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LA STUPIDITA’

«Non esiste altro peccato che la stupidità».

Si tratta di un celebre pensiero di Oscar Wilde che risulta impossibile non condividere per quanti giornalmente siano costretti a fare i conti con gli effetti tragicomici di comportamenti che sembrano solamente volti a complicare la vita a noi. Ma a volte siamo anche noi gli stupidi che complicano la vita agli altri. E questo è più difficile assai da ammettere.

Voglio dire subito il mio pensiero. Per me la stupidità è primariamente (ma meno grave è il peccato) “non arrivarci”. Secondariamente (e qui il peccato è più grave) “non arrivarci prima”. Non saper fotografare e pesare la realtà che abbiamo davanti, a partire dall’altro simile. E’ difetto o mancanza totale di capacità di giudizio per cui i “danni” provocati dalla stupidità sono incalcolabili, i pericoli inimmaginabili.

Voglio dire altrettanto subito che questo scritto è una raccolta, un “patchwork” di riflessioni, idee, citazioni, frasi famose di autori di varia estrazione avanti per tema per l’appunto il più grave peccato della specie umana, ovvero la stupidità.

Afferma Robert Musil nella Conferenza tenuta a Vienna l’11 marzo 1937 e ripetuta il 17 marzo 1937 su invito della Österreische Werkbund dal titolo Sulla stupidità [o sull’inconscio] :

“Nella vita quotidiana per stupido si intende uno “un po’ debole di testa”. Ma anche diverse deviazioni psichiche e spirituali possono ostacolare, intralciare, e portare all’errore un’intelligenza congenitamente indenne, fino al punto per cui la lingua dispone solo della parola “stupidità”.

La stupidità sarebbe dunque una “degenerazione” di una intelligenza primaria o originaria di cui ciascun essere umano sarebbe dotato?

“Va benissimo questa difficoltà iniziale: chiunque voglia parlare o utilmente partecipare al discorso sulla stupidità, deve presupporre di non essere egli stesso stupido. Così facendo, fa vedere che si considera intelligente, anche se fare così è in generale considerato segno di stupidità. Se poi ci si chiede perché sia stupido mostrarsi intelligenti, la prima risposta sa di polvere del municipio dei progenitori”.

Musil tocca un tasto fondamentale: lo stupido è giudicato tale dall’ “intelligente”, il quale, proprio perché si arroga il diritto di giudizio,(questo diritto) potrebbe apparire stupido egli stesso.

Stupidità dell’arroganza? ( la clinica conferma che la arroganza è soprattutto antieconomica). Tuttavia l’uomo di giudizi vive: emessi e/o ricevuti.

Da Enciclopedia allora:

 

Il termine stupidità deriva dal verbo latino stupēre che nella trasposizione in italiano ha due accezioni distinte: una riguarda chi è “stupito”, in una condizione cioè d’incapacità o passività, indotta da stupore; l’altra, riferita allo “stupido”, esprime una condizione duratura di “carenza” e “lentezza” nel comprendere. Tuttavia anche lo stupido sta al mondo e mette al mondo figli. Continua Musil nella sua Conferenza:

“Elogio della follia non ha forse scritto Erasmo che, se non fosse stato per certe stupidaggini, l’uomo non sarebbe neppure venuto al mondo? “

Lo stupido, quando se ne accorge di esserlo stato, è come se avesse una voce che rintrona dentro la sua scatola cranica che gli dice: “Ah, se ci avessi pensato prima”.

 

Ma qui siamo già su di un piano più evoluto. Di solito lo stupido nemmeno se ne accorge…. che ci avrebbe potuto arrivare prima e per questo reitererà all’infinito la sua…virtù.

Relativamente pochi (Musil, Flaubert, Cipolla, Fëdor Dostoevskij, altri… ma si potranno in seguito scorrere le frasi famose pronunciate da pensatori famosi sulla stupidità) sono stati gli studi condotti su uno dei mali che da sempre affligge l’umanità e ne condiziona il cammino storico nel senso che abbiamo per davvero degli stupidi che ci comandano, che prendono decisioni, che reggono gli Stati, che fanno scelte politiche ed economiche, che, insomma, fanno ricadere su di noi cittadini il frutto della loro stupidità.

Il significato di “stupido”, che si ritrova nel termine “idiota” usato per la prima volta nel XIV secolo, può collegarsi a quello di stupito, ossia “sono stordito, resto attonito” cioè colui che non sa dominare il circostante, e le situazioni, con tutti le loro variabili, restandone spiazzato. Il significato attuale del lemma “idiota” fa invece riferimento esplicito a patologie del sistema nervoso in particolare a cerebropatie compromettenti l’attività mentale nel suo complesso.

Insomma colui che ci arriva dopo o non ci arriva affatto (con dolo o con compiacenza). Vorrei stare su questa questione, quella della ripetizione, che nella stupidità è basilare. La ripetizione dell’azione stupida è un refrain che possiamo benissimo rilevare in letteratura, nella musica, nella filosofia, nella filosofia, e purtroppo assai più spesso nella “tolda di comando”.

 

Il discorso diventerebbe assai intricato se cominciassimo a vedere (ma qui caso per caso) se lo stupido o l’atto di stupidita si lega alla coscienza o all’incoscienza (anche se l’intervista di Musil sulla stupidità ha per titolo (lo vedremo in seguito) Sulla supidità (o l’inconscio).

