ISOTTA E TRISTANO: L’AMORE COME PATOLOGIA DELLA PASSIONE
ALTRO ESEMPIO. TRISTANO E ISOTTA: AMARE L’AMORE COME PATOLOGIA DELLA PASSIONE
«Amare l’amore – scrive De Rougemont nel suo L’amore e l’Occidente – più dell’oggetto dell’amore, amare la passione per se stessa, dall’amabam amare di Agostino fino al Romanticismo moderno, significa amare e cercar la sofferenza. Amore-passione: desiderio di ciò che ci ferisce e ci annienta con il suo trionfo».
La tesi di De Rougemont è quella che l’amore impossibile è quello preferito, potremmo dire anche l’unico praticato, dalla letteratura di tutti i tempi (il suo esame di Tristano e Isotta di Wagner è magistrale).
«Perchè a qualsiasi altro racconto preferiamo quello d’un amore impossibile? Proprio perché ci piace bruciare ed essere coscienti di ciò che brucia in noi – scrive ancora de Rougemont. Profondo legame del soffrire e del sapere. Complicità della coscienza e della morte! (Su di essa Hegel ha potuto fondare una spiegazione universale del nostro Spirito e perfino anche della nostra Storia)».
La passione, in qualche modo rimossa se non uccisa dalla Chiesa e dal matrimonio procreativo, si trasforma e assume, da una parte, supreme tonalità mistiche, oppure diventa una continua ricerca ostacolata di un inafferrabile oggetto d’amore, dove ciò che conta e «fa» amore sono la tensione, l’ostacolo, la lontananza o la assenza dell’oggetto d’amore stesso. E in questa logica, si pensi a tanta letteratura, ma soprattutto a tanta librettistica d’opera. Di ostacolo in ostacolo, di tensione in tensione, il modo di vivere l’amore prende la forma e anche la sostanza, fatalmente ma anche irresistibilmente, della morte.
Si chiede la Guiducci che ha curato la prefazione del libro di De Rougemont : «Oltre tutti gli ostacoli, quale al di là può richiamare di più l’estrema tensione, l’estrema passione, se non la morte?». E nasce proprio in questa logica il capostipite mitico di tutta la letteratura d’amore dell’Occidente, il romanzo di Tristano e Isotta. Nasce l’ideale dell’amore su base negativa. L’amore diviene una smania nemmeno tanto repressa verso un istinto di morte. Forse quella stessa morte vista da Freud in Al di là del Principio di Piacere. Ma se per Freud esiste un antagonismo fondamentale tra Eros e istinto di morte, de Rougemont nega questo antagonismo: tensione amorosa e morte «vivono» l’una dell’altra.
Ma la base negativa dell’amore individuata da de Rougemont non si distacca dalla psicopatologia, proprio in quanto l’altro dell’amore non è sentito come fine di un atto, di un moto, di un desiderio, ma un semplice mezzo. Mezzo per arrivare appunto ad «amare l’amore». Tristano e Isotta in realtà, da grandi amanti che dovrebbero essere, in realtà non si amano, «Ciò che essi amano – scrive de Rougemont – è l’amore, è il fatto stesso di amare. (…) Tristano ama di sentirsi amato ben più che non ami Isotta la bionda. E Isotta non fa nulla per trattenere Tristano presso di sé: le basta un sogno appassionato. Hanno bisogno l’uno dell’altro per bruciare, ma non dell’altro come è in realtà; e non della presenza dell’altro, ma piuttosto della sua assenza».
E’ questo il discorso di Lacan sull’amore come amore del desiderio. Una delle sue più celebri frasi recita: «Il desiderio dell’Uomo è il desiderio dell’Altro», ovvero il desiderio dell’uomo è quello di vedere amato il proprio desiderio, è desiderio di un altro desiderio. Ma non desiderio dell’altro reale. Dell’altro del rapporto reale. Dell’altro del moto del corpo e della soddisfazione. Ciò che Lacan ha così nitidamente individuato era già presente nel romanzo bretone e nel lirismo cortese: la astrazione dell’altro reale, il suo patologico superamento per un al di là che proprio in quanto al di là dell’altro porta alla infelicità. Il mixage tra desiderio e lontananza, tra presenza e assenza, tra amore e morte è inevitabile perché comporta la «morte» dell’altro come altro reale nell’amore.
