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SIGNORI NON SI NASCE

SIGNORI NON SI NASCE

LO STILE

Evidentemente esiste dentro ognuno di noi uno “stile”, un uso, una naturalezza, una innatezza, forse molto di più, anche una ambientalità e una educazione che ci fa essere persone… come noi ci amiamo.

Una persona è un “signore” nel momento in cui “cresce” signore, contraddicendo la splendida teoria del Principe Antonio de Curtis che appunto affermava che “Signori si nasce: io lo nacqui”.
>br> Il signore (Bataille parlerebbe del suo “sovrano”) è colui che non si lascia impressionare dal discorso dell’altro: lo ascolta, lo valuta, lo fa anche suo (ogni opera artistica è data dal fare proprio, a modo proprio, il modo di qualcuno che ha preceduto).

In questo senso io vedrei bene la frase “Oltre che a predisporre bene me stesso, non posso fare altro”, nel senso che il soggetto sano (il nostro signore), una volta che ha espletato tutte le sue opere in difesa della propria identità, in difesa dell’essere se stesso, ha l’anima in pace e non è il caso che di danni ulteriormente (come invece abbondantemente fa il nevrotico).

Il signore è predisposto all’altro perché all’altro sa adattarsi. Non potrebbe infatti chiedere all’altro il rispetto della legge che egli stesso fa fatica a rispettare. L’ansia nevrotica è infatti data dalla necessità e dall’obbligo di “fare in più”. Che poi questo fare in più sia nel versante della offesa o della difesa poco conta. Il signore (il sano) non strafà mai, sa anche lasciare che il mondo gli corra accanto, o se lo ritiene opportuno, lo prende come si prende l’ultimo tram.

LA PRATICA

La pratica del signore tutto sommato sta nella regola (decisamente) morale “prima gli altri e dopo io”, non il piacere degli altri al posto del mio piacere, ma la cognizione che solo dalla precedenza che io do al piacere dell’altro rispetto al mio, sta la possibilità dalla quale io poi trarrò il mio vero piacere.

Nella sua pratica il signore è colui che sa cambiare l’altro che non gli va bene, e non gli fa bene: dato impossibile per il nevrotico che si fissa sulla patologia dell’altro. Il signore, che è libero, sa anche fare a meno e dunque può scegliere (anche se sulla questione della libertà della rinuncia e della selta ci sarebbe molto da dire, ma non è questo il momento).

Sappiamo infatti che tutti i rapporti sono impregnati, naturalmente, da un certo quoziente di dipendenza, e il cambiare non sempre è facile. D’altra parte se il mio rapporto con l’altro si basa eccessivamente sulla dipendenza, diventa una partita a scacchi, in cui ognuno cerca di prevedere l’altro per averne il minor dolore possibile. Ma in questo caso manca il patto e la fiducia, e dunque il rapporto,(se mai di rapporto si dovesse parlare in una partita a scacchi), diviene impossibile. In più, in questo tipo di rapporto, io temo le conseguenze delle mie azioni in quanto temo che la loro conseguenza mi faccia correre il rischio di perdere l’altro. E’ ancora una volta la differenza tra amore garantito (illusione della dipendenza) e amore meritato(realtà della possibilità della perdita).

Se io penso che tu in qualche modo mi sia garantito, inevitabilmented dipendo da te, perché ciò che mi muove verso di te non è tanto l’amore quanto la fame. Molte relazioni patologiche vivono nel pensiero che la dipendenza non sia superabile. E d’altra parte se l’altro è un bisogno… è difficile cambiarlo in quanto il rischio è troppo alto.

Se io penso che tu sia garantito, so anche che non ti merito (e allora vivo la paura di perderti). Se lavoro nella logica di meritarti, la mia con te non sarà una partita a scacchi, basata sulla frantumazione del patto, ma un atto di “liberazione” reciproca, in cui la regola si fissa sulla fiducia del sentimento.

In un solo modo faccio stare bene l’altro: liberandolo da me.

E la fiducia nel sentimento altro non è che la fiducia nella propria capacità di amare. In questa fiducia non esistono premesse. Il signore non va a sindacare inizialmente sull’altro, non gli chiede le credenziali (se lo facesse sarebbe un povero). Non è nemmeno che compri a scatola chiusa (il signore non è un cretino), in quanto il signore ha dentro di sé quella che comunemente si chiama “esperienza di vita” che lo può relativamente tenere lontano dalle brutte sorprese (anche se sappiamo che nulla è sicuro).

La “premessa” è un antigiudizio come esiste un antipurgatorio in cui non si fanno le cose ma si aspetta che esse avvengano da sole per prenderne le misure: ma in questo gioco potrebbe passare anche troppo tempo e si potrebbe perdere il fatidico tram.

Certa “premesse” recitano la logica che… dato che la mia natura è questa io allontano da me tutti coloro che a questa “natura” non si adattano: mi allontano dall’altro nel momento in cui “tiro fuori storie” al suo avvicinamento, ovvero nel momento in cui mi oppongo, in un modo o nell’altro, alla relazione. Chi fa “brutta figura” con l’altro è perché ritorna bambino insaziabile rispetto al giudizio di se stesso (non è mai contento) e non si sente di avere le carte in regola in merito al proprio desiderio: la “brutta figura” è sempre edipica in quanto è sempre un pensiero rivolto alla madre (che della mia figura non è soddisfatta).

Possiamo ripensare a tutto nella nostra vita, e tutto rimettere in discussione: non esiste controindicazione nel tornare sulle proprie decisioni (infatti siamo uomini solo perché siamo contraddittori). Se così non fosse la vita diventerebbe il tema della “fedeltà obbligatoria” che già troppe vittime ha mietuto nella nostra storia.

