AMORE E INTELLIGENZA
L’amore… sveglia, ti fa aprire gli occhi. Nel momento in cui io colgo l’amore dell’altro verso di me… mi sveglio, non mi annoio. E ancora di più quando colgo il mio verso l’altro/a. Non sono più lo stesso/a.
Mi sveglio ad un sentire nuovo, ad un essere io “nuovo”, dunque più me stesso, ad un annusare il mondo in modo diverso, nuovo appunto, a sentire con la pelle le fragranze che la novità dell’apparire dell’altro nella mia vita ha determinato. Mi sveglio a un capire nuovo, a un ricevere nuovo perché l’altro “Tu” che io incontro nella vita mi cambia. Noi cambiamo solo attraverso l’altro.
Non è che compare nella mia vita l’Amore con la A maiuscola, quello dell’Andrea Chenier, non compare l’amore dei libri, delle teorie, delle parole vuote. No. Compare e prende corpo un “Tu” in carne ed ossa. Carne e sesso. Non esiste l’Amore in generale ma esiste l’amore di un “Tu”.
E’ il viso dell’altro su cui apro gli occhi e l’amore diventa una “legge individuale” come la chiama Remo Bodei. Ciò la fanno l’Io e il Tu che stanno in relazione. Non si tratta di una legge esterna o sovradeterminata, non c’è fede religiosa, filosofica, politica, non c’è ideologia che tenga uniti due nella legge dell’amore, ma ci sono solo loro due e basta.
Dopo verrà tutto il resto. Uno che ama un altro non si porta dietro il peso dei suoi pensieri, delle sue ideologie, delle sue astrazioni. Si porta dietro il proprio corpo e basta. E con il corpo dell’altro fa la legge nel momento in cui lo ama. Legge qui significa “ciò che fa funzionare le cose”. Altrimenti in caos e l’inconcludenza.
Questo è il dato che libera il desiderio. La libertà del desiderio diviene la legge che in altre occasioni potrebbe essere imprigionato dalla morale, dalla religione, dalla tradizione, dalle convenienze o dagli stessi doveri, anche reciproci.
“Questa legge individuale – scrive Remo Bodei nel suo Destini Personali – ha la sua icona nel volto inconfondibile di ognuno, il luogo simbolico più espressivo che si conosca, dotato di sfumature che possono moltiplicarsi all’infinito e in cui i più piccoli movimenti riescono a modificare il tutto” .
Il volto dell’altro è la mobilità che mi sveglia, che mi dà modo, se vogliamo, di prestare attenzione, la stessa attenzione ci cui parla Simone Weil, ovvero la cura nell’entrare e nell’uscire dall’altro rispettevole della legge dell’amore. Questa legge si chiama Rispetto.
E questa legge è garantita proprio dalla “nudità” con cui uno si presenta all’altro. Nudità del volto e del corpo come leggibilità del desiderio e della stessa volontà. La legge è fatta dalla naturalità con cui io mi faccio vedere dall’altro (e per vedere sappiamo che intendiamo “vedere la nostra contraddittorietà e la nostra debolezza”).
L’amore come la candela di Max Stirner: per ardere deve consumarsi.
Io e l’altro, consumandoci (amandoci) a vicenda, forse che non ci consumiamo per davvero? Ossia ci annoiamo e ci stanchiamo del nostro stesso rapporto? La candela raggiunge il suo scopo in una sua funzione. Dalla cera consumata poi che ne verrà fuori? Sarà componibile in un altro rapporto? In altri rapporti? L’energia è rinnovabile e riproducibile nella relazione oppure è destinata a fine nel senso della seconda accezione del vocabolario?
Perché noi uomini e donne di questo mondo facciamo così fatica (se di fatica si tratta) a fare convivere dentro di noi il pensiero e l’esperienza che se da un lato la candela produce vita, amore, ricchezza, contemporaneamente, proprio perché espleta questa funzione, la candela va a perdersi, ovvero può portare alla stanchezza e alla chiusura della relazione, può portare ad esaurimento, alla morte? Davvero la noia diventa inevitabile.
La legge della vita a volte è la legge del paradosso e noi siamo chiamati a viverlo questo paradosso. Anzi, di sicuro siamo chiamati a questo compito. Il paradosso è che l’altro, come viene se ne và. E che noi come andiamo anche ci ritiriamo. E’ proprio perché l’altro è perdibile che noi lo amiamo tanto. E’ proprio perché l’altro ci chiama dal suo luogo che noi ci andiamo. Non ci chiama dal nostro luogo. E il suo luogo è il suo, nel quale egli si può anche ritirare. La forza del nostro desiderio è data proprio dal fatto che il desiderio è il desiderio dell’altro. Non è altrimenti e l’altro come è incontrabile è anche perdibile. Il desiderio è il desiderio di stare vicino all’altro. Nella nudità dei corpi: non mi interessa altro ma quell’amore lì.
