IL SOGGETTO SOVRANO
Premessa
Per dirla subito e in modo lapidario la sovranità consiste nel pieno diritto del soggetto ad aspirare a essere soggetto, e dunque prerogativa di quel soggetto che è soddisfatto della propria parte.
Si tratta qui di provare a legare, sotto forma di domanda, il concetto di sovranità e il concetto di genesi. Domanda non certo sul tempo della genesi, sull’eventuale “quando” (a partire da quando) il soggetto occupi la propria sovranità come si occupa il posto del diritto, ma domanda sulla genesi intesa come accadere che si perpetua nel passaggio da crisi della legge a istituzione della legge, da patologia a guarigione, dalla condizione di errore alla condizione di correzione dell’errore.
Il concetto di genesi-origine
E’ sempre esistita nella Psicologia l’esigenza di formulare una teoria costitutiva della genesi psichica, di avere un approccio storico prima sulla biologia e poi sulla memoria individuale per approdare ad un punto, al fatidico punto “a quo”, a partire dal quale avviene il diverso dal prima, a partire dal quale non c’è più indistinzione ma distinzione, a partire dal quale si può parlare di soggetto giuridicamente fondato, in quanto solo tale è il soggetto.
Certa Psicologia ci ha anche abituati a lavorare sulla coppia giustezza/errore (rappresentanti sempre di un aut aut, di un principio di non contraddizione) come luoghi del determinismo, della necessità alla ricerca di un “punto di fondazione del soggetto stesso.
A mio modo di vedere le categorie della giustezza e dell’errore, applicate al concetto di genesi, di origine, sono deleterie tanto dal punto di vista della metodologia del procedere del pensiero su queste cose quanto dal punto di vista del rischio di fissazione ad assiomi che questa impostazione comporta.
Meglio, legare in qualche modo le categorie del giusto e dello sbagliato a quelle del tempo, prima o dopo, può comportare un travisamento della questione in quanto si tenta di circostanziarla storicamente, mentre, e lo si vedrà meglio in seguito, il concetto di genesi trova la sua dimensione nel simbolico.
Il concetto di genesi-origine ha sempre risentito di una matrice religiosa e ha indubbiamente sempre rimandato ad una entità trascendentale: quindi si può dire che, nella storia del pensiero, il concetto di genesi è sempre stato legato ad una idea di Padre. Il pensiero di genesi è anche però un pensiero laico che tuttavia, almeno nel corso del procedere della ricerca filosofica e scientifica, ha maggiormente battuto il versante della “domanda” piuttosto che quello della “risposta”. La domanda allora di come questa idea religiosa di Padre corrisponda alla buona idea “psicologica” della volontà del Padre, di volontà dell’altro verso il bene del soggetto.
Sappiamo anche che certo psicologismo tende a ridurre il concetto di genesi da un dato simbolico quale esso sempre è, ad un dato esperienziale, ad un “incipit” storico (a volte con tanto di data!), come è avvenuto per il kleinismo.
La Psicologia (intesa come facoltà normativa di ciascun soggetto) è una buona psicologia nel momento in cui traduce il principio di causalità in principio di imputazione, ovvero chiama il soggetto al pronunciamento sulla propria posizione in merito a salute o patologia, ovvero chiama il soggetto alla sanzione.
Non è pensabile infatti che esista possibilità di imputazione se si restringe il pensiero di genesi ad un dato del tempo o della esperienza. Il tempo è infatti un continuum in cui il soggetto è chiamato a rispondere di volta in volta ricostruendo sempre il proprio discorso. Non è pensabile neppure che il pensiero di genesi/origine possa essere ristretto ad “una tantum” storica come solco di demarcazione tra un prima e un dopo o tra un giusto e un errato, come si accennava in precedenza.
Se potessimo pervenire ad una definizione di genesi potremmo parlare della ricostruzione di un processo per cui il soggetto si genera non tanto nella logica del determinismo, ma nella legalità del principio di imputazione: la nascita è la stessa imputabilità che in quanto tale non può assolutamente corrispondere ad una nascita storica.
Dobbiamo poi fare un riferimento per così dire esterno, e cioè che nel nostro pensiero, che è un pensiero che comprende sempre bene la questione della genesi , esiste pur sempre un riferimento al fenomeno in questione, o allo stesso soggetto in questione, come esistente anche prima della sua, se così si potesse dire, reale genesi (pensiero dell’altro, pensiero del bambino non ancora nato, pensiero dell’essere prima della sua venuta nel mondo, etc.).