Dunque tornando al nostro discorso, continua Musil nella sua Intervista:

“…con una riserva tanto ovvia quanto trascurabile, potremmo chiamare questa “arroganza” anche vanità. Oggi l’anima di molti popoli e di molti stati sembra dominata da sentimenti tra cui la vanità occupa innegabilmente i primi posti in classifica. Da tempo tra stupidità e vanità esiste uno stretto rapporto, che forse può fornirci alcune indicazioni utili. Comunemente lo stupido fa già l’effetto del vanitoso, perché non ha l’intelligenza di nasconderlo. Ma, in verità, non ce n’è neppure bisogno, perché la parentela tra stupidità e vanità è immediata. Il vanitoso dà l’impressione di far di meno di quel che potrebbe. Somiglia alla macchina che perde vapore da un bullone allentato. Il vecchio detto: “Stupidità e vanità crescono sulla stessa pianta” significa solo che la vanità “abbaglia”. Al concetto di vanità, in realtà, associamo l’attesa di una minore prestazione, poiché il significato della parola “vano” è quasi identico a “invano”. Ci si attende una minore prestazione, dove in effetti c’è prestazione. Non di rado vanità e talento vanno insieme. Allora abbiamo l’impressione che il vanitoso avrebbe potuto fare di più, se non si fosse ostacolato da solo. Questa idea così tenace di diminuita efficienza si ripresenterà in seguito come il nostro modo più generale di pensare la stupidità.

“Chi si loda s’imbroda”, recita il vecchio aforisma. A mio modo di vedere significa che a che le smargiassate, il parlare troppo di sé vantandosi (vedi specie in politica), non è considerato solo poco intelligente ma anche maleducato (purtroppo non da tutti gli elettori! Esistono regole non scritte che dettano un giusto codice per mantenere le distanze. Sono dirette contro l’uso di parole troppo franche, regolano i modi di salutare e di rivolgere la parola, non permettono di contraddire qualcuno senza scusarsi o di cominciare una lettera con “Io”.”

Ma lo stupido…continua nella sua coazione a ripetere, spesso non sapendolo, o facendo orecchie da mercante se qualcun altro glielo fa notare.

Per questo mi sembra interessante notare è che in latino il suffisso -idus, (da cui stupidus, “stupido”) è proprio di aggettivi verbali col senso di qualità durevole. Ci si è allora chiesto se la stupidità sia uno stato costante, un handicap o una condizione momentanea. A mio modo di vedere in un misto di coscienza e incoscienza ma sta di fatto questa durevolezza ne fa di sicuro una caratteristica antieconomica (come vedremo in seguito) in cui lo stupito sostanzialmente fa del male a se stesso (oltre che agli altri).

Meglio: non produce bene, ricchezza, facoltà nuove ma solamente ripetizioni. Quelle che appunto nella clinica si chiamano “coazioni a ripetere”.

Gli antichi consideravano la stupidità una “passione”: subire passivamente gli avvenimenti senza avere potere su di essi: quindi non rientrava tra i vizi che sono azioni continue moralmente riprovevoli. Ma mi pare che ai nostri tempi la stupidità sia tutt’altro che passiva.

Anche se è possibile e plausibile che lo stupito…ci sappia fare. La famosa frase: “Ci sei o ci fai?”.

Come Forrest Gump. “Stupido è chi lo stupido fa”. La sua mamma era davvero un pozzo di saggezza.

Generalmente «lo stupido è colui che ripete inconsciamente i propri errori, è incapace di correggerli, regolamentarsi. Non è in grado di scegliere che strada imboccare. Molti fattori del comportamento umano, intrinsecamente diversi dalla stupidità, possono contribuirvi». Recita sempre l’Enciclopedia.

In questo senso l’ignoranza, come la paura, sono spesso “sorelle” della stupidità come quando si condivide, senza approfondirlo, un superficiale consenso o quando si ha paura di doversi contrastare con chi ha opinioni diverse o quando ci si sottomette al parere di una maggiore autorità.

Ho idea che lo stupido (l’ho visto in quasi quarant’anni di clinica) abbia sempre avuto un problema con l’autorità, con il Padre. Abbia voluto sfuggire alle regole e alla responsabilità, rifugiandosi in un mondo autarchico e anarchico dal quale dettare le sue regole, credendosi che siano le più giuste.

Questo se lo stupido fosse “senziente”, avvero cosciente della parte che recita nel mondo. Ma son sicuro che alcuni stupidi storici lo stupido lo abbiano fatto (come dice Tom Hanks), ma che la maggior parte (vedremo più avanti un saggio dello stesso Musil) non se ne sia nemmeno accorta.

Mi sono anche chiesto in tutti questi anni di ascolto di tante persone problematiche se mai esisterà mai una “biologia” della stupidità.

Uno studio dell’Università inglese di Exeter ha identificato un’area nel cervello (nella regione temporale della corteccia) che si attiva per non ripetere un errore già commesso. L’ipotesi che la stupidità potesse essere connessa a una fisicità è stata confermata poiché«è stato scoperto dai ricercatori americani, un batterio chiamato ATCV-1, ribattezzato dagli stessi scienziati appunto “virus della stupidità”, in quanto è stata rilevata la sua presenza negli animali con un più basso livello intellettivo.».

La stupidità non è da considerare come il contrario dell’intelligenza, dal momento che anche persone molto intelligenti possono commettere e commettono nella vita atti stupidi e ciò anche o soprattutto a causa del concetto di razionalità limitata secondo cui, durante il processo decisionale, la razionalità di un individuo è limitata da vari fattori: dalle informazioni che possiede, dai limiti cognitivi della sua mente, dalla quantità finita di tempo di cui dispone per prendere una decisione.

Lo psicologo Walter B. Pitkin, autore del saggio Introduzione alla storia della stupidità umana riteneva che la stragrande maggioranza delle persone fossero stupide, sottostimando probabilmente il numero di atti stupidi posto in essere da chi stupido non è.

Certo è che la stupidità dà fastidio. Crea indisposizione. Crea anche impotenza in chi se la trova davanti. Poi sta di fatto che lo stupito lo si inquadra, lo si fotografa immediatamente, non ci vuole tanto, come dicevo all’inizio di queste riflessioni. E noi che dalla parte della stupidità non stiamo dobbiamo anche assumerci la responsabilità di tale giudizio.

 

Io spesso chiacchierando a cena con i miei amici ho sentito qualcuno di loro dire (per celia spero, ma non so quanto!) che un kalashnikov risolverebbe tante cose ma poi…., si sa, insorgerebbero altri kalashnikov della stupidità e ci annienteremmo a vicenda!!!

E non è difficile comprendere allora il motivo della scarsità di studi psicologici, antropologici, sociali, psichiatrici (lasciamo stare Lombroso), etc. sulla stupidità.