A volte la “pratica” diventa una pratica di “combattimento”. Sappiamo benissimo che chi non combatte, soccombe; chi non combatte è perduto. Chi non combatte ha paura e nella vita a volte è necessario anche…entrare a gamba tesa. Chi ha paura trema. Ma trema di che? Chi enfatizza le proprie azioni, chi le ostenta, chi le fa grandi… ha paura (ma questo è il sintomo, quello che si vede) e teme che il proprio ideale dell’io non corrisponda al proprio io: questione che Freud ha toccato in mille canti dei suoi scritti ma mai troppo meditata da noi lettori. Ha paura chi non sa essere se stesso. Ha paura chi non riesce a mettere in pratica il proprio piacere e poi sostenerlo davanti agli altri. Il bene assoluto è il proprio piacere che non contrasta con il bene dell’altro: per fare una cosa seria è necessario pensare che… bisogna prendersi sul serio.

Prendersi sul serio significa avere rispetto per la propria signorilità e non essere i primi a trasgredire la regola che noi stessi abbiamo posto come indicatore del nostro stile. Il gioco al massacro del nevrotico è il gioco del “buttarsi in vacca”, se stesso e gli altri.

Buttarsi in vacca è la nevrosi. Prendersi troppo sul serio è la psicosi. Saper fare ironia sui nostri limiti è la normalità.

E poi se Dio ci ha fatto a sua immagine e somiglianza, come ci permettiamo noi di non amare noi stessi, di non amare il nostro piacere (la somiglianza a Dio). Come ci permettiamo di offenderci?

“Perché ti preoccupi tanto Marta?”

Ipotesi di soluzione: ci affidiamo al futuro e a quello che noi non possiamo controllare: fato/destino/tempo/futuro. Questo tipo di affidamento è esterno a noi stessi e ci rende difficile la strada per salvarci.

Ipotesi di soluzione: il futuro e il presente stanno nella forza del nostro Io e nella capacità lavorativa. Questo tipo di affidamento è interno ma molto costoso: dobbiamo solo contare sulle nostre forze.

Ipotesi di soluzione: accettiamo che ci sia l’incognita, l’imponderabile, quello che ci sfugge e che noi nello stesso tempo vogliamo che ci sfugga. Ma potrebbe essere questa la distruzione della ragione che in qualche modo ci mantiene in vita.

Salvaguardare se stessi è un compito fondamentale che aspetta ognuno di noi. La giusta difesa è quella del signore che prende impegni con se stesso senza scadere nella paranoia.

“Le mani occupate fanno i cuori felici” recita il motto. Qualsiasi lavoro che si faccia è atto di salvazione perché risparmia il pensiero da fatiche, che già da solo molte ne deve sopportare, anche senza volerlo. Il corpo è lavoro.

Il volto dell’uomo e della donna è ancora il panorama più vasto e affascinante che esista al mondo: signore è colui/lei che non nasconde il proprio volto.

LA FESTA

La festa è la madre di tutte le soddisfazioni. Il fare festa del signore, ovvero dell’uomo sano, è cogliere l’opportunità di uscire dalla inibizione che prima lo aveva costretto alla ferialità. Il male del mondo è la impossibilità (soggettiva e/o oggettiva) di fare festa.

Dunque il non avere paura è il segno che il padre lancia al figlio ma anche la voce che il figlio lancia al padre quando il padre è stanco. Ciò è possibile solo in quanto padre e figlio sono indipendenti l’uno dall’altro, solo così la indipendenza è la piattaforma della salvezza.

Questo perché il padre si muove per il figlio senza occuparne il posto. Questo perché il figlio accetta il padre attivo o stanco come soggetto della sua considerazione. Chi si muove per me occupa il posto del mio amore e della mia considerazione. In sostanza mi rende felice.

La festa, come il piacere, non può essere disordine: è sempre necessario avere una mappa. La mappa è l’immagine che ha come fine la decisione, per provare soddisfazione io devo decidere (almeno di uscire dalla inibizione per fare qualcosa) :non è l’andare per forza da qualche parte, in un posto qualsiasi. “La festa è qui” significa che non è ovunque ma solo in un certo posto: per individuarlo io necessito di una mappa, di uno scopo, di un fine: e ogni cosa ha il proprio posto e ogni posto contiene la propria cosa.

Il momento della festa (soddisfazione) è un mio momento, ma io non ne sono il possessore.

“Cui prodest?”, la storia della soddisfazione è la storia della domanda: io per andare da qualche parte devo chiedere a qualcuno che conosce la strada del tenere lontano il pensiero dai “cattivi pensieri”.

“Una cosa che mi meraviglia più della stupidità con la quale la maggior parte delle persone (uomini e donne) vive la propria vita, è l’intelligenza che c’è dentro a questa stupidità”. Non ricordo al momento la fonte di questa citazione, ma sta di fatto che una vita vissuta stupidamente è quella che non comprende la domanda verso la soddisfazione, intelligente o meno che sia questa domanda.

E poi sappiamo benissimo che lo stupido non sa di esserlo, o non vuole che lo si sappia, come nessuno ammette di essere ladro, fedifrago, delinquente o nemico. La Bibbia parla sempre del “nemico”, ma il nemico certo non si pensa “nemico”.

Per questo è fondamentale saper mettere se stessi al proprio posto, e lo stesso per l’altro: specie nel momento della festa (soddisfazione), perché è più facile essere ordinati nel dolore piuttosto che nel gioire.

E’ questo che significa “non avere paura”: non avere paura di mettere se stessi al proprio posto né di metterci l’altro.

Guido Savio

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