Seguendo questa linea allora potremmo dire anche che il pensiero di genesi è sempre un pensiero di Altro, anche nel senso del determinismo e della causazione sempre esterna, altro dal soggetto, nel senso che l’imputazione (che poi è il giudizio risolutivo) viene sempre dall’altro, e che la salute della relazione (e dunque l’amore) viene dalla reciprocità dell’imputazione.
E’ dunque da queste premesse che si può ipotizzare la questione della genesi come questione del principio nella sua portata più fortemente legale.
A questo potremmo anche aggiungere che una certa visione definita, oggettiva, contingente di origine, aumenta di fatto la assenza di significato dell’origine: questo per dire di come la componente simbolica di fatto rappresenti garanzia di significazione.
La genesi allora è senza dubbio principio, principio del quale è sempre bene sottolineare l’aspetto legale. E a partire da questo la genesi è sempre altro, non solo nella connotazione o nella dimensione della imputazione sempre esterna al soggetto, ma soprattutto del limite e della finitezza anche spaziale e temporale che contraddistingue proprio la unicità e irripetibilità del soggetto stesso.
Il pensiero di essere stato originato da altro sembra un pensiero acquisito e scontato in ogni soggetto, tuttavia senza questo pensiero come principio di riferimento non esisterebbe nè confine nè limite.
Così, ribadendo un concetto già espresso, quando si pensa alla genesi della legge nel soggetto, non si può pensare o partire da un risultato conosciuto, o da un qualunque dato fissato nella storia, lasciando indietro certe altre sue caratteristiche inconsce che venivano prima della cosiddetta “nascita dell’inconscio”.
Ovvero il concetto di genesi strettamente vincolato alla storia, o alla temporalità, o, se vogliamo, alla realtà, corre il rischio di determinare una impasse nel senso che “taglia fuori” parti del soggetto che pure sono integrate e integranti del soggetto stesso. Se si dovesse pervenire alla determinazione della nascita dell’inconscio “in” quel dato momento nella storia del soggetto, molto banalmente, si perderebbe tutto quello che viene prima.
Allora si può intendere come la questione della genesi debba in ogni caso essere intesa come momento simbolico e in quanto tale ripetibile nella storia del soggetto: ripetibile in quanto l’imputazione è ripetibile. Se qualsiasi genere di genesi ha sempre a che fare con il diritto, con la legge, la legge stessa chiede una propria costante riedizione non essendo essa una conquista “una tantum”, acquisita la quale da quel momento in poi tutto è assicurato nel diritto.
Sappiamo, come già detto, che non tutte le insorgenze possono essere considerate nascite. Così l’insorgenza sta in parte nel versante della causalità come la nascita sta del tutto nel versante del diritto.
Il soggetto è imputabile delle forme di nascita o di genesi in quanto in esse è sempre rinvenibile domanda (e domanda sta sempre e solo nel versante della legge). L’insorgenza è sempre secondo tempo, ma secondo tempo della causalità, ovvero non automaticamente dentro al registro della imputabilità.
In pratica il soggetto della genesi è il soggetto della domanda e del desiderio riferito al nascere come novità e come sorpresa. Il diritto è un principio (come il piacere) che funziona in quanto non ripete, ovvero, c’è sempre del nuovo e della sorpresa. Nell’ambito della insorgenza non si può dire che il diritto sia negato o assente, ma di sicuro è “sospeso”,nel senso che non in tutte le forme di insorgenza esso è immediatamente rinvenibile, e non tutte le forme di insorgenza poi si traducono in nascite.
Nascita è il “quid” che il soggetto concorre a fare avvenire come meta del desiderio e della domanda, insorgenza è un avvenire che sta fuori dalla domanda, anche se non è detto che nell’insorgenza la componente legale sia bandita o assente, anzi, è perfezionabile come si può dire perfezionabile una domanda che si rivolge all’altro se si desidera che questa venga esaudita.
Forme ideologiche e del pensiero, tuttavia, spingono a pensare ogni forma di insorgenza come nascita, non chiarendo e non problematizzando giustamente la questione del diritto presente o assente (volontà e domanda che ci sono o non ci sono) all’interno della insorgenza. La verità della insorgenza è fin troppo cruda: il fenomeno A è pur sempre generato da un fenomeno diverso da A, dunque un non-A.
