Brevi riflessioni su
LETTERA A MENECEO
DI EPICURO
LETTERA A MENECEO
Carlo Diano, presentando gli “Scritti Morali” di Epicuro, assume come incipit un pensiero: tragico per natura e definizione: “… ogni rapporto umano nasce dall’utile, e da lì vengono il giusto e l’ingiusto, e voi le leggi le dovete rispettare non perché sono leggi, ma perché non si può essere sicuri mai di non venire scoperti e di sottrarsi alle pene che esse comminano”.
La funzione delle legge è quella di “scoprire” quello che tutti noi vorremmo tenere nascosto: “non è senza difficoltà dire senz’altro sì o no”.
Il sì e il non sono il lasciapassare verso la soddisfazione nel rapporto con l’altro ma la soddisfazione nel “rapporto” con se stesso. Non esiste rapporto intimo con se stesso se non nella soddisfazione, nella privatezza, nella ab- solutezza della esperienza.
Anche se Epicuro più avanti dice che “non è possibile vivere nel piacere, se non si vive con saggezza, con temperanza, con giustizia”. Abbiamo bisogno davvero di uno specchio? Abbiamo per davvero bisogno della sanzione dell’altro? . “Bisogna scegliersi una persona virtuosa, ed amarla ed averla davanti agli occhi, per vivere come se ci guardasse, ed operare come sempre se essa ci vedesse”. E’ il posto dell’altro ciò di cui sta parlando Epicuro. Ma quante volte il posto dell’Altro è larente? Quante volte ci dobbiamo arrangiare da soli nel dire se siamo soddisfatti o meno, ma ancora di più: per dire se stiamo vivendo o meno? “E in verità l’ultimo e supremo bene della natura umana è nella pace dell’anima e del corpo”, se così è quando mai noi raggiungiamo tale pace? E’ l’essere soli del nostro giudizio la pace, la pace è stare sotto il sasso che nessuno ti possa vedere, ma non per nascondere, ma per essere, per vivere.
“Prima di stare a guardare che cosa tu abbia da mangiare e da bere, cerca intorno con chi tu possa mangiare e bere. Vita senza amico è divorare o di leone o di lupo”. Ma l’amico non è al mercato. Meglio. L’amico può anche stare al mercato, ma siamo noi che non lo vogliamo, da sotto il nostro sasso, e non è detto che da sotto il nostro sasso noi patiamo maggiormente che tra le chiacchiere dell’amico.
Proprio perché “le dottrine sono una cosa e gli uomini sono un’altra, e se si vuole agire su di loro, bisogna prenderli uno per uno”
Se io prendo gli amici uno per uno, il discorso è sempre, dice Epicuro, tra me e te? Ma è sempre così? Esiste sempre l’altro fuori al sole oppure io spesso nella mia vita mi trovo sotto il sasso, schiacciato ma anche desiderante il buio nel quale mi trovo? <br
Allora la questione dell’utile dove va a finire. Che cosa mi è più utile? Uscire da sotto il sasso e andare alla ricerca dell’altro a cui affidare la mia pena, oppure restare sotto il sasso, nel buio che non mi protegge ma che almeno mi cela?
Tutta la lettera a Meneceo di Epicuro gira attorno alla questione della morte e del quadruplice farmaco. Ma posso io restare sotto il sasso, restare “cattivo” sotto il sasso, non volere l’altro e vivere lo stesso? Una vita di angoscia magari, ma vivere lo stesso? E quello che conta è solo vivere.
“Queste cose e le altre ad essere congeneri ripeti, notte e giorno con te stesso, (e) con chi è simile a te, e mai né desto né in sogno sarai turbato”.
Ma tanto l’essere desto quanto il sogno mi turbano. Mi turbano se io non riesco ad uscire da sotto il sasso, ma mi turbano anche se io riesco ad uscire da sotto il sasso se all’altro dell’amore non sono abituato, non sono mai stato abituato. E forse qui non esiste palestra. Chi ama è amato e viceversa. Ma esiste anche il tempo del buio.
Guido Savio