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FIGLIO PADRE/ PADRE FIGLIO

Il figlio pensa

1. Figlio è un pensiero e nello stesso tempo un inizio. C’è un tempo prima del figlio e un tempo dopo il figlio. Figlio è un pensiero di essere nati da qualcuno, dall’amore, non dal rapporto sessuale, di qualcuno. Non esiste stato di maggiore vicinanza (al padre) che quello di figlio. Dante nel Convivio scrive: ” Tanto è la cosa più prossima, quanto, di tutte le cose del suo genere, altrui è più unita: onde di tutti gli uomini lo figlio è più prossimo al padre” (Conv. I,XII, 4). Il pensiero che noi siamo figli e dunque prossimi al padre, vicini a lui come fonte di tutte le soddisfazioni, è anche pensiero di demarcazione tra malattia (del prima) e salute (del dopo). Pensarsi figli è la condizione della salute.

Si può dire allora che tutto ciò che viene prima del pensiero di figlio è antico, mentre tutto ciò che viene dopo è moderno. Il figlio (e da qui in poi useremo questa parola come ” nostro pensiero di essere figlio”) si pone nel mezzo, come spartiacque.

Quando mi penso “figlio dell’amore”, non di mille altre storie devianti, fuorvianti o peggio perverse, allora sono un guarito. Dobbiamo pensare che la civiltà dei sani è una civiltà dei guariti. Civiltà perchè per arrivare a questo pensiero bisogna aver lavorato di… pensiero, e la civiltà è distinta dalla natura in quanto c’è pensiero. Un buon pensiero, del tipo: “hai avuto una bella idea”, quella di pensarti figlio dell’amore, cioè un soggetto che altri due, facendo l’amore, hanno pensato in quella logica lì.

Il primo moderno (Giacobbe, Edipo, Antigone, Cristo, altri “eroi”) è colui che si è posto come fondatore del primo cogito sovrano, autonomo e nello stesso tempo elaboratore della legge in vigore. E’ il figlio che lavora di testa senza… perdere la testa. Lavora per evolvere la propria condizione di fronte alla legge. Allora Antigone contro le leggi di Creonte in favore dell’amore fraterno, ovvero dell’amore di natura, una fanciulla pia e soccorrevole che si sacrifica per i peccati del mondo, una martire paragonabile a Giovanna d’Arco, una emula di Cristo, fino al punto che Marguerite Yourcenar afferma: “Il pendolo del mondo è il cuore di Antigone” (Fuochi, 1967).

Giacobbe, l’Edipo biblico, con la sua colpa di aggressione verso il padre (Genesi 27) e poi, a Beth-El (Genesi 28) la consumazione simbolica dell’incesto (l’erigere pietre e le effusioni); infine, allo Yabbok, in conseguenza di ciò che è avvenuto prima, l’eroe è colpito all’anca, equivalente della castrazione inflitta dallo sconosciuto in cui si deve riconoscere la figura paterna. Figli insomma, figli eroi che distanziano il passato dal loro presente, che lavorano per la nuova legge.

Il figlio è l’iniziatore della modernità.

C’è inizio se c’è qualcuno che inizia, e il figlio è iniziatore di un percorso e di un lavoro che tesse la legge in quanto figlio di un rapporto in cui padre e madre hanno fatto alleanza nell’amore. La legge afferma un pensiero, che ognuno di noi è figlio di un rapporto. Nell’Ulisse di Joyce il mito di Amleto è sovrapporto al modello odisseico. Stephen Dedalus, giovane scrittore, crede nell’autonomia dello Shakespeare creatore, rifiuta l’idea della paternità carnale e si oppone violentemente al dogma della “consustanzialità” di padre e figlio. Amleto-Telemaco, in questa giornata del 16 giugno 1904, è alla ricerca di un padre spirituale. Dalla natura alla cultura, dal sesso all’amore. Così come Savonarola, dall’alto del proprio pulpito tuonava verso un non ben identificato padre insolvente: “Sei patre solo della carne e non dello spirito e dell’anima del tuo figliolo”.

