SULLA DEBOLEZZA
PARTE PRIMA
… E IL GALLO CANTO’
(Un percorso in mezzo alla debolezza)
1 – La debolezza
Premessa: la condizione di trattazione fatta qui della parola è tutt’altro che negativa. La debolezza è la condizione necessaria del passaggio alla posizione di forza del soggetto.
“… e il gallo canto’”. E’ la debolezza di Pietro nel suo tradimento. Pietro è l’uomo, è l’universale. Nel suo corredo dienneatico la debolezza che tiene uniti tutti gli uomini, ne fa, ci fa tutti figli, figli deboli ma per questo… dotati di ampi margini di miglioramento.
Cito Pavese: “Sarai amato il giorno in cui potrai dimostrare la tua debolezza senza che l’altro se ne serva per dimostrare la propria forza ”. Io correggerei aggiungendo…un pensiero: “senza pensare che l’altro….”. Non possiamo avere la certezza che l’altro non usi forza contro di noi. Ciononostante siamo chiamati a lavorare con il nostro pensiero di fiducia che l’altro non lo faccia.
L’altro che mi ama nella mia debolezza me la trasforma in forza. Solo l’altro è portatore della trasformazione, a patto che io ammetta la mia debolezza.
Non parto dal Vangelo ma dal racconto di Cecov dal titolo Lo studente.
Cecov vede la universalità della debolezza come universalità del dolore, vede la continuità, la catena, la storia storia che tiene uniti Pietro nel momento in cui rinnega Cristo e la umile donna che si sente raccontare la storia dallo studente.
Cecov: Lo studente: “ Ivan Velikopol’skij, allievo dell’accademia ecclesiastica e figlio di un diacono, aveva sempre seguito, tornando a casa dalla caccia agli uccelli da passo, un sentiero che passava attraverso un prato allargato. (…) Gli orti delle vedove, erano chiamati così perché li tenevano due vedove, madre e figlia. (..) La vedova Vasilisa, una vecchia alta e grassa, con un corto pellicciotto da uomo, stava in piedi lì accanto e guardava pensierosa il fuoco; sua figlia Luker’ja, piccola, butterata, con una faccia ottusa, era seduta in terra e lavava delle stoviglie”.
Lo studente torna a casa con la forza e la giovinezza dei suoi anni. La sera è una sera che richiama quella in cui Pietro rinnegò per tre volte Cristo. Il freddo. Il fuoco. Le donne.
“ ‘Fu proprio in una notte fredda come questa che l’apostolo Pietro si scaldò al fuoco’ disse lo studente allungando le mani verso la fiamma . ‘ Si vede che anche allora faceva freddo. Ah, che notte terribile fu quella, nonna! Una notte eccezionalmente lunga e triste !’ Si guardò attorno nelle tenebre, scosse nervosamente la testa e domandò: ‘Sarai stata, credo, ai Dodici Vangeli?’ ‘Ci sono stata’ rispose Vasilisa. ‘Se ti ricordi, durante l’ultima cena, Pietro disse a Gesù: – Io sono pronto a seguirti in prigione e alla morte – .
Ma il Signore gli rispose: ‘ Pietro, io ti dico che oggi, prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai tre volte’. (…) Egli amava appassionatamente Gesù, follemente, e di lontano vide che lo battevano…’. Pietro ama Cristo e si sente impotente di fronte al suo dolore. Non ha il coraggio di perdere se stesso per il suo Maestro. Egli si identifica al dolore di Cristo ma è più forte la sua impotenza.
Un altro capolavoro letterario in cui il tema del tradimento di Pietro viene delicatamente e fortemente trattato è Maestro e Margherita di Bulgakov. Anche qui un discepolo segue Cristo. Lo segue sul Golgota, con carta, penna e calamaio per descrivere la Verità. Si tratta di Levi Matteo (Matteo l’evangelista). Anche qui il discepolo assiste al dolore dell’ Uomo, vuole intervenire, e tenta anche di intervenire nell’unico modo che gli è possibile: risparmiare la sofferenza all’ amato Maestro. Allora lascia per terra gli strumenti della scrittura, corre giù dal Golgota, entra nel negozio di un fornaio, distrae la commessa con una scusa, si impossessa di un lungo coltello, prende fiato, riprende la strada in salita verso il Golgota, deciso ad uccidere Cristo purchè non soffrisse. Deciso quindi a farsi uccidere egli stesso. Corre a perdifiato in salita ma arriva troppo tardi. Cristo pende già dal palo e attorno a lui tanti soldati romani. Impossibile avvcinarsi. Impossibile uccidere Gesù. Il dolore, il calice amaro Cristo lo deve bere per intero. Così sta scritto, e nemmeno Levi Matteo con il suo amore può cambiare la Scrittura.
La identificazione è sul dolore.
“’Io non lo conosco’ (…) Ma lui negò di nuovo. (…) E lui negò per la terza volta. E subito dopo il gallo cantò, e Pietro, avendo scorto di lontano Gesù, si ricordò delle parole che gli aveva detto alla cena… Si ricordò, tornò in sé, uscì dal cortile e pianse amaramente”.
Sono per noi lecite alcune domande. Esistono dei limiti alla debolezza? La debolezza ha una misura? Pietro ha passato la misura? O forse Pietro, lungimirante più di quello che noi pensiamo, aveva ben chiaro il progetto. Se anche lui fosse perito, la Chiesa non sarebbe stata fondata da nessuna parte. Su nessuna Pietra. Allora Pietro per causa di forza maggiore o… per ragion di stato ha tradito? Ha tradito perché Cristo vivesse nella Chiesa? Questo a noi non è dato sapersi. Sappiamo solo che Pietro (o per principio di realtà, o per machiavallico disegno, o per umana debolezza), ha rinnegato Cristo per tre volte.
“Lo studente pensava a Vasilisa: se si era messa a piangere, voleva dire che quello che era accaduto a Pietro in quell’ orribile notte, aveva qualche rapporto con lei”.
Qui il discorso diviene nostro. Il discorso della continuità e della debolezza come continuità tra gli uomini che in essa prendono nome e forza. Pietro è affine a Vasilisa nella debolezza. La povera donna coglie Pietro proprio lì. Non in un altro aspetto del suo carattere. Noi prendiamo i nostri simili lì, nella debolezza, non in un altro aspetto del loro carattere.
Ed ecco la poesia di tutto ciò. La poesia che accomuna gli uomini.
“’ Il passato – pensava – è legato al presente da una catena ininterrotta di avvenimenti che scaturiscono l’uno dall’altro’. E gli pareva di sver scorto, poco prima, i due capi della catena: non appena aveva toccato uno dei due estremi, l’altro aveva vibrato”.
Guido Savio <br<
(continua)