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Il bambino incontra la legge

Riflessioni sul possibile ma anche auspicabile incontro del bambino, quando cresce, con la Legge. Modi e tempi.
Da lì parte il piacere.

IL BAMBINO E LA LEGGE: RIFLESSIONI SULL’INCONTRO

La premessa costituisce anche la domanda: quale possa essere cioè il tempo e quale la condizione dell’incontro del bambino con la legge che poi gli consente il piacere, dove per tempo non si intende ovviamente il tempo della cronologia e dove per condizione si intende altrettanto ovviamente la condizione che l’altro detta e propone nell’incontro stesso.

Il termine incontro sta qui per unione, (come se si trattasse di un patto) del soggetto bambino con l’altro (o con Altro) in modo che da tale incontro ne consegua una istituzione giuridica e una sanzione (da Codice Civile) che afferma e corrobora due postulati: il primo che dice che si nasce sani, il secondo che dice che il corpo potrà diventare l’Arca della Legge stessa.

L’incontro con l’altro (o con Altro) conferisce giustificazione a quello che prima era un presupposto nell’esperienza personale del bambino: la salute iniziale.
Dal momento dell’incontro il bambino oltre che esperienza di salute può anche avere pensiero di salute.

Sappiamo che il bambino non ha principio della propria soddisfazione e la vive dunque come esperienza (il che in sè e per sè non è poco ma non costituisce ancora garanzia); affinché la esperienza di soddisfazione sia ripetibile è necessario pensiero sulla sua ripetibilità.

Individuerei allora un primo tempo della legge) da ascriversi alla esperienza di soddisfazione e un secondo tempo da ascriversi al pensiero della soddisfazione come evento ripetibile in prima istanza e come evento ripetibile dal e con l’altro in seconda istanza.

Ma l’incontro con l’altro può anche essere un “brutto incontro”.

Così come è inevitabile l’errore altrettanto inevitabile è l’incontro con l’altro patogeno, ma ad onore del vero altrettanto inevitabile è l’incontro con l’altro favorevole, favorevole al patto e alla sanzione della legge. Ciò che al bambino interessa è che alla propria domanda non ne consegua una offesa, ovvero offesa al proprio pensiero che ha formulato una certa domanda. Quella particolare domanda che suona sempre così: “Fammi vedere tu come ti regoli”.

L’unica offesa registrabile nell’esperienza è quella verso la formulazione del proprio pensiero, in quanto il bambino una certa idea di Legge dentro se stesso ce l’ha già e… la vuole verificare nell’altro. Offesa proprio del tipo: “Ma che razza di domande fai?”. Sono risposte del genere quelle che più bruciano gli sforzi operati dal bambino per produrre la domanda.

Allora noto come quanto più deleteria sia l’offesa che si riferisce al secondo tempo della formulazione della legge, ovvero quando il bambino cerca di darsi un principio e una ragione della sua soddisfazione, del suo piacere, piuttosto che nel primo tempo, quando la soddisfazione è un dato di esperienza e basta.

Offende di più l’altro che ti impedisce il pensiero piuttosto che l’altro che ti impedisce l’esperienza, in questo senso l’offesa e solo offesa diretta al pensiero.

Quando si dice che la crisi della legge è crisi della legge dell’altro significa che l’altro che mi offende nel mio pensiero o mi risponde male,bensì spezza il pensiero di lavoro verso la legge.

Vittorio

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