Il figlio fa passare la storia da antico a moderno, dal prima al dopo (la legge è per l’uomo e non l’uomo per la legge) poichè è sempre sacrale la sua nascita. Ma nascita non come “venire al mondo”, fuori dal ventre materno, bensì come nascere alla legge, al sapere vivere al mondo, ad essere un altro per i soggetti che lo chiamano.

Il moderno dunque è qualcuno che inizia,il figlio che inizia a pensarsi tale e pone in questa logica l’antico uguale al patologico. Ciò che non succede è ciò che non inizia mai.

Rudolf Otto, nel suo volume Il sacro afferma che l’esperienza psicologica del sacro può essere considerata un unicum irripetibile e indiscutibile con il quale confrontare tutte le altre esperienze. Ebbene, figlio è una esperienza creaturale che presuppone “la conoscenza di qualche cosa di numinoso, di sacrale, di cui ci si sente creatura”.

Figlio è un pensiero di essere tale, un pensiero di essere altro di qualcun altro (padre e madre, Dio, etc.). Giovanni evangelista prorompe in un grido di gioia a afferma: “Dio non l’ha mai visto nessuno: proprio il figlio unigenito, che è nel grembo del Padre, lui lo ha rivelato” (Giovanni 1,18). Nell’ XI concilio di Toledo, nel 675, si disse: “Il Figlio fu generato non dal nulla o da un’altra sostanza diversa ma dal grembo materno del padre ( de patris utero)”. Il figlio è la testimonianza della pienezza del rapporto padre madre che l’ha generato, dell’amore completo che lo ha generato, in questo caso di Dio padre e madre. Il pensiero di padre e madre uniti costituiscono nel figlio che lo fà il pensiero di alterità. Io penso ad Altro o all’altro nel momento in cui vedo mio padre e mia madre che si amano e io sono conseguenza di quella legge d’amore, frutto del loro rapporto.

La alterità è la perfetta corrispondenza nel Padre del pensiero di origine e di fine. Padre è fine e origine nel pensiero iniziativo del figlio. E ancora oltre: ad iniziare è un pensiero di corpo, io che penso al mio corpo che ha una sua rappresentanza (come potrebbe essere la rappresentanza parlamentare) datagli dalla legge dell’amore che lo ha determinato, cioè da padre e madre che hanno espresso atto di volontà perchè io fossi. Allora il mio corpo ha significato, in quanto un altro lo ha voluto.

Il corpo possiede una propria fondazione giuridica, nel momento in cui viene pensato come sano (“si nasce sani”), nel momento in cui viene pensato dal soggetto come corpo avente diritto alla soddisfazione.

Chiameremo d’ora in avanti questa rappresentanza del corpo con l’espressione “Pensiero di Natura”. Ovvero è nulla di più che naturale pensare che il nostro corpo è la fonte di tutto se inteso come corpo della volontà e del desiderio (di padre e madre), come corpo che aspira costantemente alla soddisfazione attraverso il beneficio reciproco con l’altro, atto imparato da padre e madre, il corpo dell’amore.

Una donna sogna che sta per diventare madre e sa che per tal fine non c’è stato alcun apporto procreativo paterno. Si sveglia dicendo: “Non ho bisogno di nessuno per fare le mie cose!”. Ecco, questa è la negazione completa di figlio (in quanto sempre frutto di un rapporto) e di rappresentanza del corpo (che prova soddisfazione solo nel reciproco beneficio, in questo caso il rapporto sessuale). Qui è negato il pensiero di figlio in quanto questa donna non ha pensiero del proprio corpo come rappresentanza in quanto non sa chiamare l’altro che gliela dà. Niente rapporto (qui sessuale), niente legge di rappresentanza!

L’esordio del figlio è l’esordio della rappresentanza del suo corpo (infatti ognuno è il proprio corpo). Fuori di questa logica, fuori dalla rappresentanza, il corpo, ma meglio ancora, parti di esso, diventa pretesto per sintomi. L’ammalarsi avviene quando del proprio corpo non c’è pensiero di rappresentanza, di sovranità, di diritto (e il diritto è sempre al piacere come principio), di salute. Ci si ammala quando si è spettatori del proprio corpo, lo si osserva da tutte le parti, lo si auscolta come un possibile ricettacolo di mali senza viverlo, lo si vive come un vaso di Pandora, senza pensarlo nella sua stessa naturalità, nel Pensiero di Natura da cui siamo partiti. E noi siamo partiti, iniziati, tutti, dall’inconscio, dalla natura personale uguale alla natura universale dei nostri simili.

