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PASSIONE: TRA ATTESA E STORIA (PARTE PRIMA)

PASSIONE: TRA ATTESA E STORIA (PARTE PRIMA)

PASSIONE E’ VIVERE

«Da qui deriva, forse attraverso la letteratura, questa idea tutta moderna e romantica che la passione sia una nobiltà morale, e ci ponga al di sopra della legge e dei costumi. Chi ama con passione accede ad una più alta umanità, ove le barriere sociali scompaiono». (De Rougemont, L’amore e l’Occidente)

Forse le barriere sociali non scompariranno mai ma di sicuro nessuna passione si pone al di sopra della legge, la legge istituita dai due che si amano. Loro solo la possono istituire. Certo che la passione con cui si vive l’amore è il senso dell’intera nostra esistenza.

E la passione è sempre liberazione: liberazione dalla patologia che detta il contenimento e la inibizione. La salute è «rinunciare a rinunciare» come forma e contenuto del senso dell’intera nostra esistenza.

«L’uomo della passione attende dall’amore fatale qualche rivelazione, su se stesso o sulla vita in generale». (De Rougemont, idem)

Fatale non è mortale ma «incontrabile». E’ la incontrabilità dell’altro il moto del nostro corpo, di tutti i nostri corpi. La possibilità, il potere di un incontro che il fato, cioè quello che riesco a fare, mi può consentire. Il potere che sta nelle mie mani non è «verso» l’altro, ma «verso» la incontrabilità dell’altro, che per l’appunto non è programmabile ma solamente incontrabile. Fatalmente appunto.

Lo stato di attesa che la incontrabilità chiama è lo stato della passione. La attesa tuttavia non è mai uno stato primo, una prima esperienza, ma viene sempre dopo une esperienza, un avvenimento precedente: attendo qualcuno o qualcosa con il quale già ho avuto un primo incontro. O attendo questa esperienza, seppure diversa, ma che «mi richiama» una esperienza vissuta da qualche parte prima nella mia storia. <br<
La attesa è il tempo popolato dall’ostacolo. Anche se ad essere ostacolo è il tempo stesso. Fatalità, la fatalità che ci chiama è quella del superare l’ostacolo. E se l’ostacolo non ci fosse forse non si potrebbe parlare di passione.

«La verità è che bisogna ricreare degli ostacoli per poter desiderare di nuovo e per poter esaltare questo desiderio fino alle dimensioni di una passione cosciente, intensa, infinitamente interessante» (De Rougemont).

Il desiderio è sempre «di nuovo». Si proviene sempre da un prima nel nostro desiderio; un prima che ci ha fatto scuola, un prima che ha a che fare con i nostri primi altri (padre e madre). Il luogo e la situazione primitiva probabilmente ci rimarranno per sempre conosciuti. La prima scena probabilmente non sarà mai resa «cosciente», ammesso che sia avvenuta realmente e non sia una nostra costruzione.

Il pericolo della passione romantica, dall’amour-plaisir che slitta sempre verso una sofferenza, come abbiamo avuto modo di vedere in Isotta e Tistano, è che chi vive passione l’ostacolo ce lo metta apposta o per forza. In questo caso si tratterebbe di perversione. Tuttavia sembra plausibile che la passione esiga sempre una «vittoria», una risoluzione di un sospeso (ma anche l’amore segue questa logica). Nell’amore questa vittoria (non necessariamente una vittoria «su» qualcuno) altro nome non ha che soddisfazione.

La soddisfazione ha sempre a che fare con «l’oltrepassare». Viene dal corpo dell’altro ma nello stesso tempo va «oltre». In luoghi e contesti dello spirito che spesso ci risultano sconosciuti. Memoria, sogno, futuro, un ulteriore desiderio, la rinascita del desiderio stesso. Non ci si ferma mai completamente nel corpo dell’altro. Ma senza il corpo dell’altro non potrebbe esserci nessun oltre. Nemmeno un «oltre» con la O maiuscola.

La soddisfazione in amore è data dalla lettura del corpo dell’altro e dalla «rielaborazione che noi siamo in grado di compiere con il nostro corpo in relazione con quello dell’altro. Si tratta di «sentire» un corpo con un corpo. Il risultato va «oltre» entrambi i corpi, li oltrepassa. Il passaggio dalla esperienza appena vissuta alla attesa di una nuova esperienza. E’ la attesa della passione. L’ostacolo che è gia divenuto tempo.

In effetti noi siamo più «capaci» di elaborare con il nostro corpo un qualche cosa di cui abbiamo già avuto esperienza. Come quando anche semplicemente parliamo, discorriamo con qualcuno: la riflessioni dell’altro, le sue idee permettono alle nostre di formarsi crescere in modo diverso e più completo rispetto al fatto che noi ci trovassimo da soli. E’ l’altro, anche some esperienza precedente, che ci consente di indirizzarci verso la soddisfazione. Indirizzarci sempre nella libertà.