La stupidità è molto “potente” e si potrebbe associare ad uno stato di apatia letargica, a differenza dell’intelligenza che implica la volontà di migliorare continuamente se stessi.

Non è facile circoscrivere un concetto che investe la sfera soggettiva di ognuno di noi. La stupidità è intuibile, cioè la cogli al volo. Non c’è bisogno di tanti ragionamenti per stanarla: è lei che ti salta addosso in tutta la sua evidenza.

La percepisci, ma non riesci a sintetizzarla in poche parole e le percezioni soggettive non possono considerarsi un valore assoluto.

Discutere della stupidità può comportare il rischio di inoltrarsi in un sentiero oscuro e sconosciuto che pochi studiosi hanno cercato di affrontare, anche perchè, essendo una caratteristica insita nella natura umana non si può curare (anche se io sono convinto, da psicologo, che è alla base di tutte le psicopatologie). Puoi forse diagnosticarla, ma nessuno è mai riuscito a trovarne la cura. Magari esistessero delle pillole che riuscissero a contenerne gli effetti! E un’osservazione attenta della società umana potrebbe portare alla misantropia, visto che la stupidità regna sovrana.

Proseguo queste mie riflessioni appoggiandomi allo scritto di D. Bonhoeffer Resistenza e resa: lettere e appunti dal carcere, teologo luterano tedesco, attivista nella resistenza al nazismo e morto il 9 aprile 1945 nel campo di concentramento di Flossenburg in Germania.

 

“Per il bene la stupidità – egli scrive – è un nemico più pericoloso della malvagità. Contro il male è possibile protestare, ci si può compromettere, in caso di necessità è possibile opporsi con la forza; il male porta sempre con sé il germe dell’autodissoluzione, perché dietro di sé nell’uomo lascia almeno un senso di malessere. Ma contro la stupidità non abbiamo difese.

Qui non si può ottenere nulla, né con proteste, né con la forza; le motivazioni non servono a niente. Ai fatti che sono in contraddizione con i pregiudizi personali semplicemente non si deve credere – in questi casi lo stupido diventa addirittura scettico – e quando sia impossibile sfuggire ad essi, possono essere messi semplicemente da parte come casi irrilevanti.

Nel far questo lo stupido, a differenza del malvagio, si sente completamente soddisfatto di sé; anzi, diventa addirittura pericoloso, perché con facilità passa rabbiosamente all’attacco. Perciò è necessario essere più guardinghi nei confronti dello stupido che del malvagio. Non tenteremo mai più di persuadere lo stupido: è una cosa senza senso e pericolosa”.

Facile rivedere in queste parole Hannah Arendt nella sua La banalità del male.

Vorrei tuttavia isolare, e, per quanto possibile, destoricizzare, un passaggio di B.: non possiamo avere difese contro la stupidità, proprio perché non è possibile la dialettica, il Logos. Lo stupido non capisce. E non è che non capisca noi savi o intelligenti, non capisce e basta. Probabilmente non capisce nemmeno i suoi stupidi correligionari o commilitoni.

E’ la assenza del pensiero nello stupido che è terribile. Allo stesso tempo dobbiamo riconoscere la nostra difficoltà di “arrogarci” il diritto di dichiararlo “stupido”. Ma quando si ha la facoltà di giudizio, bisogna farla funzionare. Dobbiamo avere il coraggio di dire pane al pane e vino al vino.

Lo stupido probabilmente non intende nemmeno questo nostro pudore nel giudicarlo tale, e per questo il suo potere aumenta e a volte ci inibisce.

Secondo punto di B. che vorrei prendere in considerazione. Stupidità può appunto diventare schiava e complice del potere.

“Osservando meglio, si nota – egli continua – che qualsiasi ostentazione esteriore di potenza, politica o religiosa che sia, provoca l’istupidimento di una gran parte degli uomini.

Sembra anzi che si tratti di una legge socio-psicologica. La potenza dell’uno richiede la stupidità degli altri.

Il processo secondo cui ciò avviene, non è tanto quello dell’atrofia o della perdita improvvisa di determinate facoltà umane – ad esempio quelle intellettuali – ma piuttosto quello per cui, sotto la schiacciante impressione prodotta dall’ostentazione di potenza, l’uomo viene derubato della sua indipendenza interiore e rinuncia così, più o meno consapevolmente, ad assumere un atteggiamento personale davanti alle situazioni che gli si presentano.

Il fatto che lo stupido sia spesso testardo non deve ingannare sulla sua mancanza di indipendenza.

Parlandogli ci si accorge addirittura che non si ha a che fare direttamente con lui, con lui personalmente, ma con slogan, motti, ecc. da cui egli è dominato. E’ ammaliato, accecato, vittima di un abuso e di un trattamento pervertito che coinvolge la sua stessa persona.

Trasformatosi in uno strumento senza volontà, lo stupido sarà capace di qualsiasi malvagità, essendo contemporaneamente incapace di riconoscerla come tale. Questo è il pericolo che una profanazione diabolica porta con sé. Ci sono uomini che potranno esserne rovinati per sempre”.

 

E’ il cane che si morde la coda: lo stupido sottomesso ha bisogno di uno stupido che lo sottometta. Altrimenti non sarebbe possibile. Similia similibus curantur.
Potrei a questo punto fare i nomi, andando a ritroso nella storia, di “popoli stupidi” che si sono fatti governare da “politici stupidi”. Ma l’elenco diverrebbe interminabile.

 

Ma mi è più facile allora una volta appoggiarmi ad una bellissima intervista fatta all’autore del libro (Armand Farrachi, uno scrittore francese nato nel 1949, dal titolo) Ecco perché diventiamo più stupidi .

 

Il saggista francese ha scritto questo libro nel quale sostiene – e prova a dimostrare – che stiamo diventando sempre meno intelligenti. A cominciare dai politici.

