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PASSIONE: TRA ATTESA E STORIA (PARTE SECONDA)

PASSIONE: TRA ATTESA E STORIA (PARTE SECONDA)

La vita è ricerca di ordine. Ma l’ordine non è pensiero che abbia lunga gittata, è evento che avviene al momento e viene consumato nel momento e in quanto tale ha morte nel momento. E il momento è sempre quello dell’attraversamento. Noi attraversiamo sempre qualcosa: l’altro, il tempo, l’esperienza, la forma delle cose e la loro sussistenza. Noi siamo viaggiatori non tanto in quanto andiamo da qualche parte ma in quanto «attraversiamo» qualche cosa e di essa ne trasciniamo i sapori e gli odori: nella maggior parte dei casi la nostra esperienza di attraversamento ha a che fare con l’altro. Del quale ci portiamo dietro quello che ci portiamo. Nulla di più e nulla di meno.

Questo, chiamiamolo così, attraversamento, ha come oggetto qualsiasi voce che rientri nella voce di fenomeno. Attraversare il fenomeno (potremmo dire «il tutto») ci restituisce una continuità che forse prima era andata perduta. Il nostro pensiero va ben oltre i nostri fatti: questo è l’ «oltre» che noi viviamo su questa terra. Il pensiero «crea» i nostri fatti e li fa diventare nostri proprio perché il pensiero è nostro». Nel senso che il «nostro» pensiero siamo noi. Molto probabilmente la passione ha a che fare con questo senso. Che diviene nostro nel momento in cui… viene fuori dal nostro pensiero, viene fuori dal nostro Io. Questo percorso, questo viaggio è il viaggio della salute. Al di fuori di ogni forma di sicurezza e di assicurazione. In quanto salute è … continuare ad aspettarla!

La passione vive tra attesa e storia, tra attesa e memoria. Lo splendido romanzo di Xavier Marìas che porta il titolo di L’Uomo sentimentale altro non dice che questo. L’amore vive tra la memoria e la attesa (e non è mai presente). Tesi, se vogliamo, discutibile ma affascinante. Noi diciamo che un presente esiste perché amore ci possa essere. Ma nessuna tesi, in amore, può godere del privilegio della esattezza.

La passione, nella logica del plaisir-amour, per essere tale deve godere del segreto. Abelardo/Eloisa, Tristano/Isotta coltivavano, giocoforza, il segreto, chiedevano l’esclusiva. Nel senso che se fossero stati loro a voler svelare il segreto… bene. Ma se altri si fossero intromessi…. Eppure, quando noi viviamo una passione d’amore, vorremmo gridare a tutto il mondo il suo contenuto, perfino nei minimi particolari, nelle pieghe della esperienza e del pensato.

Vorremmo, in altre parole, che qualcuno addirittura venisse a chiederci conto del nostro segreto. E noi saremmo pronti a rivelarlo e dopo poco a smentirlo allo stesso modo: <br<
«L’amore al mondo è per far sì che il mondo venga dimenticato» scrive Paul Elouard. L’amore è «nel» mondo (principio di realtà), e così diversamente non potrebbe essere. E allo stesso modo è «fuori» del mondo (principio di piacere), e così, altrettanto, diversamente non potrebbe accadere.

Vorremmo tenere il segreto e allo stesso tempo che tutto il mondo sapesse.

«…perché il mondo, inteso come gli altri, non può reggere ad un eccesso di sincerità e di trasparenza, non può tollerare tutto l’esistente. Si può quindi scegliere di celare un segreto per proteggere l’altro e la relazione stessa, per soddisfare una richiesta tacita dell’altro. Che non vuole necessariamente conoscere tutto». (G. Turnaturi, Tradimenti, L’imprevedibilità nelle relazioni umane, p. 103).

E il segreto non sarebbe tale se non possedesse molteplici registri anche nella sua codifica. «»Il segreto, tramite la sua ‘polisemia’, può assumere quindi diversi ruoli all’interno delle interazioni e delle relazioni, divenire una modalità di comunicazione sia se celato sia se svelato» (Idem. P. 105).

Certo è che nessuna passione è indolore: né per il soggetto né per l’altro: la passione contempla sia la inevitabilità della sofferenza dentro di sé come la inevitabilità dalla soddisfazione: in ogni caso la passione, per chi la vive e la fa vivere, è una «promozione». L’altro promuove me che lo ho scelto e io promuovo l’altro per averlo scelto. Promuovere significa «passare» (come si «passa» agli esami). E si passa da una posizione antecedente ad una posizione susseguente. Si procede. Si va avanti. Ci si accompagna nella strada.

