Anoressia: il cibo della perversione
( giudizio e sesso vanno a… farsi friggere! )
Anoressia: il cibo della perversione
( giudizio e sesso vanno a… farsi friggere! )
Anoressia, dal greco “ANA” (privazione, mancanza) e “ORESIS” (appetito) è una patologia clinica che indica una diminuzione dell’appetito e una avversione al cibo, supportata da una particolare patologia non clinica che al momento definisco come negazione che la causa del desiderio, a partire dal primo desiderio (il cibo) venga da fuori.
Il pensiero di fondo è che non esiste un “fuori” come referente e altro della soddisfazione e del piacere, da cui la perversione, di cui la anoressia è una rappresentazione, tra le più drammatiche. Il conseguente pensiero è che il sesso è negato in quanto “fuori” e in quanto “altro”; è negata in pratica la differenza sessuale. E negazione dell’assunto fondamentale della relazione (anche) sessuale che recita che il sesso è l’unico momento dell’esperienza sensibile che si presti alla costruzione di una legge in cui il soggetto possa trarre proprio vantaggio dall’operare altrui.
Il conseguente pensiero che questa “buona idea” del sesso va pervertita come vanno pervertite tutte le buone idee che vedono l’altro come agente di relazione legale, dunque di soddisfazione, a partire dal sesso.
Il conseguente pensiero che il pervertire (il perverso è un militante) è la continua perversione del giudizio che viene agito come contro-giudizio, un “contro” della ragion pratica per cui l’altro, tutti gli altri, sono “contro” ( l’autosufficienza del corpo che, da solo, non con altri, proverà piacere). Da cui il perpetuare l’integrità del corpo nel tempo infinito (tesi isterica della verginità).
Ragion pratica anoressica che si articola in tre formulazioni: a) l’astinenza sessuale, b) l’iperattività, c) la negazione di ogni pulsione. Opzionale d) la soppressione delle sensazioni fondamentali (fatica – pulsione sessuale – fame – dolore) consente al corpo di compiere imprese eroiche e alla psiche di avvicinarsi e comunicare con Dio (anoressia mistica). Particolare privilegio della comunicazione mistica con Dio che non è della parola ma del corpo.
Sempre nell’opzionale. I grandi temi della anoressia mistica : autonomia – identità – perfezione , ultima istanza questa che costituì il grande dubbio di Caterina da Siena, la più grande delle sante anoressiche: tutto ciò è vanagloria?
Il grande peccato (sentenza emessa da un giudizio laico) della mistica anoressica è la competizione con il giudizio di Dio ( Giobbe docet).
Vanagloria dunque che recita che il desiderio è causa sui , cioè non esiste altro, fuori, a partire dal cibo. Il desiderio non proviene dal di fuori ma è insito nel pensiero di sè. E ricordo qui che l’unico essere che vive di desiderio causa sui è Dio.
Quando Freud parla di Frau Emmy von N. (parla di una anoressica e di una isterica), usa l’espressione “meccanismo di ritenzione di grandi somme di eccitamento”. Il motivo di tale ritenzione è da ascriversi al fatto che l’eccitamento ( ex-citare ) ha a che fare con una causa esterna (ciò che nega l’anoressica).
L’eccitamento è un “sentirsi vocato”, chiamato da altro. Ogni eccitamento è un giudizio, che l’altro esiste come altro del desiderio e che la componente della soddisfazione (legge del sesso in primis ) è data dall’altro che riempie la parte mancante.
Ma l’anoressica non riconosce parti mancanti, infatti non accetta l’introduzione di alcunchè nel corpo e nel pensiero del corpo: non introduce l’altro nel giudizio.
Il desiderio è interno: tragico errore di giudizio in quanto l’altro è irrinunciabile e il proprio corpo non è integro e il lavoro della restitutio ad integrum è il più vano dei lavori.
Eccitamento è pulsione, e la pulsione non può essere negata. Eccitamento è vocazione. La scelta dell’oggetto vocante nella anoressia mistica è Dio, e ad essere chiamati da Dio e un gran arduo affare.
