TRE TRISTI SORELLE
Questo è un “tempo di guerra”. Ricordo quando mio padre mi narrava le storie della sua Seconda Guerra Mondiale. Africa, il deserto, gli Spitfire inglesi che inseguivano i loro carroarmati di cartone. Poi El Alamein, il deserto ancora, poi la prigionia. In America (uno dei pochi fortunati) in Texas, al El Paso. Il ritorno nel dicembre del 45. Io bambino affascinato dal racconto ma soprattutto dall’uomo, con terrore e estremo piacere seguivo ogni parola, mai stanco. Mi chiedevo davvero se quelli erano stati tempi davvero veri, oppure…. una fantasia.
Questa è la guerra che ricordo io, dalla bocca di mio padre. Soldati in arme e in divisa di diverso colore che si sparavano e uccidevano. Poi centinaia di altre guerre sono venute dopo il 45, con massacri di uomini e donne e bambini non certo in arme. Ma questa è storia. Che qui non voglio narrare.
Ora noi che la guerra la sentiamo e la viviamo da adulti, a poche centinsia di chilometri distante, in questi giorni difficili ci chiediamo principalmente dove stiamo andando, come e quando finirà. Ed ognuno ha propria previsione, la propria sfera di cristallo.
Dico qui due parole di una intervista che Gianfranco Ravasi ha rilasciato a L’ Avvenire il primo febbraio 2011. Parlava appunto delle tre tristi sorelle e diceva:
“La vigliaccheria chiede: «È sicuro?». L’opportunità chiede: «È conveniente?». La vanagloria chiede: «È vantaggioso?». La vera misura di un uomo si vede non nei momenti di comodità o convenienza, ma tutte le volte in cui affronta il rischio o la sfida. Vigliaccheria, Opportunità, Vanagloria: sì, sono tre tristi sorelle che passeggiano per le strade della storia col loro corteo di adepti”.
Che dire di più? Io sono sicuro che la guerra sia la ricerca di questa tre tristi sorelle. La presunta sicurezza, la convenienza, il vantaggio, sono i “valori” che questa guerra (come tutte le guerre) sta perseguendo. Questa è la guerra, queste tre tristi sorelle, che ne sono causa ma anche effetto. Si combatte per la vil pecunia, solo per quella. Poi sul campo restano vecchi, donne e bambini. Vigliaccheria, opportunità e vanagloria: nulla di più.
Un personaggio che invece queste tre sorelle le ha sempre snobbate era un certo Martin Luther King, imboccando invece, lui, le vie del coraggio, del rischio, della laboriosa umiltà. E a lui, assassinato a Memphis nel 1968 a 39 anni, s’adattavano pienamente le parole del Giulio Cesare di Shakespeare: «I vigliacchi muoiono molte volte prima di morire, mentre i coraggiosi provano il gusto della morte una sola volta». Vigliacco non è colui che fugge dalla guerra, ma colui che se si deve lottare…non si fa trovare.
Il coraggio allora. Ma questa virtù che cosa sara mai? Cor-cordis: cuore. Gettare il cuore oltre l’ostacolo
Cosa potrà mai essere il coraggio per noi in questo tempo e come possiamo soprattutto praticarlo? Come possiamo gettare il nostro cuore oltre l’ostacolo in questo tempo di guerra?
Freud e Einstein si sono scambiati nel 1932 due lunghissime lettere, poi uscite nella bibliografia freudiana con il titolo Perchè la guerra?. Il senso che io ho colto da questo breve carteggio è il seguente: Freud parla di “massa manipolabile”, Einstein di “l’incivilimento che poi tanto così come sembra non è”. La stessa idea: il popolo, la gente, il cittadino che non ragiona con la propria testa, diventerà causa ed effetto della guerra.
In tempo di guerra (come questo nostro) il coraggio, la sua pratica, è difficile. Non voglio ora parlare di armi sì o di armi no, di gas che mancherà, di sanzioni, etc. Il coraggio, per me, è stare da una parte e fare la propria parte. Essere partigiano. Che non necessariamente vuol dire stare dalla parte del più debole, dell’aggredito. Vuol dire fare, con le mani, qualcosa in favore di chi ora sta soffrendo (ora) l’azione malvagia e perversa delle tre tristi sorelle. Purtroppo, però, dobbiamo riconoscere una profonda contraddizione: che lo stile di vita celebrato dalla nostra società è tutto racchiuso in quella trilogia. Ciò che è sicuro, che conviene ed è vantaggioso. L’uomo così è. Così siamo noi.
Scegliere, invece, la giustizia, l’amore, l’impegno per gli altri (cor-coris) è un rischio che si cerca di evitare, e il coraggio che spesso non sappiamo prendere in mano. Ed è così che si diventa meschini, gretti, mediocri; si è incapaci di un atto libero e gratuito, al punto tale che, se qualcuno si rivela generoso, viene sospettato di inganno o bollato di ingenuità (forte ma vera è la frase di uno dei “cafoni” del Fontamara di Silone: «Se è gratis, c’è l’inganno!»).
Concludo queste brevi righe. La lezione evangelica del perdere per trovare (“Colui che vuol salvare la propria vita la perderà. Colui che è disposto a perderla la salverà”) è aborrita dalle tre tristi sorelle. Per esse il dare non è più gioioso del ricevere. Regna il tornaconto personale.
Ma alla fine, dite anche voi, una vita senza rischio o sfida, senza generosità e libertà altro non è che un noioso pomeriggio invernale trascorso in casa, lasciando gocciolare le ore.
GUIDO SAVIO