“Già centomila anni fa, gli antenati dell’homo sapiens si adornavano il corpo con pietre colorate. Secondo gli studiosi, i membri di un gruppo umanoide si distinguevano dagli altri attraverso una scelta consapevole di abbellirsi in un modo prescritto. Non possiamo sapere con certezza se tali ornamenti venissero adottati allo scopo, esclusivo o principale, di contraddistinguere il gruppo; non sappiamo se i nostri antenati si scambiassero già delle frasi in qualche tipo di linguaggio o protolinguaggio; e neppure sappiamo in che modo questa marcatura si ricollegasse ad altre, più antiche, forme di simbolizzazione, dai riti funerari alle pitture rupestri di animali. Appare tuttavia evidente che l’applicazione di marchi per distinguere un gruppo dall’altro è una caratteristica importante e durevole della nostra specie” (Howard Gardner, Cinque chiavi per il futuro, p. 113).
Certo che è nella nostra natura il desiderio, forse l’obbligo, di distinguersi dall’altro. Certo come gruppo, ma ancora di più come singolo.
Una cravatta, una camicia, un paio di zeppe, una ametista, un piercing, un anello, una farfalla sulle unghie, un cane da passeggio, un certo ritornello nel parlare, un certo modo di tenere la sigaretta, un certo modo di tenere il bicchiere, un modo originale di cifrare le mail o gli sms, un sorriso, un gigno entrambi pensati allo scopo, etc. Lo scopo di distinguersi in qualche modo, per essere “io”, per essere vivi è per noi vitale.
Quanto benessere in queste sane pratiche quotidiane, settimanali, mensili, annuali. Quanto benessere noi sentiamo nel momento in cui ci vediamo in una foto e diciamo a noi stessi: “Però…! Guarda come sono!”
La vita è una questione di stile. Sano se sobrio. Malato se eccessivo. Ho “guardato” tempo fa in un librivecchi un catalogo di tatoo. Stupendi, vivi, animati, belli che davano i brividi. Della pelle di coloro. Sulla mia pelle di visore.
Io non me li farei mai i tatuaggi. Un po’ per l’età. Ma soprattutto perchè poi restano per sempre.
Ecco. E’ l’idea di “sempre” che mi fa rabbrividire. Perchè nel “sempre” non si cambia, non si può cambiare. Si resta quello che abbiamo voluto essere in “quel” momento. E gli infiniti altri (che i giovani potrebbero diventare) della nostra vita? Perchè tacitarli? Perchè escluderli?
Se mi faccio un tatuaggio dico qualcosa di forte, ma lo dico per sempre, ma io non sono “per sempre”. Io cambio. Come si dice…per grazia di Dio.
Guido Savio