VIOLENCE
Io penso che l’istinto (quello che comunemente gli umani chiamano istinto umano, (per distinguerlo dall’istinto animale, se ce ne fosse la necessità)) sia quella “realtà” del nostro essere uomini e donne, di cui non si ha “contezza”, che, termine dantesco, significa “coscienza”.
Si mette in pratica senza “sapere”, appunto istintivamente, senza calcolare, senza prevedere (certo le conseguenze).
Se però l’istinto umano è parte fondante del soggetto, può diventarne anche parte…affondante.
Il mio cane non ha “contezza” del buco che fa per terra in giardino, né dell’innaffiatoio che distrugge a morsi perché il suo istinto gli impone di muovere la mandibola almeno sei ore al giorno. Non ha contezza della presa elettrica che divelle dal muro (a suo rischio e pericolo), non ha contezza della ciotola di plastica che manda giù nella pancia e poi vomita, né della “stele” di legno che io gli dò in pasto perché so che “lui” deve mettere in moto il suo muscolo prepotente, quello mandibolare, per almeno sei ore al giorno. Il suo muscolo prepotente e preponderante per lui è il suo istinto.
Ma noi umani abbiamo un muscolo da mettere in moto necessariamente tante ore al giorno? Si chiama istinto? Ha un altro nome? E altrimenti se non lo mettiamo in moto sono danni per noi e per gli altri? L’istinto deve sempre trovare le proprie ore di …masticazione?
Il mio cane distrugge quello che per me uomo è un valore, o almeno una cosa a cui attribuisco valore.
Se invece questa distruzione è opera di un uomo di diversa fede o parrocchia dalla mia che conti faccio? Se a distruggermi il giardino è l’altro di un altro colore della pelle o della ideologia, riesco a fare distinzione tra istinto animale e istinto umano. No perchè sono sicuro che io ho la ratio e l’altro sia portatore dell’istinto.
Difficile per me, quasi impossibile perché io vedo e leggo “istinto” tutto ciò che mi porta danno. Ovviamente non intendendo il danno istintuale (o forse più storico cultura) che io ho portato con la mia cultura e storia ad altra parte del mondo. per secoli. Per millenni.
Ma il mio cane non lo sa. Lui non ha “contezza”. Lui segue il suo istinto completamente disinteressato alla mia graduatoria di valori. E lui fa il suo lavoro di cane distruttore e io faccio il mio lavoro di proprietario (riparatore) perché questo era nei patti. Ma non solo, poi il mio cane io me lo godo…eccome!!!
Ma se l’altro” che fa la stessa cosa alla mia proprietà o al mio sistema è un uomo come me?
Io non posso dire al mio pastore australiano di cinque mesi che se lui contravviene al patto di alleanza stipulato, quasi alla sua nascita, che dice che se lui si comporta bene, io non gli do i crocchetti. Lui non lo capirebbe. Lui su queste questioni non ha “contezza”.
L’altro dell’altra cultura o dell’altra religione (per me) non ha contezza del patto. Ma se poi fosse lui dalla sua diversità a mettermi già i termini del patto? Io non sono abituato. Nessuno me lo ha mai insegnagnato. Mi hanno insegnato che io sono sempre “sopra”. Che il pato lo scrivo sempre io.
Noi occidentali siamo i destinati a mettere per iscritto le regole? Gli orientali invece sanno regolarsi solamente nella logica dei “crocchetti”? Li abbiamo sempre pensati a questo modo?
Dunque io mi assumo un “rischio” nel momento in cui ospito in casa mia una “persona” di cui non sono sicuro possa rispettare il patto di alleanza (che in ogni caso sono io a porre). Ma semplicemente perchè il patto lo ho “imposto” io. Io ratio. L’altro istinto.
E non è una questione di lana caprina. Tutti quelli che hanno cani: dai cacciatori, agli allevatori, a quelli che li mandano nelle arene a spargere il loro sangue…sanno che è così. Che le regole sono queste: “Io sono il padrone”. Ma non potrò mai diventare padrone del tuo “istinto”. Sicurezza mai esisterà. Eppure noi occidentali ci sforziamo di forgiare patti con i migranti di tutto l’orbiterraque mettendoli nella mangiatoia dell’istinto.
Questo può avvenire solo nel rapporto tra uomo e regno animale (o nella sottomissione che l’uomo ha fatto del regno animale). Una civiltà non potrà mai diventare “padrona” dell’altra all’insegna della pretesa di sicurezza reciproca. Gli istinti non sono “assicurabili”.