Passione sembra chiamare ad un altro unico, ad un altro irrinunciabile come entità concreta e fisica. Un lui o una lei in sostanza. Invece la passione conserva sempre la alternativa. E’ povero non chi è privo di ricchezza, ma hi è privo di alternativa. L’uomo che vive la propria vita con passione, e vive l’amore con passione, non si «fissa» all’altro. Lo ama ma non si fissa, non ne chiede l’esclusiva come in un primo tempo potrebbe sembrare. L’altro che amo mi rimanda sempre alla sua alternativa. Mi rimanda ad un altro ulteriore proprio perché mi ama. Mi rimanda alla «possibilità» di un altro proprio perché vuole la mia libertà nel senso che io sia quello che sono, che da me esca tutto il meglio che io sono in grado di dare. Questo è il potere dell’amore: una possibilità sempre «oltre». <br<
Non è detto tuttavia che l’oltre sia popolato. In quanto possibilità non è detto che sia popolato da altri. L’oltre potrebbe anche rivelarsi una mancanza, la perdita stessa della possibilità. La fatalità prevede che ci sia assenza. In questo caso destino c’è se ci aiuta ad accettare la perdita (ma non il pensiero che siamo sfortunati perché l’altro non riempie la nostra esistenza).
montaigne afferma nei saggi che tutto ciò insegnamo viene da mano umana e impariamo la verità pertiene soltanto a dio. conoscenza è prima ricchezza manca all’uomo povero. relativa quella spetta agli umani. ma questa relatività muove passione, come assenza, il mancare. l’altro per noi, noi tutti, rappresenta massimo della assenza nello stesso tempo richiamo alla presenza. questo in lungo tragitto commettiamo tanti errori, errori viaggio. siamo «presenti stessi» solo quando, fine del viaggio, se mai una esiste, relazione con l’altro.
Noi viviamo «di» altri, viviamo della vita di altri. In questo ambito la passione potrebbe fare male, potrebbe ferire, nelmomento in cui l’Io si trova ad essere eccessivamente «abitatore» di altri, nel momento in cui non ha più casa propria perché si perde in quella dell’altro sopravvalutandone la ospitalità. Per questo anche la assenza che mi muove verso l’altro, perché non mi sia dolorosa, deve essere relativa, mai assoluta. Ogni forma di assoluta alla fin fine si trasforma in pena. E la passione è sempre una volontà, un atto del corpo verso il corpo di un altro ma anche un atto di volontà presso il mio corpo. Che viva. Che abbia forma e sostanza in se stesso, per se stesso e da se stesso. Il saper essere soli è la garanzia che io posso andare ad abitare l’altro. Diversamente non saprei e nemmeno potrei muovermi.

E la passione è un «surplus» rispetto all’amore: rischio, possibilità di perdere l’altro, emozione, trasgressione, ostacolo, tempo dilatato, amplificazione del proprio corpo e del corpo dell’altro, forzatura del principio di Necessità possono essere alcuni lemmi caratteristici della passione. E se ci chiediamo se questo «surplus» sia qualitativo o quantitativo dobbiamo rispondere: entrambi. La passione è forza-forzatura rispetto all’amore sia nel registro quantitativo che in quello qualitativo.

Ed altri lemmi possono essere: la attesa, l’atto della mancanza, lo slancio, sbilanciamento al di fuori del proprio corpo, l’esperienza del «fuori», la relativa dipendenza dalle opportunità che l’altro mi offre, sorpresa nella risposta che l’altro dà alla mia domanda, spiazzamento rispetto alla mia attesa, sapere/volere cambiare registro nella comunicazione, sapere/volere dire l’ineffabile anche senza riuscirci. Passione è stile proprio attraverso il quale l’altro mi consente di «essere me stesso», essere quello che si è secondo (da sequor, seguire) se stessi e l’altro, coraggio (cor-is) ovvero cuore fatto ambito della volontà.

Passione è lo spendere come forma di investimento, pensiero che l’altro sarà pure un mistero ma non «misterioso». Passione è pulsione di morte, di morte della relazione stessa ma anche dall’Io e del Tu, in ogni caso passione è uscire dalla inibizione, cioè dalla patologia per accedere alla «capacità» di fare.

Se l’uomo è logico per definizione, la passione non è estromessa da questa logica. La logica ha il suo avvenire nel corpo come progetto verso la soddisfazione. Noi non potremmo arrivare alla soddisfazione senza una logica del corpo (non logica dell’intelletto). E la logica avviene nel corpo come stato di «relativa passività» al fatto che sia l’altro che mi porta la/alla soddisfazione. E quando soddisfazione non intercorre significa che si è verificato un errore nella logica del corpo, la quale logica è talmente funzionante che non richiede intervento dell’intelletto. Se noi «consentiamo» che il nostro corpo vada secondo natura esso stesso procede secondo logica verso la soddisfazione. C’è sempre un «più grande» del più grande. La passione d’amore è (se lo è) più grande di ogni altra esperienza in quanto comprende la possibilità di «perdersi per strada», di perdere la possibilità della passione stessa. La passione è la più grande delle esperienze in quanto può annullare se stessa proprio perché può essere sovvertita in qualsiasi momento, in quanto è fragile, forse fugace, precaria, lontanissima dalla garanzia. E’ la più grande delle esperienze proprio perché dentro se stessa comprende il Negativo, la pulsione di morte, il richiamo alla fine. E proprio perché ha queste caratteristiche che noi viviamo la passione con tanto trasporto e anche con tanto dolore, perché ha già dentro di sé il principio della sua fine, come la Vita stessa. Chi vive passione dentro di sé vuole che anche finisca.

L’Io che vive l’esperienza della passione d’amore riconosce il tempo come «attesa continua». Il tempo è l’attendere nella condizione della non conoscenza. Per questo motivo noi costruiamo pregiudizi e ossessioni, per ovviare al tempo come continua attesa. Perché esiste incertezza di «saper» riempire il tempo che verrà come «deve» essere riempito: la passione non è affatto esente dalle imposizioni del Dover Essere. Nella passione la discriminante tra salute e malattia (della passione stessa) è data dalla conduzione del tempo: nella vita esiste sempre un punto temporale «che viene dopo»: questo punto non sarà mai incontrabile, questa è la passione d’amore. Il vivere tale passione è spostare via via avanti il punto di incontro della nostra soddisfazione.

GUIDO SAVIO

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