La passione è attività dell’intelletto quando sa giustamente dimenticare l’intelletto e procedere da sola, sapendo dell’intelletto che la «accompagna». Mi appassiona l’altro quando metto a tacere qualcosa dentro di me e… inevitabilmente faccio parlare qualcosa d’altro. Il corpo. Non esistono altre estensioni maggiormente estensibili che il corpo. Per questo noi possiamo darci e dirci all’altro: in merito alla estensibilità. Che non è un dato «naturale» ma un dato dato dal desiderio. «Nulla di troppo» recita l’Apollo delfico. Non dobbiamo, amando, allargarci troppo. Continenza. Dobbiamo stare dentro il nostro limite pure e3ssendo «affascinanti» per l’altro. La fascinazione qui non è una alterazione della naturalità del nostro essere-con-l’altro ma ne è un completamento. Un tocco in più.

«Nulla di troppo» in quanto il «troppo» non esiste. Chi ama il troppo si ammala. Chi ci chiama verso il troppo ci fa ammalare. E nella relazione d’amore è contemplato anche questo. Fuorché. Da questo momento in avanti, la relazione non si «chiama» più «d’amore» ma di «dolore». E a noi non è lecito né permesso dare dolore a nessuno. Pena il nostro dolore successivo. Nulla di troppo.

«Nulla di troppo» è la continenza, la «Sofrosyne» non è il coinvolgere l’altro o il convincerlo alla nostra, o alla comune causa. La continenza, proprio per amore, è lasciarlo solo nella libertà della scelta di stare con noi oppure no.

Proprio in questo «senso» se non «convinco» l’altro alla mia causa ho buone possibilità di viverlo nella mia passione. Nessuno è da vincere, né nel corpo né nell’intelletto. Nulla di troppo. Nulla di troppo significa che non invado l’altro con la mia domanda.

Gli lascio il suo «segreto». Il quale segreto so che li dà grande soddisfazione.

Il segreto della relazione è fare delle cose grandi cose piccole, non perché l’altro le possa intendere, ma perché per primo, le possa intendere io. Piccole cose significa «alla portata» delle nostre mani.

Le mie mani danno all’altro, se le tendo, la possibilità di amarmi. «Amo chi mi ama» in quanto offro all’altro una possibilità. Lasciarsi amare è «che l’altro faccia». Ed io non faccio niente per oppormi alla sua mano.

Nella relazione, quando sono con te, sono con te. Quando non sono con te, sono da un’altra parte.

La passione vive di allontanamento e di avvicinamento. Di presenza e di assenza. Ma questa realtà viene anche a determinare la cifra della nostra solitudine. Se l’amore ha una legge, questa si impara dall’altro, dai nostri primi altri. La legge dell’amore è redatta nella solitudine proprio per, poi, funzionare tra due. E le parole dell’amore vengono dopo. Vengono dopo della istituzione della legge. Legge in quanto gli atti dell’amore hanno senso solo se trovano parole appropriate per essere detti. Detti all’altro ma soprattutto detti a se stessi.

In amore la espressione «Fatti, non parole» significa solo «parole giuste». Giuste che significa prelevate dal repertorio della Giustizia che è una agenzia tra Io e Tu. E che solo Io e Tu possono istituire.

La legge dell’amore è quella di «imparare» dagli altri senza pensiero di sfruttamento né di sudditanza. Le legge dell’amore è redatta nella solitudine di due che si amano e che intendono tale solitudine partenza del loro percorso e luogo a cui tornare all’occorrenza durante il viaggio stesso. E L’amore, nella sua articolazione di legge, tende all’ordine, si articola sull’ordine. Mentre la passione può contemplare un disordine relativo in quanto esiste un naturale sbilanciamento del giudizio e del corpo verso l’altro.

La legge dell’amore recita che non bisogna avere troppo pensiero per se stessi e che il vantaggio (salute) è il pensiero dell’altro. Il fare l’altro il proprio pensiero. Per questo colui che vive volutamente in solitudine (senza esperienza d’amore) pensa perniciosamente a se stesso, ha sé stesso come oggetto del proprio pensiero e in questo senso si ammala.

Pensare all’altro significa pensare contemporaneamente che esiste «altro» ancora oltre l’altro fisico che noi amiamo. Noi abbiamo relazione con il corpo dell’altro ma anche con l’»oltre» che lo trascende. L’altro non esaurisce assolutamente il nostro desiderio ma lo fa andare avanti, procedere, verso la «sua» direzione ma anche verso direzioni «altre»: l’amore è universale in quanto nessun corpo lo esaurisce, anzi, lo rimanda verso «altro».

GUIDO SAVIO

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