico ossessiva/avaro/coatto si presenta all’altro come una persona di difficile approccio e di impossibile gestione.

 

Quello che in altri scritti indicavo come l’ottavo vizio capitale, cioè l’avere sempre ragione, è la caratteristica chiara e appuntita dell’avaro.

 

Dialogo ( dia-logos, cioè spartizione tra due) risulta difficilmente concebibile.

 

E’ sostanzialmente la difficoltà o impossibilità di dialettica che caratterizza maggiormente questo vizio capitale.

 

L’avarizia si presenta quindi come desiderio di possedere e conservare dunque denaro, beni o oggetti di valore per sé stessi, in quantità di molto maggiori a quanto necessario per la sopravvivenza personale. Si arriva ad identificare sé stessi nei beni materiali, a tal punto da non volersene separare. L’avaro ha un eccessivo ritegno nello spendere e nel donare, il valore che attribuisce a ciò che possiede è smisurato e supera qualunque altro valore: conta quindi semplicemente l’avere piuttosto che il fruire di ciò che si ha, il tenere per sé piuttosto che il dare. In poco tempo l’avaro diventa vittima della sua stessa prigione dei beni, dalla quale non ne sa uscire, eliminando qualsiasi persona che possa in qualche modo intaccare il suo tesoro. A differenza dell’avidità che si incentra sull’accrescimento del proprio possesso, l’avarizia si incentra invece sulla conservazione meticolosa di ciò che già si possiede. L’avaro diventa schiavo delle sue stesse ricchezze e privo della sua libertà. Nel Cristianesimo l’avarizia, proprio perché porta chi ne è travolto, a mettere le ricchezze al di sopra di tutto, è considerata una forma di idolatria: il denaro prende il posto di Dio.

OGNI PECCATO E’ BEN LEGATO CON ALTRI

L’avarizia e le sue sette figlie.

 

Come per la superbia Tommaso d’Aquino vede figliolanze anche nella avarizia.

Secondo la dottrina di san Tommaso d’Aquino che, come è noto, scriveva le sue sentenze sulla base della dottrina dei più autorevoli padri e scrittori ecclesiastici del primo millennio, anche l’avarizia (come già la superbia) ha sette figlie: la durezza di cuore, l’inquietudine, la violenza, la bugia, lo spergiuro, la frode e il tradimento. Vediamo nel dettaglio questi tossici frutti di questa mala pianta.

Ma invito il lettore a prendere questa catalogazione nel senso della età e della provenienza da cui è stata scritta.

L’avaro è anzitutto un uomo dal cuore indurito. La brama di ricchezze e l’egoismo lo rendono totalmente insensibile ai bisogni altrui. In questo senso sono quanto mai emblematici gli esempi evangelici del ricco epulone e dello stolto accaparratore e accumulatore di beni, già citati in precedenza.

Giova ricordare anche il celebre aneddoto di sant’Antonio da Padova che, alla morte di un celebre avaro del suo tempo, ordinò di aprire il petto di quell’infelice per constatare che al posto del cuore aveva un forziere pieno di monete: e così avvenne. Queste gravissime forme di insensibilità sono formalmente e gravemente contrarie alla carità, alla compassione e alla misericordia e per questo sono severamente punite dalla divina giustizia. Chi è attaccato alle ricchezze e avido di esse, inoltre, è sempre inquieto, non trova pace. Anzitutto perché passa il tempo a studiare i modi con cui accrescere il patrimonio, farlo fruttificare, procurarsi nuove fonti di introiti e guadagni. Ci sono persone che fanno investimenti spregiudicati e passano le giornate davanti al PC a controllare gli andamenti dei titoli, pieni di patemi per eventuali ribassi o addirittura per la perdita d’interi capitali.

 

L’avidità di molti e il miraggio di soldi facili – lo si dica tra parentesi – ha peraltro contribuito non poco all’attuale pessima congiuntura economica che vede la finanza farla da padrona e dettatrice di legge sull’economia, mettendola sovente in ginocchio sulla base di meri giochi e meccanismi speculativi. L’avaro è inquieto anche perché teme di perdere il suo patrimonio: oltre i crack finanziari, teme l’arrivo dei ladri, è costretto a circondare la casa d’impianti di videosorveglianza, a blindarla con sofisticati sistemi di allarme, a renderla simile ad un bunker con cancelli, mura e inferriate. Con buona pace della quiete e della tranquillità del cuore.