Se le gaffes macroscopiche degli uomini più potenti del mondo fanno notizia, meno eclatanti sono tanti piccoli segnali. Per esempio, la scomparsa del senso dell’umorismo (quanti di voi sono costretti a spiegare una battuta sui social?). O l’impoverimento del linguaggio, dove figure retoriche un po’ più complesse come la metafora vengono accuratamente evitate perché «molti non capiscono», laddove il «farsi capire» è vitale. Per inciso:

Musil non conosceva l’America di Bush, ma conosceva la Germania di Hitler. L’osservazione sull’anima del popolo, che coincide con l’anima del singolo, è
 freudiana. Nel 1921 Freud scriveva Psicologia delle masse e analisi dell’Io. 
Freudianamente, il Super-Io, che è esterno al singolo, diventa interno alla massa.

Inserisco qui appunto una curiosa intervista (parla infatti delle gaffes dei politici) fatta a Armand Farrachi  da Roberta Scorranese e pubblicata nel Corriere della Sera:

Chiede la giornalista (già nel mezzo dell’ intervista):

Quale torta?

«Donald Trump ha dichiarato a una giornalista di aver preso la decisione di bombardare la Siria, nell’aprile del 2017, “davanti alla più bella fetta di torta al cioccolato che si possa immaginare”».

Che cosa c’entra la torta con le bombe?

<Nulla, è questo il punto. L’assurdità di quell’accostamento, il dettaglio della torta toglie alla decisione militare qualsiasi serietà, qualsiasi validità strategica o tattica>.

Ma intanto il Presidente degli Stati Uniti si permette queste libertà lessicali e magari conquista un applauso.

«Sì, ma è stato un crescendo, da Reagan in poi: gli slogan più rozzi e le idee più grossolane hanno avuto la meglio. Bush, Berlusconi, Sarkozy. Poi Trump, Bolsonaro, Duarte. I capi di Stato non sono più intellettuali, studiosi, ma banchieri, dirigenti e persino attori. Certo, il loro linguaggio cattura consenso, ma questo ci ha migliorati? No. Il risultato è stato un incremento dei conflitti e una serie di disastri ambientali».

Altri esempi?

«Invitato a cantare l’inno nazionale del suo paese, Yves Leterme, Primo ministro belga, invece della Brabançonne intona La marsigliese. In Russia, Vladimir Putin ha dichiarato in conferenza stampa che “le prostitute russe sono le migliori del mondo”».

Nel suo libro, però, non ci sono solo politici. Lei analizza la scomparsa di alcuni sistemi sociali e linguistici che richiedono complessità, come l’ironia.

«Di più. Ormai, per evitare i processi, i fabbricanti avvertono sugli imballaggi che un cd o un dvd non possono essere né mangiati né messi nel microonde, che non bisogna cercare di togliere la lama del tosaerba mentre è in funzione o che il telecomando non deve essere messo in lavatrice».

Lei parla di una vera e propria «erosione cognitiva».

«È davvero un fenomeno globale, collegato, secondo me, alla massificazione economica, che preferisce fare affidamento sugli sciocchi piuttosto che su un occhio critico sistematico. La generalizzazione dell’informatica, che favorisce la scansione e non la riflessione, la diffusione di molecole chimiche (come fluoro o bromo) che vengono confuse dal corpo con lo iodio (elemento che partecipa allo sviluppo del cervello, perché il cervello impara, ndr), l’uso intensivo degli schermi, l’educazione approssimativa, la televisione popolare, tutto ciò che, come il “neuromarketing”, sfrutta gli strati primari del cervello, contribuisce al trionfo della stupidità».

Ma la stupidità conviene?

Sì, a molti. Conviene agli industriali, poiché mette a loro disposizione una clientela captive, cui si possono vendere prodotti che verrebbero disdegnati da consumatori più attenti. Conviene ai politici, che grazie a essa possono dirigere un popolo ai cui occhi bugie enormi riescono a passare per verità. Conviene ai giornalisti, messaggeri di una verità ufficiale».

È interessante nel suo libro la riflessione sull’infantilizzazione del linguaggio (in Italia per esempio in tempi recenti molti cantanti perdono il cognome ed è un fiorire di Annalisa, Noemi, Clementino).

«All’infantilizzazione del linguaggio corrisponde del resto quella del gusto, che ha già portato in trionfo il molle, il dolce, il grasso e l’aromatizzato, poi quella dell’ambiente circostante che moltiplica sui manifesti e i cartelli segnaletici piccole forme puerili umanizzate con gli occhi a forma di O e i sorrisi a forma di U».

Che cosa possiamo fare?

«Per esempio voi giornalisti potreste provare a usare termini più adatti, specie per quello che concerne il potere. Potreste evitare di definire “populista” ciò che sfugge al sistema, o “violenza” l’atto di rompere una mattonella. Ma naturalmente il potere, che possiede la stampa, scarterebbe queste scelte: è proprio attraverso la diffusione di queste parole e idee che controlla il potere che esercita».

 

Cosa possiamo cogliere della stupidità dei politici e della politica e non solo in questa intervista di Armand Farrachi?

Un indicatore fondamentale della stupidità è la mancanza di curiosità. Andare a dormire senza aver appreso qualcosa di nuovo e di interessante e non provare nemmeno tristezza per quella mancata occasione di conoscenza, lasciando che un giorno possa scivolarti tra le mani senza avere imparato niente e, peggio ancora, evitandone la ricerca, è squallidamente stupido.

Lo stupido è spesso superstizioso e ignorante. Non utilizza al meglio la propria (sic!) intelligenza recando danno a sè e soprattutto agli altri (come si diceva all’inizio).

Il cosiddetto “ignorante attivo“, ovvero l’individuo che, pur essendo privo di una cultura di base adeguata, esprime il proprio parere anche su argomenti a lui conosciuti superficialmente o peggio ancora del tutto sconosciuti e, di fronte alla palese evidenza che ne mostra la sua incompetenza, continua a blaterare adducendo la sua carenza all’incapacità degli altri di capire un discorso talmente “intelligente” che non si riesce a cogliere, è uno stupido. Uno stupido presuntuoso. Già. Purtroppo la stupidità è spesso accompagnata dalla presunzione.

