Mi capita spesso di ascoltare persone che parlano della loro solitudine. Reale o del pensiero o entrambe.
Mi spiego.
A mio modo di vedere esiste una solitudine “reale” (se così si potesse chiamare): quella di quelle persone che nei loro paraggi non hanno “altri” con cui parlare, passeggiare, lavorare, dormire, godere e soffrire.
Esiste poi, per me, una solitudine “del pensiero” (se così si potesse chiamare): quella solitudine di chi sì frequenta “altri” come detto sopra, eppure….non sente nessuno accanto a sè. L’insensibilità di una anestesia.
Questa solitudine del pensiero esprime un sentire ben preciso: “Non sono nel pensiero di nessuno. Sono scomparso dal radar di tutti” .Come mi ha detto un giovane uomo ieri.
Pensare di non essere pensato è la vera solitudine che si insinua anche in chi è circondato dal mezzo mondo. E non c’entra la socialità, la comunanza, la comunione, lo stare insieme, il fare baldoria, l’ammucchiarsi.
Il pensiero di essere soli è l’arco che scocca la freccia (della malinconia) verso noi stessi. E spesso va a segno, e spesso non c’è corazza dietro cui pararsi.
Non ritrovarsi nel pensiero di nessuno è il vero smarrirsi del nostro tempo. Ma a spegnere il radar, devo ammetterlo se voglio guarire, sono stato sempre e solo io.
Guido Savio