Per esempio la poesia provenzale. Conferendo al sentimento amoroso una profonda inquietudine mistica e trasmettendo tutta una sensibilità anche cattolica (basti pensare a Dante e Petrarca), fa della passionalità astratta e sofferente la cifra stessa dell’amore. Un amore che mentre angelica la donna ne fa in realtà la grande Assente. Il corpo della donna è assente o in quanto stereotipato o in quanto intoccabile: in ogni caso la relazione è bandita, è subordinata al versificare. Pensiamo alle parole di Roland Barthes sulla donna in qualità di Assenza propria di tanti passi di Frammenti di un discorso amoroso .
Questa impronta che, teniamo presente, è strettamente culturale non essendo possibile una verifica sociale, tuttavia si dilunga fino al Romanticismo e ad una certa visione dell’Amore in Occidente, e certo trascende la marca letteraria. Una visione sostanzialmente negativa dell’Amore. Negativa proprio in quanto «nega» la reciprocità. Reciprocità che è garanzia della salute nella relazione. In tutte le relazioni. Reciprocità che potremmo non tanto vedere in Corpo/Corpo ma in Corpo/Spirito. Ovvero nella relazione amorosa quando uno ci mette il corpo, l’altro ci mette la propria spiritualità e viceversa. Compenetrazione è questo. Comunione è questo. Non è possibile la comunione dei corpi.
«L’amore felice – scrive de Rougemont – non ha storia. Romanzi ne ha dati solo l’amore mortale, cioè l’amore minacciato e condannato dalla vita stessa».
All’amore ci si adegua nel bene e nel male. L’ostacolo maggiore, il più saturo di tensione avventurosa e di possibile sofferenza sembra essere rappresentato dalla trasgressione, dal senso di colpa, cioè soprattutto dall’adulterio. Tutta l’ispirazione dell’amour-passion continua ad essere – a partire dall’esperienza catara – in flagrante contrasto con l’istituto matrimoniale cattolico. E la crisi del matrimonio registrata in questo secolo negli anni ’30, ’50 e poi dal ’75 in poi che si è ulteriormente aggravata, ne è la controprova.
Seguendo il modello mitico di Tristano scrive Jaufrè Rudel: «Nessuna gioia mi piace tanto quanto godere questo amore lontano». Si tratta della costrizione antipassionale del matrimonio, dove l’avventura della lontananza, della Assenza è bandita, e la Presenza è norma obbligatoria. In questo senso l’adulterio come costante figura della tentazione, dell’evasione verso un «amore impossibile». Lo slancio o la fuga verso l’Immaginario. Noi sappiamo che una delle caratteristiche principali del nostro desiderio è la sua atemporalità e questo lo porta a radicarsi nell’immaginario del soggetto. L’oggetto d’amore non è sempre presente né nel tempo, né nella dimensione della soddisfazione. Caratteristica del desiderio non è quella di non è quella di «amare» e di accettare veramente l’altro a livello di realtà, bensì di vedere amato, a livello della propria immaginazione, il proprio desiderio.
La psicoanalisi si chiede il motivo del radicarsi del desiderio nell’immaginario del soggetto e risponde con il concetto della universale atemporalità della psiche umana, ovvero «sarà sempre così». Ma la domanda successiva è allora se l’amore sia destinato ad essere inevitabilmente malato (oppure semplicemente infelice). De Rougemont non ha dubbi: l’amore, così come viene vissuto nel nostro tipo di cultura, è un amore malato, è il disegno di un vuoto anziché di un pieno. Ma noi sappiamo che il pieno non esiste e alla soddisfazione ce ne manca sempre un pezzo. Per de Rougemont l’amore è l’inseguimento di una Assenza (o di un Assente) anziché di una presenza. Per questo motivo fatalmente si lega e si porta sulla donna che non si ha, sulla sua assenza, sull’amore impossibile – a partire dalla famosa avventura di Tristano con la moglie di Re Marco.