 

Molti avari sono violenti, non solo nel senso della violenza fisica, ma sono spregiudicati e spavaldi nei modi. Pur di conseguire qualche guadagno, non esitano a calpestare il prossimo e, talora, a violare i diritti anche della povera gente (per esempio non pagando o dilazionando senza giusto e grave e motivo gli stipendi dei dipendenti o i crediti dei loro prestatori d’opere e servizi). La prepotenza figlia dell’avidità li rende estremamente litigiosi e sono pronti ad ingrassare i ruoli delle cause civili (già al limite della totale congestione) per questioni di lana caprina o per supposti interessi di minimo conto. Spesso gli avari sono anche bugiardi e ciò, purtroppo, non è raro nel mondo del commercio.

 

 

Un signore di 44 anni, in analisi da tre o quattro, porta il seguente sogno: “Mi trovo in una situazione di difficoltà. Non ricordo il motivo. Forse una questione di confronto scontro con un condomino in una riunione. L’altra persone mi dice alla lettera: “Tu sei un pallone gonfiato”. Io non ci rimango male, anzi, prendo l’occasione e gonfio il petto davanti al lui. Il mio petto lo vedo diventare come quello di un’anatra, pieno di piume, e penso che in questo modo non potrò mai fargli paura”. L’altro tenta di togliermi de piume dal petto, ma io reagisco, ma non con la violenza che vorrei. Mi sveglio molto agitato e molto “frustrato”.

 

Come dire, più chiaro di cosi. E’ la compressione della violenza o la sua inibizione o la sua impotenza la cifra del sogno. L’avaro si trasforma in anatra, e il suo petto villoso, anche oggetto di ostentazione, si riduce a un uccello da spellare. Direi il massimo della nemesi storica. Che spesso i sogni riescono a fare.

 

Lo spergiuro (parola che ormai per noi è entrata nel dimenticatoio) è oggi fattispecie meno frequente in un mondo totalmente scristianizzato e laicizzato come quello occidentale. San Tommaso e con lui i santi padri, individuavano tuttavia anche questa particolare malizia dell’avaro, che pur di acquistare beni altrui non si fermava neanche dinanzi alla gravissima offesa del santo nome di Dio perpetrata con il falso giuramento.

 

Mi viene sempre in mente mia madre che a proposito del giuramento mi diceva: “Non giurare mai, perché i tempi possono cambiare”. Non so e non credo che mia madre fosse una persona lungimirante. Però in vita mia non ho mai giurato.

 

Mi viene in mente un paziente di tantissimi anni fa che mi diceva (era un giocatore incallito), e, come si dice, con il gioco ha “mangiato fuori” casa e campagna. Mi diceva: “Io ho giurato solo quando quello che giuravo era falso. Sul vero non ho mai giurato, anche se me lo chiedevano”.

 

La frode invece è quanto mai attestata nel nostro mondo e oggi ha nuove e cospicue frontiere nel campo della rete. La frode si distingue dalla menzogna perché si attua non solo e non principalmente con le parole, ma con comportamenti e azioni. Truffe e frodi commerciali sono decisamente incalcolabili e praticamente incensibili tanto sono frequenti e numerose e bisogna essere molto attenti e accorti per non cadere nelle maglie dei sempre nuovi e sofisticati marchingegni escogitati da gente avida e senza scrupoli. Infine l’avaro può essere un traditore e ciò è tristemente testimoniato dal comportamento di Giuda Iscariota, che vendette il figlio di Dio per soli 30 denari (cifra, peraltro, molto, molto modesta…). A testimonianza di come l’indurimento del cuore (cioè del pensiero) causato da quest’orrido vizio possa portare a calpestare con disinvoltura gli affetti più grandi, i valori più nobili, le persone più sante. Dio ci guardi da esso e procuriamo tutti, con l’elemosina, la liberalità e la generosità, di mortificare l’odioso tarlo dell’avarizia.

 

Su Giuda Iscariota invito il lettore a leggere il bellissimo libro del teologo William Klassen che ribalta completamente la tesi di Giuda traditore di Cristo e ne ipotizza una strettissima e forte amicizia.

D’altra parte il resto dei discepoli non brillava certo per intelligenza.

 

 

Sarà allora l’indurimento del cuore/pensiero il tratto fondamentale e difficilmente scalfibile dell’avaro? Tengo tutto per me. Persino la “ragione” che potrei dibattere e spartire con gli altri. E’ un quesito che mi resta

 

GUIDO SAVIO

 

 

 

 

 

-Email -Email   STAMPA-Stampa