1.1. L’inconscio comprende la parola Padre e la parola sesso entrambe come articoli del rapporto, della relazione.

L’universo degli umani è essere figli, ciò significa Padre.

In Freud Padre significa Universo, in cui i rapporti sono tra figli (giuridicamente figli). Figlio significa il contenuto della volontà di un padre, quando anche non esistesse un tale padre. Anche se il padre fosse uno spettro. Amleto si interroga infatti sulla provenienza del fantasma di suo padre “Che tu sia beato o demone, che apporti l’aria celeste o le ventate dell’inferno”. Il figlio è colui che si regola nei rapporti con tutti seguendo la legge del principio di piacere, di cui il padre è il primo rappresentante. Il Padre azzera le pretese di divergenza dei figli, li mette tutti in fila, li rende uguali (certo nelle differenze). Il Padre è quella entità che fa di uomini figli, e dunque tutti fratelli.

Qui il figlio è colui che inizia, colui che principia l’esserci, il realizzarsi della volontà del Padre rendendo sanzionatorio il proprio inconscio. Sanzione non significa colpa ma responsabilità del proprio dire e del proprio fare. Il principio di imputazione (responsabilità) fà sì che ci si possa amare reciprocamente (non si può amare un ingenuo, uno che non ha niente da perdere, un irresponsabile).

Se la vita di ciascuno di noi potesse essere grossolanamente divisa potremmo individuare tre fasi. Le tre fasi riassunte in: a) maturità iniziale, b) tempo della crisi, c) guarigione, testimoniano come si nasce sani, ci si può ammalare (anche l’altro ci fa ammalare), si può anche guarire se si smette di pensare che sia stato l’altro a farmi ammalare (principio di imputazione). Dal tempo della crisi (seconda fase) al tempo della guarigione (auspicabile terza fase) il passaggio è possibile solo se interviene l’elemento che più caratterizza lo stato di figlio: il lavoro/domanda. Il figlio è sano se svolge questa funzione: si dà da fare, si tira sù le maniche per domandare (e per rispondersi, come gli “eroi” che abbiamo visitato all’inizio).

Dunque inizio è lavoro, l’unico lavoro intendibile come foriero di effetto legale è quello che conduce dalla crisi alla guarigione, intendendo come controlavoro il passaggio dalla maturità iniziale alla crisi.

Quello di Padre è anche un pensiero di fonte. Da questo pensiero il soggetto trae tutti gli altri suoi pensieri produttivi, in cui la produttività è la rappresentanza del corpo all’ inizio. Tutto ciò a partire dal segno verso il moto che il pensiero di Padre traccia. Padre come fonte significa spinta, vigore, giovinezza, forza (vedremo in seguito la virtù del coraggio come virtù primaria del padre).

“A me piace mio padre in una foto di vent’anni” potrebbe essere la frase che il figlio pronuncia quando accetta la volontà del padre e ne diviene in questo modo fratello: siamo tutti sulla stessa barca, siamo tutti, in fin dei conti, figli (di un unico Padre, e anche mio padre naturale è figlio di quel Padre, da qui la fratellanza). Nessuno dice chi è il padre, nessuno ce lo indica, bisogna “costruirselo”. Anche come fratello.

Il padre è quel soggetto che non riceve nomina da nessuno ma si pone da sè nella logica della nominazione. Come scrive Diego Napolitani: “Compete all’uomo, dunque, il potere ad un certo punto della sua vita e all’interno di particolari circostanze sociali essere nominato “padre”. Ma ricevere o dare un nome, essere (o avere) nominato, propone una radicale biforcazione semantica: da un lato si pone la nomina, che è quell’atto pubblico con il quale chi ne ha l’autorità, propone una persona ad un ufficio e le conferisce una corrispondente dignità ed autorità, e dall’altro lato si pone la nominazione, che è quell’atto linguistico provato per il quale un evento viene chiamato od evocato per una sua qualità essenziale, riconosciuta come ciò che lo differenzia da tutti gli altri eventi” (D. Napolitani, Un uomo chiamato padre: sue vicende tra nomine e nominazioni, Atti del Convegno “Il Padre tra Natura e Cultura”, Università Cattolica, Roma, 1983).

