“Si vales bene est, ergo valeo”.
E’ la frase lapidaria che Seneca ricorda usata dagli antichi come incipit delle loro lettere (quelle che ovviamente si scambiavano filosofi, oratori, uomini di potere, poeti e prediletti dagli dei). Tipo il nostro: “Caro amico ti scrivo….”
La traduzione è: “ Se stai bene, ne ho piacere, sto bene (anche io)”. Ma non è del tutto convincente, nemmeno questa di Giuseppe Monti nel suo “Seneca, Lettera a Lucilio”. Manca, a mio modo di vedere, la questione basilare della causa-effetto.
Il latino è più relazionale dell’italiano. Cioè che se uno sta bene (ergo) anche l’altro (suo amico, compare, amante, etc..) stia bene a causa che il soggetto con cui si sta relazionando affermi di stare bene.
E qui…tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare!
Che dopo l’amico/a stia bene per davvero… è un altro paio di maniche.
Sarebbe come dire che “se tu stai bene, fai stare bene anche me per il semplice fatto che tu stai bene (o lo dici)”.
Sulla affermazione “sto bene” pronunciata dalle persona che incontriamo per strada e che risponde alla nostra domanda: “Ciao, come stai?” sarebbe da aprire un corso intensivo. Infatti niente ci garantisce che la affermazione sul proprio stare bene sia oggettivamente coerente con la oggettività dei fatti. Ma quello che conta è che l’altro lo dica, dica “sto bene” come modo relazionale di non mettere il proprio interlocutore nel malo stato d’animo e sentirsi rispondere: “Eh, ma come mai non ti va tanto bene?”. Frase aprirebbe una serie di imbarazzi reciproci che lascio al lettore immaginare e calare nella propria personale esperienza.
Se io trovo per la strada un amico, che magari non vedo da tanto tempo, e gli chiedo: “Come stai?”, a meno che egli non sia un depresso all’ultimo stadio o un paranoico all’attacco frontale, mi risponderà: “Bene”. Oppure, restringendo,: “Abbastanza bene”. Ovvero l’altro, che incontro, e che non mi vuole male, non mi dirà mai che sta male, altrimenti sa che farebbe stare male anche me.
Poi esistono i problemi reali di cui le persone reali parlano reciprocamente per avere aiuto o semplicemente per consolarsi. Ma in altra sede, non per strada.
Torno al dunque: “Sarà mai proprio vero che io sto bene (incontrandoti per strada) per il fatto che tu stai bene? (o mi dici di starlo?)”.
Sappiamo che le fauci dei lupi sono molto meno fameliche delle parole degli uomini. Invidia, ritrosia, accusa di vanteria o di spavalderia, accusa di falso in atto pubblico, accusa di smargiasseria, di sopruseria…..etc. accompagnano l’uomo comune nel momento in cui sente che il proprio simile gli dice: “Sto bene” (“Mentre io non lo sto affatto”). Il che succede quando per strada trovo un amico e lo vedo in forma e in tono mentre io mi sento da gettare nel cestino?
La psicologia dice con assoluta sicurezza che se io dico “Sto bene” anche se dentro non ne sono convinto, compio un atto di avvicinamento alla salute (e io di questo sono convinto). E’ forse questo il senso ultimo di queste piccole cose che sto scrivendo. Che se io non sta tanto bene e rispondo che sto bene, mi dò un aiuto (non una suggestione o, peggio, dico il falso).
Ma, mi chiedo ancora, chi non dice realmente come sta (ammesso che ciò possa essere) è perché ha paura delle conseguenze? Ha paura di non dire il vero? Ha paura che la sua stessa spudoratezza nel dire il falso si ritorca contro di lui? Avrà paura di fare stare male l’amico/a? Non saprei.
Ci va di sicuro meglio l’amico/a che incontro per strada che dice “bene” piuttosto di chi dice “abbastanza”.
“Abbastanza” apre una domanda viscida, scivolosa e impervia nella quale nessuno vorrebbe addentrarsi: Ma cosa vuol dire “abbastanza”? A mio modo di vedere che il suo star bene non gli basta mai. E dunque non starà mai bene, nè per strada nè a casa sua.
“Abbastanza” non taglia la testa al toro. “Abbastanza” non è né carne né pesce. A chi mi risponde abbastanza io gli tirerei….
Beh poi siamo tutti uomini e la nostra pochezza è infinita.
“Se sto bene io… stanno bene anche gli altri” . E’ la massima di Seneca.
Ma esiste anche la massima… “contento io…contento il mondo” che è sputatamente il manifesto dell’egoismo. E torna la infinita pochezza di noi uomini.
GUIDO SAVIO