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AMORE RECIPROCO, CRISI, PERDONO E/O SEPARAZIONE

AMORE RECIPROCO, CRISI, PERDONO E/O SEPARAZIONE

CURA: AMARE E ESSERE AMATI

Platone, nel Simposio afferma: “ Se qualcuno è disposto al porsi al servizio di un altro, ritenendo di divenire migliore attraverso di lui o nella saggezza o in qualunque altra virtù, questa servitù volontaria non è né vergognosa né adulatoria”.

Prendersi cura dell’altro è il pensiero di cura nella logica più semplice e pratica di avere un pensiero per l’altro che “superi” il pensiero che noi abbiamo per noi stessi, il nostro egoismo.

La cura è pensare all’altro che sta fuori di noi, anche se noi, umani e dunque deboli, siamo sempre “attratti” da un pensiero di “stabilità” che ci fissa sul desiderio di essere noi coloro che “devono” essere pensati e desiderati. E’ il pensiero del bambino (e del nostro perenne essere bambini): “che l’altro mi pensi, che l’altro faccia per me, che l’altro risolva ciò che per me è irrisolvibile”.

La cura prevede il superamento di questo pensiero, non la sua scomparsa.

Il desiderio di essere amati ed essere pensati è infatti la salute del nostro esistere, la garanzia che noi giustamente chiediamo all’altro, il frutto che noi aspettiamo per “diritto”. Sappiamo benissimo quanto piacere ci dà il fatto che il padre, la madre, la persona amata “dicano” di noi agli altri. Piacere forte quando noi siamo presenti. Piacere immenso nella nostra assenza.

Chi si fissa sulla pretesa di essere amato “a tutti i costi” tuttavia è ammalato. Chi accetta di essere amato in merito ai suoi meriti, è sano.

Chi accetta di piacere all’altro per quello che è, e di essere “piaciuto” dall’altro in merito a come lui l’altro tratta è un uomo/donna che sa essere ponte per se stesso e strada per gli altri. Chi accetta che il proprio piacere venga “per davvero” dall’altro è colui che gode nel momento in cui il suo amore va fuori per la strada e incontra chi gli/le dà piacere senza che noi interferiamo, senza che noi c’entriamo.

La salute è il contenimento del nostro desiderio, soprattutto del desiderio della esclusività, ovvero dell’essere noi “padroni” del piacere dell’altro. Per questo la democrazia è la migliore forma di governo. Governo della relazione.

Quando Roberta de Monticelli parla dell’amore come governo del desiderio che l’altro migliori a causa/motivo nostro, altro non dice che quello che Pausania affermava nel Simposio: l’amore è la cura che il nostro amato/a abbia la libertà (democrazia) di andare per la sua strada senza di noi, per noi poi essere la meta che egli/ella desidera (se lo vuole. Se io ti amo devo desiderare profondamente che tu cresca nel tuo “essere per te” e (poi) nel tuo “essere con me”.

Saper amare se stessi e nello stesso tempo amare gli altri è la componente della reciprocità nonché della salute della relazione

LA CRISI

Tuttavia il patto iniziale dell’amore può cambiare. Anzi, cambia sempre per davvero. E tutti noi ci troviamo senza strada e senza ponti. E’ la crisi, la crisi della passione ma anche la crisi della sana quotidianità. E’ la crisi e basta.

La crisi è sempre un distacco, una eccessiva lontananza dalla comunione iniziale. Quando due non si riconoscono più da come erano “all’inizio”, significa che qualcosa, nel percorso…è andato per la sua strada. E noi dobbiamo intendere che la strada non sempre ha punti. Che la strada, ad un certo punto si interrompe. E tutti ci si ferma.

La crisi della passione diviene allora noia, e noi sappiamo che ci si annoia nel momento in cui il nostro desiderio è eccessivo, nel momento in cui il nostro desiderio si dirige verso un “amore garantito” che noi pretendiamo dall’altro. Ma per questo tipo di amore sappiamo che non esiste strada, che non esiste possibilità che l’altro accetti le nostre pretese senza portare le sue questioni e, trattandosi di pretese, le sue difese.

La crisi si determina nel momento in cui il patto iniziale tra due persone che si amano, si trasforma in una pretesa di un amore garantito, proprio perché il patto non viene “verificato” in itinere ma viene dato per scontato, non segue la storia degli affetti né la storia personale delle due persone che si amano. E noi sappiamo quanto importante sia il fatto che le persone che vivono un amore sappiano trarre ricchezza da esperienze autonome, fuori dalla coppia.