Il padre del figlio è colui che si pone come verbo, come puro atto linguistico disposto ad essere riempito di contenuto dalla libertà e dal desiderio del figlio stesso. Pensiamo che la relazione genetica tra uomo e bambino non presenta nessuna evidenza oggettiva. Le cose sappiamo che vanno in maniera diversa per quel che riguarda la relazione della madre con il “suo” bambino: la donna, nella sua fisicità corporea e nella propria storicità è sin dal momento del concepimento genetico, evidenza di continuità tra se stessa e il frutto del proprio concepimento. La “naturalità” di questo evento, cioè di questa continuità, non ha bisogno di alcuna “nomina” che la dichiari o la sostenga. La madre è tale e basta, non c’è nulla da capire e da spiegare. Il padre invece deve essere capito, deve essere letto nella propria funzione, e qui la nominazione, deve in pratica essere chiamato tale al di fuori del suo stesso dato naturale.

Risulterà utile a questo punto ricordare come l’idea romana di pater familias presenti il potere del padre indipendente dalla sua paternità reale. Pater familias appellatur qui in domo dominium habet; recteque hoc nomine appellatur quamvis filium non habeat. Il Padre è padre anche quando non ha figli: questo è il pensiero di Padre di cui stiamo parlando.

Un uomo sogna che il padre gli dice “Impara da me che ti insegno bene”. Qui il padre non si pone come fonte perchè vuole mostrarsi a tutti i costi, forzando la mano, al figlio nel suo ruolo di padre (“ti insegno bene”). Siamo qui in presenza di un padre ostentatore. Di quell’individuo che, perchè debole, mette in piazza i propri attributi, dunque debole.

Ostentatore non è invece il padre di un altro uomo che sogna il proprio padre mentre gli dice: “Si fa così, amen, così sia!”. E’ questo il padre della soluzione, dell’idea geniale che trae fuori dal problema, non è il padre che per forza vuole trasmettere al figlio il proprio sapere. “Se vuoi fai così”, non “Devi per forza fare così”. Sappiamo infatti che le soluzioni non si trasmettono. Come il figlio si deve inventare il padre, allo stesso modo si deve inventare le soluzioni.

1.2. Il Padre diventa un pensiero per il Figlio (ed è qui il Pensiero di Natura) nel momento in cui si presenta come una delle parti componenti del fine di un moto la cui meta è l’ incontro. L’incontro è iniziatico per natura, fornisce l’avvio a due che lo vogliono. Il Padre esiste solo in quanto meta dell’incontro, condizione per il lavoro del figlio nonchè il placuit (La legge è tale in quanto è funzionante la frase: “a qualcuno è piaciuto – placuit – che…, a mio padre è piaciuto che…”) su cui fondare il giudizio. E’ legge quello che piace (placuit) al Padre, non quello che il padre ha ordinato o insegnato.

Agostino deve avere avuto dei genitori che… non sapevano, non avevano… conoscenza, ovvero che non gli hanno, a detta sua, fatto intendere il placuit. Scrive infatti nelle Confessioni: “Violenti moti di membra, strilli acuti erano le manifestazioni corrispondenti ai miei voleri, poche e insufficienti, quali poteva, per nulla conformi alla realtà. Che se non mi si ubbidiva o per incomprensione o per evitare il mio danno, stizzito dal non vedermi sottoposti i più grandi, nè servo chi era libero, me ne vendicavo con i pianti. L’esperienza poi mi insegnò che tale era la natura dei bambini; e che non diversa fosse la mia me lo insegnarono a loro insaputa i bambini stessi meglio che non coloro che mi allevarono e lo sapevano”. Agostino ha imparato dai suoi coetanei, dai suoi compagni di gioco, si potrebbe dire dai suoi fratelli. Il placuit non glielo hanno indicato i propri genitori, e Agostino, velatamente, li accusa di questo, bensì quei soggetti che in quella età si trovavano a porsi le stesse domande (sul principio di piacere) che Agostino stesso, bambino, si stava ponendo.

