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LA VERITA’ SECONDO PILATO

La verità impossibile

LA VERITA’ SECONDO PILATO

E’ nota a tutti la domanda che Pilato rivolse a Gesù nel pretorio durante il processo: “Che cosa è la verità?”. Dal vangelo di Giovanni sappiamo che nessuna risposta c’è stata, (Giovanni 18, 37-38) probabilmente a causa della fretta o dell’ansia del magistrato romano (“E detto questo uscì di nuovo verso i Giudei…”), o perchè, molto più probabilmente, quell’uomo che di lì a poco sarebbe stato crocefisso non aveva più niente da dire, o perché aveva già detto tutto.

La filosofia si è interrogata su questa fondamentale domanda senza tuttavia trovare una risposta. Anche perché, molto probabilmente, risposta non c’è: quella sulla verità è la domanda inevasa dell’uomo antico come dell’uomo moderno.

Infatti la domanda, al tempo del colloquio tra Pilato e Cristo, era già vecchia di secoli. Ad Atene Platone, qualche secolo prima, aveva cercato in alcuni suoi dialoghi come il Cratilo e il Sofista, di stabilire in qualche modo se esistesse la possibilità di “fissare” la verità. In quanto è questo il problema di fondo, che la verità è relativa, meglio, relazionale e non oggettiva. La verità la si cerca nella relazione, tra due o tra più. Non può stare sotto la lente di nessun microscopio.

Poi Aristotele, nella sua Metafisica, tentò senza successo una definizione “scientifica” della verità. D’altra parte già tra i seguaci di Socrate circolavano paradossi e rompicapo per “definire” la verità, come quello di Eubulide di Mileto, noto come il “sofisma del mentitore” che diceva: “Se menti dicendo di mentire, nello stesso tempo menti e dici la verità”.

Poi Lucrezio venne a dire che la verità si trova nelle “sensazioni” che ogni singolo individuo ha nel rapporto con le cose. Cioè che la verità è del tutto, ancora una volta, soggettiva.

Tornando a Pilato, uomo più di accampamento che da biblioteca, probabilmente pronunciò la domanda senza accorgersi, di certo senza pensare alla futura “storicizzazione”. Ora invece questa domanda è diventata la domanda di tutti, come pure la risposta. Chi dice la verità? La televisione? I politici? Il Vaticano? I professori? La mamma? Il papà? L’amico? Quelli che credono di avere sempre ragione? Quelli che dicono che la verità non esiste?

Restando a Pilato ricordo che alla fine del XVI secolo Francis Bacon riprese il quesito evangelico nel saggio Della verità e sostenne che Pilato proferì le parole “scherzando” e senza “aspettarsi una risposta”.

E poi tra i molti che ritornarono sulla questione c’è l’immancabile Friedrich Nietzsche che nel suo Anticristo , dopo avere affermato che “in tutto il Nuovo Testamento c’è soltanto una figura degna di essere onorata” e questa è appunto Pilato, sciorina di non credere molto nella “verità”, ritenendola una invenzione della dialettica, della morale, di deboli e schiavi, insomma, un prodotto che andava rottamato e dell’episodio evangelico afferma di apprezzare solo il “nobile sarcasmo di un romano, dinanzi al quale si sta facendo un vergognoso abuso della parola…”.

Soren Kierkegaard, qualche anno prima, aveva pure lui già rovesciato il problema nel suo Esercizio del cristianesimo affermando che: “A Pilato venga in mente di interpellare Cristo a quel modo, in quel momento, questo prova che egli non aveva assolutamente l’occhio per la verità”.

Più tardi Oswald Spengler nella sua celebre opera Il tramonto dell’occidente affermerà con una frase che non lascia dubbi, ovvero che “…nella fumosa domanda… è contenuto tutto il senso della storia”.

E ancora Hans Kelsen esamina la scena tra Pilato e Cristo nel suo I fondamenti della democrazia, e, dopo avere sostenuto che quel magistrato era un “relativista scettico”, continua: “Agì con assoluta coerenza, rimettendo la decisione al popolo”.

Che dire allora? Prima di tutto che una risposta di Gesù a Pilato si legge in un apocrifo, il Vangelo di Nicodemo ma, ahimè, la risposta non è del tutto chiara. La verità è il richiamo della nostra vita, ma noi non abbiamo le forze per seguire il richiamo.

Certo che il richiamo della verità è “la domanda” delle domande, però dovremmo anche chiederci se noi uomini saremmo maggiormente pacificati da una verità fissa, leggibile e strutturata oppure è meglio per noi vivere nella incertezza e nella attesa. Nella speranza, dunque.

Guido Savio

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