La verità della genesi è fin troppo legale: il fenomeno A è pur sempre generato da una forma di domanda di diritto del soggetto. In sostanza, a nascere ci si lavora.
Il soggetto sovrano
Ora si sa che l’incontro con la legge avviene sempre nel momento della crisi, è nascita dopo la crisi, è lavoro di nascita come conseguenza del lavoro interno alla crisi. E la crisi è il momento in cui il soggetto comincia a pensare (che qui potrebbe essere equivalente a lavorare) e le sue parole sono parole della crisi. La tre fasi riassunte in: maturità iniziale, tempo della crisi, guarigione testimoniano come dal tempo della crisi al tempo della guarigione il passaggio sia possibile solo se interviene lavoro.
Ora diciamo che il lavoro della legge, il lavoro della nascita, l’unico lavoro intendibile come foriero di effetto legale è quello che conduce dalla crisi alla guarigione, intendendo come controlavoro o obiezione alla legalità il passaggio dalla maturità iniziale alla crisi.
La tesi già proposta e ora ribadita è che si può parlare di genesi solamente come nascita della legge nel soggetto e che ad essa corrispondono la regalità e la sovranità del soggetto stesso. Sovranità che consiste, come già detto nella premessa, nel privilegio per cui il soggetto è soddisfatto della propria parte e sta in relazione con un altro che occupa il posto di altro senza più l’artificio di chiamare Altro l’altro. In questa condizione il posto di soggetto e il posto di altro sono occupati da un soggetto senza confusione nè tra soggetti nè tra posti.
La nascita di cui parliamo non ha a che fare con il primo tempo della legge in cui il soggetto è mosso da un Aq , un altro qualunque, ma con il secondo tempo della legge in cui la sovranità è sancita dal movimento del soggetto verso As, altro sessuato. Si parla allora di sovranità nell’incontro del soggetto con l’altro sessuato. Il sovrano è quel soggetto S che occupa proprio quella posizione di S per il fatto che è soddisfatto della propria parte avendo riconosciuto il proprio sesso dalla risposta di As.
Così il pensiero di sovranità è legato al pensiero di Padre che costituisce, solo, la genesi del soggetto stesso nel secondo tempo della legge, ovvero distingue i sessi. Il pensiero di Padre è il pensiero della differenza come elemento imprescindibile della sovranità: il sovrano è la differenza e contemporaneamente il proprio pensiero in merito a ciò.
Soggetto sovrano e “al di là”
Bataille offre una definizione di sovranità da intendersi più o meno come capacità di consumo delle ricchezze da parte del soggetto, in opposizione al lavoro e alla servitù che producono ricchezze senza consumarle. In qualche modo è interessante questa posizione di Bataille in quanto il campo della sovranità è da intendersi come quello che si apre “al di là” della utilità, al di là della dipendenza del bene offerto dal prodotto.
In questo campo, il campo dell’oltre, dell’al di là, Bataille intende la spiritualità, ed è interessante questo suo pensiero. “Il sovrano è colui che è come se la morte non ci fosse”, lo spirito supera la morte. Tutto ciò che è al di là del soggetto costituisce la sua stessa sovranità, tutto ciò che va fuori dalla logica della assimilazione del soggetto alla sua stessa cosalità, costituisce la sovranità. Il consumo delle ricchezze è la facoltà di accedere all’al di là, alla spiritualità.
Così noi possiamo intendere la ricchezza come facoltà del soggetto sovrano a disporre dell’al di là della ricchezza stessa. Al di là della ricchezza significa anche facoltà di pensiero della perdita della ricchezza, dunque “come se la morte non ci fosse”. La ricchezza per il sovrano è forma e fonte del diritto di fare della ricchezza stessa un “al di là”.
Così la guarigione è sempre un pensiero di “al di là” e in questo tipo di argomenti il sovrano, il soggetto sovrano, ha la propria parola: non esiste dualismo, non esistono opposti, non esiste bene-male, salute-malattia, ma esiste soltanto guarigione come pensiero dell’al di là, appunto al di là del dualismo, ma non solo, al di là della crisi, al di là che è costituito da quella strada che non riconosce bivi, ovvero la legge.
Molto umanamente, il sovrano è il soggetto del coraggio, soggetto del coraggio che in quanto tale è affidabile. Il suo coraggio sta nella teoria pratica, coraggio della azione pratica come evento di legge. Coraggioso (e sovrano) è quel soggetto che fà ciò che è, e in quanto tale procede costantemente verso il proprio destino e dunque anche verso la propria morte. Alla fine lo attende la sconfitta, non la vittoria. Ma capire questo per il soggetto è proprio la virtù, l’unica delle virtù e l’unico argomentare sul proprio coraggio.