2. Chi è un figlio?, quello che nessuna legge – psicologica, biologica e neppure celeste comanda di avere.

Il “chi inizia” del figlio avviene nel suo essere svincolato dalle forme di dispositivo (a comando). Così il figlio è moderno in quanto avviene (senza che nessuno glielo comandasse) dove e quando prima non era. Sta qui la sua giuridicità. L’essere legale è l’essere moderno in quanto Inibizione Sintomo Angoscia sono stati posti nella categoria dell’antico, nella condizione ante legem in cui il corpo non è rappresentato dal Pensiero di Natura. Il Mondo è l’Universale che si oppone a dispositivo e diventa luogo del Pensiero di Natura. Il saper stare al mondo per il figlio, il suo mettersi in fila come tutti gli altri, il suo sudore per farlo, diviene il suo Pensiero di Natura. Ciò significa anche “penso naturalmente al mio essere sano”, “penso alla mia normalità”. Il figlio malato è colui che rifiuta il pensiero dell’altro, a partire dal pensiero di padre. Il figlio malato è colui che non lavora, non suda e vive il beneficio dell’altro come un dovuto, un garantito senza sforzo.

Un uomo sogna. Sono bambino-ragazzino, in chiesa leggo le preghiere della Messa. Alla fine, piangendo, chiedo ai fedeli: “Pregate per me”. In quel momento noto tra i banchi mio padre che, con un sorriso sarcastico, mi dice: “Sei all’ultima spiaggia”.

Il padre in questo sogno funziona da agente legale: pregare infatti è sì vocare l’altro, chiederne l’ausilio, ma non restando con le mani in mano. L’ausilio non è gratuito, bisogna guadagnarlo. Allora il padre rimanda il figlio al lavoro, proprio del tipo: “… vai a lavorare!” se vuoi ottenere il beneficio dell’altro. Altrimenti sei proprio in un cul de sac.

La cura allora, forse troppo robusta, forse una terapia d’urto, è quella che potremmo chiamare “La tecnica di Damasco”. Ippoterapia. Si tratta di mettere il figlio che non ha pensiero di Padre sopra al cavallo e di sbatterlo giù da cavallo gridandogli: “Saulo, Saulo, perchè mi perseguiti?” In quanto tale figlio è proprio uno che ci dà dentro contro tutti, a partire dal Padre, del quale è senza pensiero. Il malato è sempre un persecutore non avendo egli pensiero di vantaggio nell’essere dentro alla universalità del pensiero di Padre.

2.2. La norma fondamentale – che fa paterna, o di eredità, o di alleanza, la legge, e che assume la differenza dei sessi anzitutto nella composizione di essa (la differenza dei sessi è la madre di tutte le differenze, per cui accettata questa si accettano tutte le altre, dunque si abbraccia la legge che vede nel vivere la differenza la propria applicabilità) – è riassumibile nella formula: essere uomini è essere figli. Questa formulazione è normativa, perchè comporta tutte le sanzioni , ovvero la applicazione pratica della legge nell’universo umano unificato non dalla legge dello Stato ma dalla legge paterna, in risposta alla deviazioni, molteplici ma definite nonchè ridotte in numero, rispetto all’ essere figli.

Infatti onora il padre e la madre è uno dei pensieri legislativi perfettamente pensabili e di fatto pensati dal bambino proprio perchè l’onorare è la via di soluzione, (non una via di soluzione) che si pone come perfettamente opposta alla fissazione patologica ai propri altri (padre e madre). E ricordiamo che ci si fissa (e in questo modo ci si ammala) sempre alla componente negativa dell’altro, mai a quella positiva, che invece si persegue o anche si imita. L’onorare rimanda all’idea di lavoro del corpo per pervenire alla rappresentanza, senza la quale nessun pensiero di inizio è pensabile: il pensiero di inizio è sovrapponibile al pensiero di lavoro. Per onorare bisogna darsi da fare. Ma anche per ricevere onore. Ancora Dante nel Convivio scrive: “La persona del padre sempre santa e onesta dee apparere a li suoi figli… Figlioli obedite a li vostri padri per tutte cose, per ciò che questo vuole Iddio” (Conv. IV, XXXIII, 15).

