CURARSI DI SE’ E DELL’ALTRO
Adattarsi è “curare” il nostro sentimento d’amore verso l’altro. Cura infatti è un adattamento all’altro.
Adattare, che alla lettera è ad-atto, cioè compio un atto che ha un fine e uno scopo, quello di mantenere la relazione che stimo debba essere mantenuta.
Se voglio cambiare l’altro lo posso fare unicamente guardando dentro me stesso e regolandomi di conseguenza: l’altro capirà. E cambierà se vorrà cambiare.
Adattarsi è usare temperanza nel proprio desiderio in modo che l’altro non senta peso o forzatura. Non posso pretendere che l’altro capisca come io voglio.
Ognuno di noi nella vita è in cerca di qualcosa, ha sempre una domanda in testa anche se non sa esattamente il contenuto della domanda. Genericamente potrei dire che è una domanda di “verità” alla quale noi vogliamo che l’altro risponda, ci dia garanzia, ci dia calma. Non sempre questo avviene.
Cerchiamo sempre che due cose combacino, che si mettano assieme, che coincidano. In tutto, a partire dall’amore. Ma per aspirare a questo è necessario l’adattamento, la cura di non forzare, la cura di aspettare, la cura di stare in silenzio.
Abbiamo bisogno nella vita di unità e di forza. Per questo dobbiamo legarci all’altro.
Adattamento è anche abbandono al piacere dell’essere, al piacere della festa della relazione, essendo più difficile adattarsi al piacere che al dolore.
La frase del dolore è sempre una frase pronunciabile. Non così per le frasi della gioia e del piacere che spesso non ci arrivano sulla punta della lingua.
L’adattamento è un atto di profonda intelligenza perchè tende sempre ad un fine che l’altro rappresenta: chi non sa adattarsi, oltre che perdere l’altro perde anche se stesso.
L’adattamento non è un adeguamento passivo. Tutt’altro. Non è una “riproduzione” omologata dell’altro o della realtà, bensì un lavoro di pensiero che mi porta a capire quella che è la mia originalità e irripetibilità. E a rispettarla.
Noi tutti abbiamo bisogno di sentirci unici e nello stesso tempo in cumunione con l’altro. Non tanto in una più o meno olimpica calma ma in una “feconda” agitazione, in un moto che ci tiene svegli e proprio per questo giustamente ci permette la soddisfazione, la quale non viene dal sedare sintomi o paure, ma dal vivere con dignità e passione il tempo che ci è dato.
Guido Savio