Roberta De Monticelli scrive: “Per cancellare una credenza, una realtà, un altro reale, ci vogliono dei nuovi motivi. Non è in mio potere abolirla, non più di quanto lo sia il vedere la montagna che è davanti a me” .
La filosofa afferma che per consumare, nel senso di fare finire una candela che pure sta consumando, bruciando, producendo luce e ricchezza, ma anche che si sta sciogliendo, che sta perdendo la sua natura e struttura iniziale… per fare questo io devo vedere un’altra candela. Per allontanarmi da “una credenza, da una realtà, da un altro reale” io devo vedere altro ancora. E’ la vita del desiderio questa, che noi siamo attratti dall’altro e il desiderio è il desiderio dell’altro. Il nuovo che l’altro mi porta, il nuovo che io vedo nel volto nuovo dell’altro.
Goethe in Le Affinità Elettive. Edoardo e Ottilia sono nelle prime fasi del loro innamoramento e Edoardo parla con queste parole a Ottilia: “Ho da rivolgervi una preghiera cara Ottilia, vogliate perdonarmi anche se mi direte di no. Voi non fare nessun mistero (…) del fatto che sotto il vostro abito, sul petto, portate una miniatura. E’ l’immagine di vostro padre che voi avete appena conosciuto e che merita un posto nel vostro cuore. Ma perdonatemi, il medaglione è esageratamente grande e quel metallo, quel vetro, mi fanno mille paure. Ogni volta che voi pigliate in braccio un bambino (leggo questo passo seguendo con l’occhio quello che ha appena detto la De Monticelli, per passare da un posto all’altro ci vuole un motivo) o portate qualche peso o quando la vettura sobbalza (…) mi riesce insopportabile l’idea che qualche urto improvviso, una caduta o un colpo qualsiasi potrebbero riuscirvi pericolosi. Fatelo per amor mio, allontanate l’immagine. Ma non dal ricordo, e nemmeno dalla vostra camera, soltanto allontanatelo dal vostro petto dove a me sembra, forse per eccesso di sollecitudine alquanto pericolosa (Edoardo sta dicendo ad Ottilia: “Levati il medaglione di tuo padre dal petto altrimenti non avrai altri motivi per… e il motivo per… eccolo qua, sono io). Ottilia senza fretta né precipitazione, con lo sguardo più rivolto al cielo che a Edoardo, sciolse la catena, trasse fuori il medaglione, se lo premette sulla fronte e poi lo tese all’amico dicendo: ‘Tenetemelo voi finchè arriviamo a casa, non saprei come meglio dimostrarvi la vostra affettuosa premura’. L’amico non ardi premere il medaglione con le labbra ma le prese le mani e se le portò sugli occhi. Erano le più belle mani che mai si fossero strette tra loro. Gli parve che di un gran peso si fosse liberato il suo petto e che un muro fosse stato abbattuto tra lui e Ottilia” .
La donna, per avere un altro uomo, deve togliersi dalla testa l’uomo di prima, in questo caso il proprio padre.
Per ovviare alla accezione negativa della parola “consumazione” devo incontrare nella vita un tipo che mi fa un discorso tipo quello che Edoardo fa ad Ottilia. “Lascia di là se vuoi venire di qua, lascia l’altro uomo se vuoi venire con un nuovo uomo”. Che il nuovo uomo poi sia un altro reale o diverso, oppure lo stesso che sa fare discorsi e avere desideri nuovi e diversi dal passato che aveva portato alla noia e alla stanchezza, penso passi poca differenza. Ottilia da sola non ci sarebbe mai arrivata senza il Tu di Edoardo. La sua relazione con il medaglione del padre la avrebbe inevitabilmente portata ad esserne schiava e quindi a stancarsi, magari senza staccarsi. Ancora una volta è il Tu che fa l’Io. Lei si sveglia perché guarda gli occhi di un’altra persona che le dà un nuovo motivo. Se lei avesse avuto una relazione reale con un altro uomo e non con il medaglione del padre, avrebbe potuto anche essere questo uomo, ma con discorsi nuovi e con nuovi motivi a svegliarla.
Poi può essere che la stanchezza abbia un proprio e preciso significato nella relazione. Che non arrivi a caso che sia introduttiva di qualche cosa di nuovo. Oppure la stanchezza può essere patologica, anche se naturalmente patologica in quanto inevitabile. In quanto stancarsi dell’altro è l’umano dell’umano. Il paradosso e la debolezza che ci fa forti e vivi è l’umano. E dentro l’umano tutto trova posto. Ed esiste dunque una noia “umana” come ne esiste anche una patologica. Non sempre il proprio posto, ma tutto trova posto.
GUIDO SAVIO