Chi comunica con gli altri usando frasi fatte( tormentone tipico della società di oggi) e tempesta la propria bacheca di facebook di link banali e inutili senza mai scrivere un proprio pensiero, è da annoverarsi in quella folta categoria che affolla il mondo odierno.

L’uso improprio di aggettivi come “machiavellico” per riferirsi a situazioni o comportamenti che hanno ben poco a che vedere con il pensiero politico e filosofico di Machiavelli, utilizzo che dilaga a macchia d’olio, così come l’inflazionata frase “Carpe Diem“, usata anch’essa spropositatamente e spesso collegata ad una visione della vita superficiale e spensierata volta all’edonismo, mostra quanto la stupidità stia crescendo in modo esponenziale.

Infiniti potrebbero essere gli esempi per provare a descrivere la stupidità, ma non riuscirebbero a rendere ben chiaro tale concetto.
Solo di una cosa si può essere certi: la stupidità è la madre di conseguenze spesso catastrofiche.
Contro il male si può lottare, contro l’ingiustizia protestare, ma contro la stupidità, in genere accompagnata da un’ostinata presunzione, non si può agire.

Siamo costretti a subirne i suoi devastanti effetti ogni giorno nel tizio dietro di noi allo stop che strombazza per incitarti a non rispettarlo, nella persona che alza la voce per mostrare di avere ragione, nel vicino di casa che si lamenta se cade una foglia di una delle tue piante sul suo balcone, ma non spende una parola sull’immondizia che invade le nostre città.

La stupidità, secondo alcuni studiosi, è un difetto facilmente riscontrabile nei soggetti che avvertono continuamente la necessità di essere circondati da amici o pseudo tali. Solo in rari casi si rileva negli uomini indipendenti che non cercano spesso la compagnia dei loro simili.
Lo stupido è spesso una persona testarda e orgogliosa di ostentare quella sua peculiarità ritenendo, nella sua pochezza mentale, di trasmettere agli altri la sua presunta potenza.

Usa termini che non conosce e lo fa allegramente (esistono libri sulle citazioni sballate dei politici in Parlamento), non sa e non cerca nemmeno di conoscere il significato di quel vocabolo che di certo non può essere associato ad una forte personalità. Il testardo, infatti, è una persona spesso insicura che ama incartarsi nelle proprie convinzioni, che siano politiche o religiose, e lo fa in modo acritico seguendo supinamente qualsiasi dottrina gli possa infondere sicurezza e appartenenza ad un gruppo.

Se almeno tenesse per sè certe sue “sicurezze”, potremmo tirare un profondo sospiro di sollievo. E invece no. Ama interromperti senza lasciarti finire il discorso appena iniziato e cerca di convincerti di quanto sia “stupido” ciò che non hai nemmeno finito di esporre.
Il testardo è un esemplare tangibile di stupidità, facilmente manipolabile e facile strumento di chi detiene il potere. Ovviamente di tutto questo non se ne rende nemmeno conto. Se lo facesse, non verrebbe incluso tra gli stupidi.

Quando si parla con uno stupido, ci si rende subito conto che è meglio non sprecare tempo; non ascolterà nemmeno ciò che hai da dire perchè ritiene di essere il depositario della “verità. E avverti immediatamente che non stai comunicando con un essere vivente, ma con degli slogan o dei dogmi.
Meglio fuggire.
E farlo il più presto possibile.

L’unico modo per sopravvivere agli stupidi, a meno che non si sia in possesso di un biglietto di sola andata per un pianeta disabitato, è solo quello di evitarli, senza però mai dimenticare che in un modo o nell’altro, sfortunatamente, subordinerà la nostra vita alle loro scelte.

Triste, ma ineluttabile.

E la stupidità vince sempre. Come dicevo proprio perché contro chi non ha niente da perdere non è possibile né l’incontro né la battaglia.
Basta studiare la storia o semplicemente osservare il mondo che ci circonda per avvalorare questa tesi.

Il potere, per dominare le masse, ha un bisogno essenziale di favorire la crescita della stupidità e si serve anche di guru più o meno carismatici che fingono di essere in grado di abbatterlo. E chi pensa di affidare acriticamente la propria vita ad una presenza salvifica che non permette nemmeno il dissenso e induce a sclerotizzarsi nei giudizi, ( “chi non vota quel partito è stupido“), è funzionale al potere.

Che la stupidità abbia sempre governato il mondo è davanti agli occhi di tutti gli esseri pensanti. Basta pensare solamente a chi distrugge quotidianamente la terra, sia che si tratti di una persona che detiene il potere o di un comune cittadino.
Lo stupido non reca solo un danno agli altri, ma anche a se stesso.

Questo differenzia lo stupido dal cattivo. Il primo commette un’azione che lede gli altri senza ricavarne un beneficio per sé, il secondo ne trae un giovamento.

Lo stupido è incapace di giudicare e, non potendo discernere, non incorpora conoscenze. È convinto di sapere tutto e non sente il bisogno di accumulare esperienze. Anche l’ignoranza può costituire una parte integrante della stupidità. Ma un’ignoranza voluta, cercata con ostinazione; esistono infatti due categorie di ignoranti. L’ignorante passivo non è mai presuntuoso, cerca continuamente di apprendere e di superare i propri limiti, l’ignorante attivo si guarda bene dal farlo ed è spesso logorroico.

Di una cosa, però, possiamo avere la certezza: gli stupidi hanno rappresentato e rappresentano sempre la maggioranza e dobbiamo farcene una ragione. Nulla può convincere uno stupido a cambiare opinione ed ampliare i propri orizzonti.

Non resta altro da fare che osservarne tristemente le conseguenze e leggere i pensieri di tutti coloro che hanno messo in rilievo le sue nefaste ripercussioni sulla nostra vita.
Forse un giorno sarà istituita una disciplina che studi tale fenomeno: la “stupidologia”.