Capiamo benissimo che tutto questo amore malato di morte, macerato dalla assenza, ma di cui noi «realmente» abbiamo vissuto e viviamo, è alla fin fine l’espressione dell’egoismo. Quell’egoismo che Lacan sottolinea come eterno, universale, naturale: il desiderio dell’uomo è vedere amato il proprio desiderio. O il desiderio dell’uomo è essere amato. Per Lacan ciò è sintomo di malattia. Per de Rougemont il germe della malattia sta in quella che possiamo definire la «intercambiabilità» della donna. Nel Roman de Tristan, poiché Tristano non ama veramente Isotta, un «altro» essere umano, bensì «ama di amare», ama il proprio amore. E qui la intercambiabilità: Isotta la Bionda diventa intercambiabile con Isotta dalle Bianche Mani. Si tratta della intercambiabilità, a livello della fantasia erotica, della donna: non conta tanto una donna amata (Isotta la Bionda), l’amore per una donna. Conta l’amore per l’amore di una donna – e qui la donna diventa interscambiabile: conta che il proprio desiderio di essere desiderato venga eccitato. Prenderei questa formula come la formula riassuntiva di tutta la tesi di de Rougemont.
Invece nella grande poesia femminile d’amore, da Christine Pisan a Louise Labè a Emily Dickinson il tratto saliente e costante è la fissità dolorosa dell’oggetto d’amore, la non intercambiabilità dell’eros in figure maschili diverse. Il divario tra l’amore al femminile e l’amore al maschile esiste. L’uomo ama tutte le donne per una. La donna ama un uomo per tutti.
L’amore dell’amore allora come scrive de Rougemont: «Passione vuol dire sofferenza, cosa subita, prepotere del destino sulla persona libera e responsabile. Amare l’amore più dell’oggetto dell’amore, amar la passione per se stessa» (p. 95). Lo spleen, la decadenza allora la fanno da padroni nella vicenda di Isotta e Tristano, proprio perché l’altro è sorpassato dall’amore stesso, l’altro viene secondo rispetto ad un sentimento, ad un affetto. «In nome dell’amore» è la espressione della patologia della relazione. «In nome di te» è la sua salute.
Amore platonico inteso come «delirio divino», che schiaccia la ragione stessa è la passione di Tristano e Isotta. Il loro amore si dipana da metafora a metafora: il filtro, l’anello, la vita nella foresta, le regole della cortesia (sublimazione della pulsione sessuale), la farina, il pino, etc. Metafora che alla fine non è un moto del corpo verso l’altro, ma verso se stessi. Come scrive De Rougemont: «Così abbiamo visto che Tristano ama Isotta non già nella sua realtà, ma in quanto essa desta in lui l’arsura deliziosa del desiderio. L’amore-passione tende a confondersi con una esaltazione narcisistica» (p. 202). E qui Tristano si imprigiona da sé: «Chiamerò libero – continua de Rougemont – un uomo che possiede se stesso. Ma l’uomo della passione, al contrario, cerca di essere posseduto, spogliato, gettato fuori di sé medesimo, nell’estasi». (p. 338) E l’estasi altro non è che autorispecchiamento: non guardo in fondo agli occhi dell’altra amata, ma cerco nei suoi occhi il mio sguardo: è questo il vizio narcisistico.
Tristano e Isotta hanno continuamente bisogno, sia in Beroul, sia in Thomas, sia in Goffredo da Salisbury, ecc., dell’ostacolo da superare, senza tuttavia provare mai soddisfazione per averlo superato. L’interesse è soffrire la passione oltre che farla soffrire. Tutto, soprattutto l’altro, diviene a questo punto fuggitivo. E fuggitivo per sempre, fino alla morte. L’amore non è mai atto, ma sempre uno «stato», se si vuole anche lo stato dell’innamoramento (che Freud non ha molti tentennamenti nel recludere nel campo della psicopatologia).
La condizione della relazione è quella della soddisfazione reciproca e del moto del corpo che si diriga verso questa meta mentre tra Tristano e Isotta «il fatto che il desiderio sia o non sia soddisfatto, non cambia niente. La passione, una volta dichiarata, pretende molto più che la soddisfazione, vuole tutto e soprattutto l’impossibile: l’infinito in un essere finito» (p. 456).
GUIDO SAVIO