Allora la domanda diviene d’obbligo: la crisi è inevitabile? Ogni relazione d’amore è destinato ad “entrare” in crisi?

Sarebbe come chiederci se ma malattia è inevitabile: ovviamente no. La crisi nella relazione interviene come “atto normale” perché ha a che fare con il cambiamento dettato dal tempo e dalle esperienze. Proprio come la malattia.

E come per la malattia, la crisi è vera crisi se è quella che si tace tra i due, è il cosiddetto…”fare finta di niente”, peggio, il rimanere assieme “per forza”.

Ricordo che la parola “crisi” deriva dal greco “krino” che significa decisione, scelta. La crisi, nella pratica ippocratea era il momento in cui la malattia o si risolveva nella guarigione o nella morte, ma in ogni caso era un momento in cui si andava da una parte o dall’altra.

Allo stesso modo nella relazione: non può esserci pretesa di “continuità” del patto iniziale, la storia e il tempo che passa lasciano trasformazioni e cambiamenti di equilibri.

PERDONO E/O SEPARAZIONE

Si dice che Adamo, dando la colpa ad Eva sulla questione della mela, per primo nella storia dell’umanità, abbia introdotto il divorzio. Vedremo in seguito infatti che la separazione (poi la separazione che non funzione) è sempre quella che si regge sulla frase: “E’ tutta colpa tua”. Partendo infatti dalla questione del perdono si devono porre subito alcune questioni.

La prima è che nella crisi non esiste un carnefice e una vittima, bensì due persone che hanno contribuito, ognuna con la propria parte, alla definizione della situazione.

La seconda è “chi perdona chi?” nel senso che ad assumere il posto del “perdonante” presuppone l’occupazione di un posto di potere che non sempre è riconosciuto dall’altro.

La terza è che ci deve realmente essere stata una tangibile offesa (violenza, tradimento, incuria, etc.).

E’ chiaro che tra offeso e offensore esiste una compartecipazione, e in questo senso il persono sarebbe necessariamente reciproco.

Perdono che non è un abbraccio o un vago “scusare” l’altro, bensì un atto di giudizio sul reciproco comportamento che ha portato alla offesa o alla crisi. Perdono non è tanto un giudizio sulla parte che l’altro ha fatto, ma sulla parte che io ho fatto. Per perdonare gli altri prima bisogna avere perdonato se stessi, dopo avere ammesso onestamente la propria responsabilità.

Perdono è anche coraggio di abbandonarsi all’altro, nella coscienza che si è voltato pagina (non prima però di averla ben letta).

Il perdono è importante in quanto, senza di esso, non ci può essere una sana separazione. Se non c’è reciproco perdono resta sempre in vita un odio che in fin dei conti altro non è che la continuazione della relazione malata. Resta in piedi, in pratica, una forma di dipendenza, per cui le due parti della coppia non si separano realmente ma continuano il conflitto, si fissano su di esso, che sempre relazione è.

Il perdono dunque allontana dalla fissazione sull’altro e apre la strada alla reale separazione, la quale è proprio uno stabilire un “ordine nuovo”.

Compreso il fatto che dal perdono può sortire anche la continuazione della relazione, ma per l’appunto all’interno di un nuovo regime.

Quindi perdono e separazione non si escludono a vicenda, anzi, più si perdona e più la separazione ha possibilità di essere una separazione giusta e onesta per le due persone che chiudono il loro rapporto d’amore e, nella eventualità, anche per i figli che vedono la continuazione dell’amore genitoriale su di una dimensione diversa da prima.

La questione dei figli poi si articola sulla modalità di relazione che padre e madre che si separano sapranno tenere tra di loro e con i figli. In ogni caso la relazione continua come relazione tra padre e madre in funzione del bene dei figli, ma non sarà più una relazione di amore reciproco.

Ed è bene che ai figli venga presentata questa nuova realtà il prima possibile e non si crei disordine tra le parti. Se esiste dunque un perdono che favorisce la separazione, questa separazione sarà equa e ordinata. Se il perdono non viene preso in considerazione la separazione sarà fonte di patologia per tutte le parti.

Guido Savio

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