Chissà chi frequenterà un corso del genere. Sarà forse come frequentare un corso di psicologia che schematizza la complessità della mente umana?
Speriamo di no. La stupidità potrebbe anche arrivare a questo.
Un modo per estraniarsi dalla stupidità umana è indubbiamente il silenzio. Mai discutere con gli stupidi.
La capanna ha raccolto alcuni pensieri significativi su una delle principali disgrazie che condiziona la nostra vita. O forse la disgrazia per eccellenza a cui non si può porre rimedio.

 

Allora (cambiando repertorio ma non argomento) uno storico ed economista (a dire il vero con mia grande sorpresa) scrive alcune pagine sulla stupidità umana e ne stigmatizza addirittura cinque leggi fondamentali. Le elenco qui sotto senza tanti commenti in quanto si tratta di “osservazioni” che già abbiamo avuto modo di vedere.

Le cinque leggi fondamentali della stupidità di Carlo M. Cipolla

 

Prima Legge Fondamentale: Sempre e inevitabilmente ognuno di noi sottovaluta il numero di individui stupidi in circolazione.

Seconda Legge Fondamentale: La probabilità che una certa persona sia stupida è indipendente da qualsiasi altra caratteristica della persona stessa.

Terza (ed aurea) Legge Fondamentale: Una persona stupida è una persona che causa un danno ad un’altra persona o gruppo di persone senza nel contempo realizzare alcun vantaggio per sé od addirittura subendo una perdita.

Quarta Legge Fondamentale: Le persone non stupide sottovalutano sempre il potenziale nocivo delle persone stupide. In particolare i non stupidi dimenticano costantemente che in qualsiasi momento e luogo, ed in qualunque circostanza, trattare e/o associarsi con individui stupidi si dimostra infallibilmente un costosissimo errore.

Quinta Legge Fondamentale: La persona stupida è il tipo di persona più pericoloso che esista.

Corollario: Lo stupido è più pericoloso del bandito.

 

Sulla pericolosità della stupidità (riprendio io) val la pena soffermarci un attimo. Lo stupido non ha nulla da perdere in quanto non ha capacità di pesare o fotografare la realtà. Si potrebbe definire una “mina vagante” proprio perché è intrattabile, intrattenibile, nè il Logos né la dialettica gli appartengono.

A questo punto del mio discorso, per diletto del lettore e per alleggerimento voglio riportare qui (ovviamente “scaricate” dalla rete) una serie di frasi famose, come si dice, di uomini non stupidi, in merito alla stupidità. Vorrei ricordare al lettore che tutto quello che segue sono “giudizi” e l’importanza del giudizio sul dato della realtà è vitale sia per chi lo esprime e (ahimè se fosse vero) anche per chi lo riceve.

 

“Contro la stupidità anche gli dei sono impotenti. Ci vorrebbe il Signore. Ma dovrebbe scendere lui di persona, non mandare il Figlio; non è il momento dei bambini” afferma sulla stupidità . John Maynard Keynes.

 

E come ho avuto modo di dire all’inizio la stupidità è sostanzialmente antieconomica: porta danno a chi stupido è, a chi lo stupido fa e a chi lo stupido ospita.

 

Allo stupido manca la abilità, come sostiene ancora Robert Musil:

 

“Il legame originario della parola “stupido” con la rappresentazione generale della mancanza di abilità – sia nel significato di mancanza di abilità in tutto sia nel significato di generica mancanza di abilità – ha una conseguenza giustamente impressionante: potendo significare l’incapacità generica, le parole “stupido” e “stupidità” possono all’occasione saltar fuori al posto della parola che indica l’incapacità specifica” scrive ancora Musil.

E ritorno alle…frasi famose.

Di volta in volta possono cambiare gli argomenti, ma la stupidità terrà il suo tribunale in eterno. Ernst Jünger.
È difficile individuare lo stupido. Uno stupido può prendere anche il premio Nobel. Umberto Eco.

Di tutti i miracoli di Gesù menzionati nei Vangeli, nemmeno uno si riferisce alla guarigione di un stupido. Tanto è incurabile la stupidità.
Constantin Stoica.

Gli stupidi non sono così stupidi, sono sempre in maggioranza. Stanislaw Jerzy Lec.

Niente è più pericoloso di uno stupido che afferra un’idea, il che succede con una frequenza preoccupante. Se uno stupido afferra un’idea, è fatto: su quella costruirà un sistema e obbligherà gli altri a condividerlo. Ennio Flaiano.

Perché l’intelligenza umana ha dei limiti, e la stupidità no? Georges Courteline.

Non discutere mai con un idiota: la gente potrebbe non notare la differenza. Arthur Bloch.

Quando nel mondo appare un vero genio, lo si riconosce dal fatto che tutti gli idioti fanno banda contro di lui. Jonathan Swift.

Il primo uomo fu Adamo; il primo imperatore romano Cesare, il primo anarchico Bakunin o Socrate, e il primo comunista, a scelta, Proudhon, Karl Marx, Lenin o Gesù…
Nessuno sa, tuttavia, chi potrebbe essere stato il primo imbecille. Laurent Gouze.

Il saggio sa di essere stupido, è lo stupido invece che crede di essere saggio. William Shakespeare.

Niente è più bello dell’ascoltare un cretino che tace. Helmut Qualtinger.

Per il computer è più facile imitare la nostra intelligenza che le nostre particolari forme di stupidità. Aaron Haspel.

Un uomo buono può essere stupido e tuttavia rimanere buono. Ma un uomo cattivo non può assolutamente fare a meno di essere intelligente.
Maksim Gorkij. (a mio modo di vedere questa è la migliore).

Il problema dell’umanità è che gli stupidi sono strasicuri, mentre gli intelligenti sono pieni di dubbi. Bertrand Russell (anche questa non è male).

Non dubitando mai di sè, lo stupido dispone di una sorta di resistenza obiettiva contro le prove della vita, uguale a quella rigidità muscolare.
Gheorge Gricurcu.

Meglio perire per mano degli stupidi che averne gli elogi. Anton Čechov.

Si vive in un’epoca in cui solo gli ottusi sono presi sul serio, e io vivo nel terrore di non essere frainteso. Oscar Wilde (la solita maestria aforistica!)