Ma che cos’è allora nell’uomo il suo istinto? Che cos’è l’istinto che di lui si impossessa? E sarà poi l’istinto che la fa da padrone? Per tutti noi umani? Saremo noi umani destinati alla “bestialità?”.
Sarà mai l’istinto che alla fine…”redde rationem?” (e sarebbe una contraddizione in termini).
Che differenza esiste nel mio pensiero o nel mio giudizio tra il mio cane cucciolo australian shepherd che distrugge quello che gli capita a tiro e il talebano, l’adepto all’isis, il nazista della curva nord, il predicatore delinquente, il persuasore occulto, lo zingaro che aspetta il danaro fuori dal cimitero, il figlio di tutti i cow boys d’America che vanno in gelateria e si portano fuori per leccarli come un gelato gli AR 15 da cinquanta morti alla volta? L’istinto?
E il confronto è terribile!
Io penso che l’istinto sia un comportamento innato (come recitano i dizionari), ovvero la propensione di un “organismo” a mettere in atto un certo comportamento. Ovvero a fare quello che diversamente non potrebbe fare. E a non fare quello che diversamente potrebbe fare.
Ma perché ancora queste questioni di lana caprina?
La violenza.
Ed è questa la questione. Declinata sugli spalti (o anche fuori) di uno stadio. Sulle note della musica di un concerto. Sulla fede di chi pensa di essere laico nella propria fede ed invece è un integralista mortifero. Sulle parole ben dette del prete di turno, sulle parole mal (e) dette dell’ultimo della terra.
Ma di questa presunta o presupposta laicità…chi ci rassicura? Chi ci può rassicurare che il mondo in qualche modo viaggia dentro il binazio della razionalità?? Chi si assume la responsabilità di discriminare (e non è una questione di lana caprina) le pecore che se anche non hanno mai morso nessuno (sic!) domani potrebbero mordere una metropolitana intera, o un museo, o i garretti del primo ministro di turno? Chi può convincermi del contrario, che siamo dentro una grande bolla che non scoppia perchè altrimenti quella che verrebbe dopo sarebbe peggiore?
Ma questa presunta laicità del mondo oiccidentale come fa a garantirmi che domani mattina un poliziotto non venga in casa mia e mi dica che io sono un pericolo pubblico perché in rete mi sono avvicinato a “certi” siti? E magari questi “siti” per me erano quelli che mi permettevano di capire le questioni dell’istinto umano? Forse del prossimo lupo?
Mentre lo stesso poliziotto (ed è fatto di cronaca) non va da quel lupo famelico che si è addestrato in campo siriano e irakeno per dare morte che io nemmeno nell’oppio nefasto della mia mente mi sarei mai immaginato?
Ovvio. Chi controlla chi?
Molto meno ovvio. Chi capisce l’istinto dell’uomo? E chi soprattutto riesce a compiere il lavoro immane del “redde rationem”? (Se mai fosse possibile?). La Casa Bianca, il Cremlino, il numero 10 di Downing Street, Wall Street?
Ovvio che questa non è una questione di lana caprina, né di razza canina. E’ una questione di quanto l’uomo si avvicini al lupo (istinto e ratio). Il mio cane non sa che fa “il male”. E’ un animale e in quanto tale il suo istinto lo protegge e lo salvaguarda anche di fronte alla legge (degli uomini). Ma il male per me non è il male per lui. Io e il mio cane abbiamo due emisferi completamente lontani e forse anche avversi su qui misurare il nostro concetto di “male”.
Ma la disperazione dell’uomo reale come si fa a curarla? La disperazione di chi a dieci anni siriani ha già vissuto abbastanza oltre le nostre coscienti “contezze” occidentali? Come si riduce la disperazione al “redde rationem”?
Esistono persone nel mondo che devono muovere la mandibola non solo sei ore come il mio australian shepherd, ma dodici. Anche ventiquattro. E allora scoppia il Pulse o il Bataclan, ma anche la scuola di Beslan o la chiesa di provincia, o il Bolshoi dei poveri o le torri inattaccabili. Ovvio: non necessariamente per il sincronismo di causa-effetto. Forse solo per il vento che tira, per il caso che marca il terreno, per l’irrazionalità e l’imponderabile di cui siamo, di questi tempi (ma forse non solo in questi), vittime e autori al tempo stesso.
GUIDO SAVIO