Ripetendo. Il giudizio dell’anoressica è un contro-giudizio in quanto nega la alterità dell’altro (quando non ne nega la vita stessa). Ora all’eccitamento che viene dal di fuori bisogna rispondere “per forza”, pena la morte (del tipo che chi non si ciba deve morire).
Questo il controgiudizio (perversione) della anoressia: contraddire il “dovere necessario” che viene dal di fuori e con esso la stessa legge naturale. La perversione anoressica è manifesto di autonomia e indipendenza dal principio di necessità.
L’anoressica non fu quella bambina che pronunciò la frase rivolta a qualcun altro (forse alla madre, forse al padre, meglio se al padre) “Aiutami a mangiare”, la quale frase è una buona (necessariamente) idea che intende che il proprio piacere (e la propria sopravvivenza) stanno nelle mani di un altro e dipende dalla capacità di lasciare libero un posto a questo altro. Buona idea in quanto promulga un principio. Quello sommo, che il piacere si instaura tra due e non è affare di uno solo: questa è la legge (necessaria, pena vari tipi di morte, compresa quella per anoressia).
Il controgiudizio dell’anoressica è che il proprio corpo diventi l’altare su cui sacrificare l’altro: è l’uccisione dell’altro (del corpo dell’altro) che interessa, delitto perpetrato nella assolutezza di un noli me tangere sulla cui origine sessuale non pongo dubbi. Il corpo è mitizzato in quanto assurge a “ente comunicante” (il corpo uccide la parola) la sua stessa assoluta indisponibilità.
Il corpo al posto della parola. Ma questo corpo si disfa a sua volta, si ritira: “Vedete? Lo stesso mio corpo non c’è!”.
Se molte anoressiche sono diventate sante (Chiara, Orsola, Caterina, Veronica Giuliani, Maria Maddalena de’ Pazzi, Francesca de’ Ponziani, etc.) lo sono diventate come mito dell’inaccessibile. Corpo inaccessibile in quanto nessun essere normale e normato si sognerebbe di trattarlo a qual modo, con il disprezzo anche di ciò che di “altro” è racchiuso nel corpo stesso (le pulsioni, l’inconscio, la legge).
Corpo che diventa lingua con il sacrificio della voce e della dialettica della comunicazione che, tanto, non servono. Corpo senza dialettica, corpo come cosa (das Ding) con il quale l’altro non può avere comunicazione (relazione) ma solo impatto. Ritengo che il giudizio divenga forma negata in quanto il due è negato.
Qui la perversione, come colmo della indistinzione dei posti (esiste un solo posto, il mio). E come la perversione nega l’altro così nega anche l’universalità degli altri (di tutti quelli che, ma anche “uno per tutti” potrebbero occupare per me il posto dell’altro).
Uni-vertere (tendere verso l’universale della legge) è opposto a per-vertere: o si va da una parte o si va dall’altra, non esistono “terze vie”.
E per diventare perversi è necessaria una “buona idea” da pervertire, a partire da quella buonissima che recita: “I sessi sono due”, dunque esiste la differenza, dunque l’altro esiste.
Il sesso è dunque componente della legge morale, dunque soluzione. Se invece è oggetto della morale l’angoscia è garantita.
Per concludere. Tutto (il discorso della anoressia e della perversione) sta nella “cattiva idea” (che non porta a soluzione) che il sesso sia la condizione della perdita, a partire dalla integrità del corpo, ovvero dalla idea che esiste un solo sesso, il proprio, e che l’altro è contunua obiezione a tale idea (da cui il “contro”).
Le cose sul sesso stanno così: il sesso è proprio una obiezione che fonda e rende legale il rapporto, obiezione che significa porre la questione della differenza nella relazione, obietto che il mio corpo e il tuo bastino a se stessi. Così la frase conclusiva della perversione può essere “Io posso giudicarti (amarti), ma tu non ci sei e quindi non puoi giudicarmi (amarmi)”.
Guido Savio
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