3. La norma è C’è stato qualcuno a cui è piaciuto che… ponendo l’accento sul qualcuno (è sempre lui, quel qualcuno che inizia). Anche il bambino, come iniziatore, pone la legge del proprio placuit.

Padre è chi non contiene in alcun momento il figlio, e in quanto tale soggetto dell’astensione, ovvero colui che non trae pretese dal figlio per il fatto di esserne padre. Il figlio non è figlio come dato di natura; quando lo è è perchè lo è diventato, fatto diventare, ossia retrocesso. Il figlio che lo è per natura lo è per inizio di un controlavoro. Il placuit invece costituisce sempre “esperienza di soddisfazione” (“si nasce sani”) che anche se perduta può essere ritrovata (un nuovo principiare, la guarigione) dal figlio come eredità dal Padre soddisfatto da altri. Non esiste infatti felicità nè di uno nè di due in un’isola deserta. Saremmo in una logica saprofitica. Io darò all’altro la soddisfazione se gli trasmetterò il mio essere stato soddisfatti prima da altri, in altri luoghi, in altri contesti, su altre spiagge. Il Padre porta in casa la sua soddisfazione che ha tratto da fuori le pareti domestiche.

3.1. Il desiderio infatti è il riconoscimento della pulsione in quanto tale e soprattutto in quanto soddisfacibile. Noi abbiamo conoscenza ed esperienza della soddisfazione solo se vediamo qualcuno soddisfatto da qualcun altro diverso da noi. Dunque la prova dall’esistenza dell’inconscio è “Mi piace ciò che piace a te.” (principio di piacere legale).

Il placuit diviene l’esordio attraverso il quale il Figlio intende il Padre come luogo attraverso cui passare per intendere il mondo (voce altrettanto chiara e leggibile che universo). L’iniziare del figlio consiste nell’approcciare un moto che è mosso da una illuminazione: quella della convenienza data dal fatto che qualcuno lavora per lui. La convenienza è il placuit del Padre che il figlio si trova come offerta, come risposta ad una sua domanda di soddisfazione. L ‘”Ecco quà come si fa…!” è la eredità paterna che sta al figlio iniziare. Iniziare nel lavoro della correzione o della guarigione di un proprio pensiero malato che dice: è legge ciò che comanda il Padre. La correzione o guarigione avviene nel senso “E’ legge ciò che piace al Padre”. O meglio, ciò che è piaciuto al padre come lascito dell’esperienza nella memoria del bambino stesso. Egli stesso saprà poi riproporre la stessa legge… saltando il braccio al Padre perchè a lui così piace. E’ questa la eredità, il passare attraverso l’occhio del padre nel vedere il mondo.

Un uomo ricorda della sua infanzia come, da bambino sveglio qual’era, portava le sue infinite “trovate” (scoperte, idee, invenzioni, elucubrazioni, etc.) alla attenzione del padre. E ricorda come il padre distratto dicesse sempre di sì, indiscriminatamente, senza porre la questione del giudizio di valore sulle trovate del figlio. Ecco, il padre affermava che andava bene tutto, il che equivaleva a dire che non andava bene niente. Ovvero non andava per niente bene la relazione con il figlio il quale si aspettava dal padre qualcuno che gli insegnasse per davvero il placuit , e non qualcuno che lo licenziasse senza averli fatto capire come si esprime un giudizio. Comportamento paterno come modo migliore per mandare il figlio in confusione. Una confusione da cui è difficile riprendersi in quanto manca il punto di appoggio, ovvero il giudizio di valore “questo vale… questo no”.

Un dialogo serrato e battente tra padre e figlio in una qualsiasi famiglia, in una delle più sane famiglie potrebbe senza dubbio essere questo. Il padre chiede al figlio: “Dove vai?”. E il figlio risponde: “Fuori”. Ecco, il figlio la dice tutta, dice tutta la sua voglia di mondo. Andare fuori significa andare ad esporsi in piazza a tutto ciò che può accadere nella realtà. A incontrare qualcuno: appunto. Ora altra formulazione della legge è: “Agisci in modo che il tuo beneficio derivi da un altro”. Ecco, si va in piazza a incontrare qualcuno, l’amico, la ragazza, l’altro che mi farà del bene, ed io disposto ad accettarlo.