Quando mai uno stupido è stato innocuo? Lo stupido più innocuo trova sempre un’eco favorevole nel cuore e nel cervello dei suoi contemporanei che sono almeno stupidi quanto lui: e sono sempre parecchi. Ennio Flaiano.

 

Ogni volta che la televisione ti sembra aver raggiunto il limite più basso, arriva un nuovo programma a farti dubitare di dove credevi che fosse il limite. Art Buchwald (O tempora, o mores).

L’uomo è stupido, fenomenalmente stupido. Fëdor Dostoevskij.

Sono incline a dubitare di qualsiasi complotto, perché ritengo che i miei simili siano troppo stupidi per concepirne uno alla perfezione.
Umberto Eco.

Le persone più stupide che conosco sono quelle che sanno tutto. Malcolm Forbes (mai parole più vere furon dette!).

Almeno due terzi delle nostre disgrazie nascono dalla stupidità umana, dall’umana malvagità e da quelle grandi motivazioni e giustificazioni di malvagità e stupidità che sono il dogmatismo e lo zelo proselitistico al servizio di idoli religiosi o politici. Aldous Huxley.

È stupidità avere una risposta per tutto. È saggezza avere una domanda per tutto. Milan Kundera.

La stupidità non è una patologia, tuttavia è collegata ai più pericolosi fallimenti delle imprese umane. Avital Ronell (non concordo: la stupidità è l’olio e il sale di tutte le psicopatologie).

Il tiro peggiore che la fortuna possa giocare ad un uomo intelligente è metterlo alle dipendenze di uno sciocco.
Giacomo Casanova.

Qualsiasi stupido è capace di distruggere gli alberi; non possono né difendersi né scappare. John Muir.

Lo stupido che adora sputare sentenze sul nostro giardino, non si prende mai cura delle sue piante. Paulo Coelho.

 

 

Per il bene la stupidità è un nemico più pericoloso della malvagità. Contro il male è possibile protestare, ci si può compromettere, in caso di necessità è possibile opporsi con la forza; il male porta sempre con sé il germe dell’autodissoluzione, perché dietro di sé nell’uomo lascia almeno un senso di malessere. Ma contro la stupidità non abbiamo difese. Dietrich Bonhoeffer (come visto più volte in queste pagine).

Alcuni individui ereditano notevoli dosi del gene della stupidità e grazie a tale eredità appartengono, sin dalla nascita, all’élite del loro gruppo.
Carlo M. Cipolla.

La paura o la stupidità sono sempre state alla base della maggior parte delle azioni umane. Albert Einstein.

Per l’uomo non c’è altro inferno che la stupidità e la malvagità dei suoi simili. Donatien Alphonse François de Sade.

Contro la stupidità gli dèi stessi lottano invano. Friedrich Schiller.

È accaduto spesso che un malvagio abbia fatto qualcosa di buono per intelligenza, ma mai che uno stupido abbia fatto qualcosa di intelligente per bontà. Arthur Schnitzler.

La stupidità assume due forme, loquace o silenziosa: la seconda è sopportabile. Bruce Lee.

La gente crea dei gruppi per poter praticare la stupidità di gruppo. Kodo Sawaki .

 

Cos’è l’infinito? Pensa all’umana stupidità. Bertrand Russell.

 

Dovunque e comunque si manifesti l’eccellenza, subito la generale mediocrità si allea e congiura per soffocarla.
Arthur Schopenhauer.

La stupidità consiste nel voler giungere a conclusioni. Noi siamo un filo e vogliamo conoscere l’intero tessuto.
Gustave Flaubert.

Un cretino è un cretino. Due cretini sono due cretini. Diecimila cretini sono un partito politico. Franz Kafka (ahimè, ora più che mai!).

 

Gli uomini hanno il dono della parola non per nascondere i pensieri ma per nascondere il fatto che non li hanno.
Soren Kierkegaard.

Tre cose occorrono per essere felici: essere imbecilli, essere egoisti e avere una buona salute. Ma se vi manca la prima tutto è finito.
Gustave Flaubert .

Allora concludo queste mie riflessioni sulla stupidità umana con Bouvard e Pecuchet.

«Medito una cosa in cui sfogherò la mia collera. Sì, mi libererò infine di ciò che mi soffoca. Vomiterò sui contemporanei il disgusto che essi mi ispirano, dovessi spaccarmi il petto. Sarà una cosa immensa e violenta». Così scrive Gustave Flaubert alla nipote Caroline in data 5 ottobre 1872. Il progetto a cui si riferiva era quello del suo ultimo romanzo, Bouvard e Pécuchet, rimasto incompiuto e uscito postumo nel 1881, di cui si recupera, riveduta e aggiornata da Martina Cardelli, l’intensa traduzione di Gina Martini, apparsa per Allegranza nel 1944.

Doveva essere, secondo le intenzioni dell’autore, un libro sulla stupidità contemporanea, corredato da una serie di scritti che ci perverranno allo stadio di abbozzi: lo Sciocchezzaio, l’Album della Marchesa, il Catalogo delle idee chic, il Dizionario dei luoghi comuni, proposti generalmente come titoli autonomi.

È nota l’acribia con la quale Flaubert attendeva ai suoi testi, documentandosi in maniera maniacale (per Salambò arrivò a consultare più di un centinaio di opere sul tema di Cartagine, di cui parecchie di taglio archeologico). Altrettanto rilevante era l’impegno sul piano stilistico e formale, tanto che l’autore scriverà in una delle innumerevoli lettere indirizzate a Louise Colet: «Amo il mio lavoro con un amore frenetico e perverso, come un asceta il cilicio che gli raschia il ventre».

Ma con Bouvard e Pécuchet, libro profondamente satirico e dissacratorio, il cui argomento doveva vertere nientemeno che sulle varie branche del sapere, il romanziere dovette superare sé stesso e affrontare lo studio di un numero imprecisato di discipline: agronomia, alimentazione, anatomia, botanica, chimica, filosofia, fisiologia, geologia, letteratura, metafisica, pedagogia, religione, spiritismo, storia ecc. Un compito da ciclope: oltre millecinquecento volumi affrontati solo per documentarsi su un argomento che l’aveva affascinato sin da quando, nemmeno decenne, voleva stilare l’elenco argomentato delle bestialità proferite da una conoscente del padre.

