Lo spazio che si muove e si increspa come un lago quando una mano ci ha lanciato dentro un sasso.
E’ l’idea della diffusione dell’idea, del pensiero. Noi tutti desideriamo che il nostro pensiero abbia questo percorso: le onde da noi prodotte che si possano propagare verso i nostri amici, la persona che amiamo, i nostri figli.
Il concetto del sasso dentro un lago è un concetto vecchio (e giovane) quanto l’uomo.
Uno dei nodi insoluti della “relatività generale” di Albert Einstein stava proprio nella difficoltà a spiegare come le “onde gravitazionali”, ovvero il risultato prodotto dallo scontro tra stelle, potesse essere concepito.
Dunque si tratta di uno scontro. Uno scontro tra due buchi neri distanti da noi 1,3 miliardi di anni luce e quindi avvenuto più di un miliardo di anni fa. Due stelle che si sono scontrate e che hanno procurato (provocato) uno spazio vuoto dentro al quale altre stelle o buchi neri potessero inserirsi, interfacciarsi, comunicare, avere relazione.
E questi due buchi si sono scontrati alla metà della velocità della luce, ovvero 150.000 k/s.
Ma il fenomeno è che tutto questo, le increspature (quelle del sasso dentro allo stagno) sono avvenute dentro al “tessuto” spazio-tempo. Un tessuto per noi umani, difficilmente rappresentabile.
Tale tessuto è rappresentato da quattro dimensioni, ovvero: le tre dello spazio (lunghezza, larghezza e profondità) e il palcoscenico del tempo, nel quale tutti questi fenomeni si verificano. Come facciamo noi umani ad avere in testa tante coordinate?
Eppure, in sostanza, la scoperta della presenza delle “onde gravitazionali”, per i fisici rappresenta la conferma della esistenza del “buco nero”, ossia di un corpo dotato di un campo gravitazionale talmente intenso da non lasciare sfuggire né materia né radiazioni elettromagnetiche. E poiché un buco nero non può essere rilevato in sé e per sé, l’unico modo per capirne l’esistenza e la portata, è la ripercussione che i suoi “fenomeni” hanno sul tempo/spazio circondante.
Per noi della psicologia, significa che, per capire la sostanza di un fenomeno (l’uomo, ad esempio) , si deve capire la reazione che hanno “altri” fenomeni circondari, limitrofi, concorrenti, amici/nemici, portatori o detrattori, in riferimento ad un suo movimento, pensiero, parola, etc. Chi ci sta attorno dice sempre qualcosa di noi in merito a come noi ci muoviamo. Anche negli anni luce.
La scoperta delle “onde gravitazionali” (vedi Stephen Hawking) invita i pensatori del pensiero a fare mente locale.
Il fenomeno è determinato e determinabile (comprensibile) dalla reazione dei fenomeni circostanti (spazio-temporali) e non è definibile, strutturabile, nominabile, “pensabile” e pesabile “all’interno di se stesso”. Nessuno è autorizzato a dire ciò che “egli” è. Come le “onde gravitazionali si possono capire dagli effetti circostanti che hanno prodotto.
Per noi psicologi quella della conferma di Einstein sul campo gravitazionale altro non è che un “assioma” che da sempre andiamo predicando: il soggetto è “de-finito” dalla presenza dell’altro che lo circonda (giudizi, parole, pensiero, sentire, amare, odiare, etc.). Il pensiero del soggetto su se stesso fa testo fino ad un certo punto: necessita sempre dell’altro per l’avvallo.
“L’Io viene fuori dal Tu”, mi capitava di scrivere una decina di anni fa. Noi siamo quelli che gli altri “vedono”, più il pensiero, assimilabile, che noi abbiamo di noi stessi.
Lo stato delle cose è sancito dalla alterità.
Mi capitava ieri di parlare con una persona della importanza che rappresenta quello che una volta si chiamava “sembiante”: quello che l’altro vede in me, quello che l’altro giudica di me, quello che l’altro assimila dal mio sorriso o dal mio grugno.
E’ tutto qui. Più noi umani ci lasciamo travolgere dal nostro pensiero cattivo su di noi, più gli altri si allontanano . Più noi esseri umani ci lasciamo anche andare al pensiero buono su di noi, più gli altri si avvicinano.
L’esistenza delle onde gravitazionali dice che niente è più veloce della luce. Ovvero c’è un limite a tutto e per tutto. La luce impiega otto minuti per arrivare dal Sole a noi.
Il pensiero/giudizio dell’altro su di noi, noi lo intendiamo non immediatamente come una stella di neutroni che fa la pazza per la galassia. Ci vuole tempo, noi umani abbiamo bisogno di tempo.
Ci vuole tempo (cosa assai improbabile) per dire che cosa succederebbe nei prossimi otto minuti sulla terra se il Sole si spegnesse Non succederebbe ” Niente” . Perchè non c’è modo di saperne. Ha bisogno di tempo e di spazio il sole per “dirci” che si è spento. E che noi lo capiamo (almeno nei canonici otto minuti).
L'”altro” dell’amicizia, dell’amore, della figliolanza o della genitorialità ci manda messaggi (luce).
Ma quando non me li manda vuol dire che è morto? E’ scomparso dalla scena relazionale? E’ scomparso dalla scena delle “onde gravitazionali”? Oppure dobbiamo aspettare almeno otto minuti per dichiarare chiusa la comunicazione (relazione)? Il buco nero (incertezza/sicurezza) che l’altro rappresenta per noi, quando mai lo possiamo dichiarare spento? Bastano otto minuti?
E’ un trionfo per la scienza, un ennesimo trionfo per Einstein questo della scoperta delle ” onde gravitazionali”, un trionfo per Thorne e Isaacson. Un sogno basato su di una strana fede: quella sulla scienza che non contrasta con la scienza sull’uomo.
La quale scienza sull’uomo altro non dice che se noi siamo (e lo siamo) un buco nero. Dobbiamo accettare che a definirci, sancirci, nominarci tali sia quello che sta fuori di noi, magari anche ad anni luce di distanza.
Guido Savio