In una piccolissima nota Freud mostra che cosa significhi l’angoscia per un bambino di tre-quattro anni di cui racconta una esperienza diretta. Il bambino viene messo a letto da una zia che, ad un certo punto, spegne la luce per andare via. Prima che spenga la luce il bambino dice: “Rimani, perchè se rimani per me c’è la luce”. Alla richiesta di spiegazione della zia, il bambino continua: “Se parli per me c’è la luce”. Questo passaggio è decisivo per noi adulti. E questo il passaggio dalla psicologia basata sull’oggetto (scopico, il vedere la zia) alla psicologia basata sulla domanda, la quale, attraverso la voce, diviene innanzitutto che l’altro ci sia in quanto parlante, e in quanto parlante faccia il mio bene.

La correzione o guarigione allora avviene nel fare funzionare la seguente frase: “Parla come mangi!”. Farla funzionare significa riconoscere epistologicamente corretto il fatto che parlare è un qualsiasi atto del corpo, tanto quanto mangiare. Si parla con il corpo, e il corpo parla per noi: questo significa il riconoscere la rappresentanza del corpo. Se noi riconosciamo che il parlare è un moto del corpo, si è comes del bambino quando si mangia bene: è la salute del mio moto a farmi compagno di qualcuno che mi è compagno. E qui la compagnia è quella del principio di piacere, ovvero che a mangiare ci si trova gusto (prima ancora di pensare che il mangiare possa fare bene). La anoressica confuta questo principio, che il primo atto di relazione dell’umano con il mondo, il mangiare per l’appunto, il poppare, comporti piacere.

Relazione con il mondo, vedere il mondo è poi avere esperienza economica di dove si deve passare per pervenire alla soddisfazione attraverso il rapporto. Il rapporto è l’offerta del Padre oltre il ruolo e l’ufficio che egli potrà mai svolgere. Significa che il padre prima è soggetto, poi un tipo che svolge un ruolo. Il padre è sempre laico. Alla domanda del figlio verso il padre, a qualsiasi domanda del figlio verso il padre la risposta è sempre “Fai come fa il mondo!”. Qui il figlio inizia. Quindi il figlio comincia a lavorare. L’iniziare è l’eredità che diviene ragion pratica nel figlio, pratica in quanto pratica e ragione in quanto egli stesso si è dato (virtù che non possedeva ante legem) motivo della propria soddisfazione e del proprio principio di piacere (infatti il bambino si ammala perchè non ha ragione, non ha principio, non conosce il perchè della propria soddisfazione).

3.2. Si può dire che non si nasce figli ma si inizia ad essere figli nel momento (perchè inizio è, oltre che una opportunità, anche un momento) in cui il figlio di se stesso ha un senso secondo. Un senso secondo dunque che non può essere che post legem. Ma ci vuole tempo, ci vuole tempo per l’inizio e per il passaggio come afferma Freud: “E’ il caso per esempio di chi viene a sapere qualcosa di nuovo, qualcosa che in forza di prove certe egli dovrebbe riconoscere come verità e che però contraddice qualche suo desiderio e offende talune sue preziose convinzioni. Egli esiterà, cercherà ragioni per poter mettere in dubbio la novità, e per un po’ combatterà contro se stesso…” (S. Freud, L’Uomo Mosè e la Religione monoteistica).

L’iniziare di cui parliamo è il passaggio dalla condizione ante legem alla condizione post legem in cui il lavoro del figlio è un lavoro sul padre in quanto apportatore, offerente la novità costituita dalla legge che giace nel rapporto e che il figlio esita ad accettare in quanto il dualismo materno gli offre ancora complementi di soddisfazione. Si parte sempre dalla madre ed essa rappresenta la naturalità. Afferma Silone: “L’uomo aveva fame. Era anche lui un figlio di madre”. Ovvero la madre è la primarietà da cui il figlio si deve staccare attraverso il lavoro sul Padre. L’iniziare è il nuovo di cui parla Freud, è l’offerta di novità.