La trama del romanzo è quanto mai lineare: due non più giovani bonshommes (così li definisce lo stesso romanziere), di professione copisti, frustrati e insoddisfatti del proprio tenore di vita, si incontrano per caso e, dopo una più o meno lunga frequentazione, decidono di abbandonare Parigi e andare a vivere il resto dei loro giorni in campagna.

Vengono favoriti dalle circostanze in quanto Bouvard ottiene a sorpresa una ricca eredità e Pécuchet, dopo un periodo di transizione, viene messo a riposo e può contare sulla somma relativa alla liquidazione. Qui cominciano le loro disavventure picaresche: acquistano una fattoria nel Calvados, vicino a Caen, dove sperimentano i loro metodi empirici, avvalendosi di studi improvvisati, salvo collezionare un fallimento dietro l’altro. Si inizia con l’agricoltura, si finisce con la pedagogia, nel delirante tentativo di raddrizzare le sorti di due devastanti fratellini, rimasti soli dopo l’incarcerazione del padre e la morte della madre.

Secondo Ermanno Cavazzoni, che firma l’acuta postfazione, Bouvard e Pécuchet sono due «incapaci che si erano applicati via via a tutte le scienze e alle connesse attività, in base solo a letture e teorie lette, con conseguenze all’atto pratico sempre fallimentari; la loro indomabile stupidità è data da questa loro scienza libresca che si scontra con le cose, perché ogni teoria astratta applicata alla lettera, cioè copiata ciecamente senza esperienza, come una ricetta, non funziona o funziona male».
Uno dei principali paradossi del libro, non a caso prediletto da Joyce, riguarda proprio la contrapposizione tra cultura e bêtise, tra aspetto nobile della teoria e fallimento di una prassi priva di fondamento scientifico, sfociante in situazioni grottesche e imprevedibili. Dagli episodi descritti scaturiscono non di rado aforismi che avrebbero potuto idealmente figurare in quello che era, nelle intenzioni dell’autore, il secondo volume dell’opera, laddove Bouvard e Pécuchet dovevano riprendere la loro originaria professione di copisti, aggiornandola a quelle che consideravano le loro «conquiste» sul versante intellettuale, ovverossia un rocambolesco campionario dell’imbecillità.

L’educazione sentimentale diventa allora una sommaria «educazione intellettuale», come suggerì uno dei maggiori esegeti di Flaubert, Albert Thibaudet, il quale scrisse al riguardo: «Nell’ultima parte, di cui abbiamo solo il disegno, si rimettono a copiare. E copiare per loro, significava scrivere Bouvard e Pécuchet. Quello che copiavano era un repertorio di tutta la stupidità umana». E ancora: «Flaubert assaporava, annusava, assaggiava la stupidità, come un intenditore normanno gusta un formaggio invecchiato».

D’altro canto «la stupidità allo stato di dualità» di cui parla il critico francese è evidenziata sia dall’aspetto fisico di questa coppia di antieroi, che non possono non richiamare alla mente il modello di Don Chisciotte e Sancho, sia dal lato opposto, pressoché complementare, del loro carattere: «L’uno era aperto, avventato, generoso; l’altro discreto, meditativo, economo». Bouvard gioviale e estroverso, Pécuchet segaligno e ascetico: coppia integrata alla perfezione. Non sono forse gli antesignani dell’odierna «tuttologia» mediatica che nasconde, dietro l’apparente enciclopedismo, una penuria imbarazzante di nozioni elementari?

Tuttavia non c’è alcun atteggiamento di distacco nei confronti di queste due macchiette, due caricature che sembrano derivare dal caustico Daumier incarnando gli aspetti più deleteri della piccola borghesia del tempo ma una sorta di immedesimazione che rinvia a ciò che sostenne, a proposito del suo romanzo più famoso, lo stesso Flaubert: «Madame Bovary c’est moi».

Scrive infatti: «Bouvard e Pécuchet mi riempiono a tal punto che sono diventato loro. La loro stupidità è la mia, e ne muoio». Non è un caso che, parlando di madame Bovary, così si esprimesse l’autore: «Alla sua sensualità si accompagnano un’immaginazione volgare e una grande ingenuità, cioè, in breve, la stupidità». Ma si pensi anche alle continue diatribe tra il farmacista anticlericale Homais e il sacerdote Bournisien, vero e proprio spaccato dell’ottusità del tempo.

Flaubert è affascinato dalla stupidità, Leitmotiv della sua opera variegata. Cos’hanno infatti in comune Madame Bovary e Salambò, le due differenti versioni dell’Educazione sentimentale e i Tre racconti, la Tentazione di sant’Antonio e Bouvard e Pécuchet? Il metodo di lavoro di Flaubert, la sua ossessiva dedizione al mot juste, ne fanno una sorta di amanuense, di artigiano d’altri tempi, teso a mettere in luce le caleidoscopiche rifrazioni di una realtà passibile di deciframento solo attraverso l’approccio lenticolare del suo Logos.

Il decimo e conclusivo capitolo del romanzo, che Flaubert non riuscì ad ultimare (morì l’8 maggio 1880, a causa di un’emorragia cerebrale), è stato integrato dalle annotazioni riguardanti la continuazione della vicenda. È significativo che il libro dovesse terminare con l’osservazione del medico condotto Vaucorbeil che ha il sapore di una sentenza: «Bisognerebbe piuttosto mandarli in manicomio».
Ma Bouvard e Pécuchet, nonostante la loro approssimazione sia diventata proverbiale, costituiscono una sorta di antidoto a quel tipo di umanità che si crede al di sopra delle parti. E, come tali, vanno riconosciuti. Non bisogna criticare chi sbaglia, ma chi crede di avere una risposta valida per ogni argomento: gli arroganti, i boriosi, i dogmatici. Altro che essere stupidi!

 

 

GUIDO SAVIO

 

 

 

 

 

 

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