Il coraggio è un pensiero pratico ed è anche un pensiero economico e anche inizio della legge del beneficio: ad avere coraggio il soggetto ne guadagna in sovranità come facoltà di accedere alla ricchezza senza dipendere dalla produzione della ricchezza stessa: sapere consumare e dunque perdere è la regalità del sovrano.
Allora tornando all’inizio del nostro discorso possiamo dire che la sovranità del soggetto, intesa come genesi, come nascita, avviene nel momento in cui il soggetto abbandona la astrazione e abbraccia il pensiero della pratica (ipotizzando qui tre articoli della legge in teoria, pratica, istituto). Il pensiero della pratica poi è sempre una teoria pratica, essendo impensabile una pratica senza teoria. Il pensiero della pratica poi corrisponde all’abbraccio dello schema della norma, ovvero “se questo(giudizio)”, “allora quello (sanzione)”.
Proponiamo qui allora una serie non omogenea di riferimenti al soggetto sovrano (tale a partire dalla elaborazione del proprio concetto di norma e non di meno dal proprio posto nella relazione): – il soggetto usa il proprio pensiero come frutto di un lavoro personale – il primo pensiero è stato mosso da un principio economico, molto pratico nel senso del raggiungimento del piacere e dell’evitamento del dispiacere – l’altro per il soggetto sovrano entra nella relazione solo in quanto soggetto imputabile e libero (il sovrano non ha rapporti con sudditi ma con liberi, soprattutto nel senso di “guariti”) – il sovrano è tale in quanto soddisfatto della propria parte, che vuol dire della propria unione corpo-pensiero – il soggetto sovrano è il soggetto che fa della reciprocità di imputazione la condizione imprescindibile della intercambiabilità dei posti S/A, del tipo: “Solo pensare l’altro sovrano mi fa sovrano” – solo la sovranità muove la domanda la cui giuridicità è solo il moto in quanto il moto della domanda è l’origine, la genesi della giuridicità del soggetto stesso – l’altro e io siamo imputabili nella frase:”So che questo dipende da me e so anche perchè” (qui il perchè è giuridico e non causale).
Per concludere poi va detto che il concetto di sovranità non può prescindere da quello di universalità, in quanto il sovrano, proprio per quanto detto della relazione, è colui che fa “per” gli altri, che potrebbe anche essere inteso come “al posto” degli altri. Il soggetto della sovranità esce dalla crisi della legge (dunque dalla malattia) senza chiedere permesso a nessuno. Solo il soggetto che si autorizza da sè, il soggetto che non deve chiedere permesso a nessuno può occupare il posto di rappresentante degli altri, di tutti gli altri (ed è qui l’universale) anche se tutti gli altri fossero nessuno.
Il moto del sovrano è quello di uscire dalla crisi della legge, anzi, di stabilire egli stesso, come sanzione, l’uscita dalla crisi della legge, ovvero sancisce il patto, sancisce il patto con il pensiero e la volontà del Padre. L’uscire dalla crisi della legge è proprio la formulazione della nuova alleanza. Sovrano allora è figlio, figlio sempre in moto per l’uscita dalla crisi della legge, sempre in moto per la nascita che, come detto, non avviene “una tantum” ma come frutto di un continuo lavoro.
Sovrano è figlio, figlio in moto per l’uscita dalla crisi della legge (della malattia), così parlando del Cristo si parla di sovrano. La crisi dalla quale esce è sempre crisi da mancanza di principio, come il bambino che stava bene è entrato in crisi perchè non aveva principio (legge) del proprio stare bene, ed è dunque andato in crisi. Il Cristo come sovrano ha fatto “per noi” (pro nobis) ma anche “al posto nostro”, ovvero ha compiuto il passo (doloroso) della uscita dalla crisi della legge per formulare, con il Padre, una Nuova Alleanza. La crisi è sempre crisi da mancanza di principio, ovvero da mancanza di legge e la crisi trova una propria soluzione nella nascita (genesi) della domanda che può portare al principio: il Cristo ha dato un principio ad una domanda, la domanda derivante dalla mancanza di principio, ovvero dalla mancanza del Padre.
GUIDO SAVIO