Ricordiamo che è la forma del rapporto che genera, dunque “inizia” il soggetto. La generazione è un dato economico che passa attraverso la legge. Il bambino riuscirà a pensare al passaggio ante legem – post legem quando passerà dal pensiero di pensarsi frutto di un rapporto sessuale in frutto di un rapporto d’amore. Qui sta il lavoro e la continuità. Sta al bambino continuare a pensarsi frutto d’amore, non una tantum dell’atto procreativo e basta. Il pensiero di amore è un pensiero di lavoro perchè è un pensiero continuativo, è un pensiero che non si esaurisce ma che chiama continuamente. Allora il bambino stabilirà la legalità della propria generazione. Il lavoro sul Padre significa per il figlio servirsi dei suoi insegnamenti per darsi la propria autonomia (dunque forza e salute). Scrive Boccaccio: “Chi sè non ama, niuna cosa possiede. Tuo padre… non ti diede al mondo perchè tu stesso divenissi cagione di tortene”. Il Padre insegna al figlio come avere la soddisfazione.

4. Allora si possono legare nuovo e sacro. L’interpretazione dell’esperienza di sacro consiste nella acquisizione diversa da quella che esisteva precedentemente, la nuova caratteristica può corrispondere ad una vera e propria trasformazione ontologica. Ecco, quello che si vuol dire è che l’esperienza del bambino di pensarsi come frutto d’amore (dunque legge) è una esperienza che può avere a che fare con il sacro ma che ben presto si secolarizza entrando nel piano storico, per così dire, nel mondo del lavoro. la chiamata del figlio verso il padre sta nel registro del sacro: Dalla universalità che il sacro rappresenta. Scrive Stuparich: “Poco fa, mentre cadevi, t’ho udito pronunciare il nome di Dio. E quest’invocazione la sento sulle labbra di tanti, che ritornano per un attimo fanciulli: l’invocazione del Padre”.

L’esperienza è la storia e il sacro diviene per il bambino il lavoro di tutti i giorni per secolarizzare il proprio inizio, la propria origine che coincide con il momento in cui egli ha abbracciato la legge come esperienza di rapporto di cui il Padre è l’offerente.

Se dovesse esistere un potere paterno questo ha a che fare con la generazione, il mio riconoscere che l’altro che attraversa la mia vita (il Padre) ha il potere paterno di cambiarla. Il Padre mi genera mettendosi sulla mia via e se anche io perdessi la Fede ciò non implicherebbe la rinuncia alla domanda di Salvezza. Il padre dell’amore che fa dell’amore il proprio potere, al di là del proprio ufficio. Il padre, prima di rivestire un ufficio è un soggetto. Quello che bene vede Sbarbaro quando scrive: “Padre, se anche tu non fossi il mio/ padre, se anche fossi un uomo estraneo/ per te stesso ugualmente t’amerei”.

Il problema del nevrotico, come il problema di tutti i normali, come l’unico problema individuato da Freud è quello della propria salvezza. Ma dove trovarla? La salvezza del soggetto implica la soggezione, normativa, ad una condizione: non si può avere relazione con chi ha generato se non in quanto ha generato in un determinato rapporto. L’atto generativo genera tanto il figlio quanto il padre: lì sta il rapporto che legherà poi questi due esseri. Il nevrotico invece vuole accedere al Padre prima di essere stato generato come soggetto della sua norma. Scrive Frankl: “Ogni età ha le sue nevrosi e ogni età ha bisogno della propria psicoterapia. In effetti, la frustrazione con la quale oggi siamo confrontati non è più quella sessuale del tempo di Freud, ma una di tipo esistenziale. Il paziente tipico dei nostri giorni non soffre più, come al tempo di Adler, di un complesso di inferiorità, ma di un senso profondo di assurdità, strettamente imparentato con il senso di vuoto”. Ecco, l’assurdità e il vuoto possono essere risolti dall’uomo moderno nel suo lavoro sul Padre. Il Padre riempie il vuoto.

Guido Savio

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